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Paolo Pugliese

Paolo Pugliese

Devil e i Cavalieri Marvel 1

L’occasione è di quelle ghiotte: dopo i recenti esordi in edicola di Venom e Deadpool, la Panini Comics continua ad estendere il proprio parco editoriale lanciando un’altra testata, stavolta dedicata all’eroe cieco Devil; Devil e i Cavalieri Marvel si presenta come la testata con il sommario potenzialmente più interessante da un paio di anni a questa parte, non solo per il recente restart della serie del Diavolo Rosso, ma anche per  la presenza di altri due antieroi, tra i più oscuri e iconici della Casa delle Idee: il Punitore e Ghost Rider, che esordiscono anche loro con nuove serie, rendendo questo albo uno starting point perfetto per tutti e tre i personaggi.

La parte del leone la fa naturalmente Devil, protagonista di due storie, entrambe firmate dal suo nuovo autore di turno, ovvero quel Mark Waid che ricordiamo con piacere per i suoi lavori in casa DC comics, come The Flash e Venga il Tuo Regno. Lo sceneggiatore si allontana dai toni Noir ed hard boiled delle storie precedenti ed effettua un vero e proprio ritorno alle origini, proponendo una versione retrò di Devil, con atmosfere supereroistiche tipiche degli albori, delineando un clima narrativo scanzonato rispetto alla lunga catena di eventi drammatici avvenuti durante le gestioni di Bendis, Brubaker e Diggle.
Tornato, dunque, dal suo viaggio sabbatico on the road (narrato nella miniserie Rinato), Matt Murdock si rimette in carreggiata, sia con la sua carriera di avvocato sia nell’attività di vigilante mascherato, trovando difficoltà su entrambi i fronti. Waid lo catapulta subito in azione, irrompendo durante un matrimonio tra due famiglie mafiose e scontrandosi con La Macchia, un criminale di serie b del pantheon di Spider-Man, che qui viene rilanciato come figura estremamente più letale (ed interessante) rispetto alla sua prima, pacchiana, caratterizzazione degli anni ’80.
Rispetto ai suoi predecessori, Waid esplora la dualità Matt Murdock/Devil in maniera più leggera, ma altrettanto introspettiva, mantenendo un certo equilibrio tra poteri e debolezze del personaggio, i cui supersensi non arrivano mai completamente a sostituire la vista (vedi l’intrigante colpo di scena finale), tenendolo sempre in bilico tra l’essere un supereroe e un non vedente. La storia è impostata come una commedia d’azione, con il ritorno del protagonista al suo storico atteggiamento da guascone mascherato, unito ad una brillante interazione tra i personaggi, attraverso dialoghi frizzanti e gag varie, come quella ricorrente sulla popolarità della sua identità segreta. Ottimi ed eleganti i disegni di Paolo Rivera, le cui tavole accompagnano in maniera perfetta i testi di Waid, con un tratto morbido, senza sbavature ed eccessi, esprimendo un approccio al personaggio che sembra rincorrere anch’esso i toni di tante storie classiche del Devil di Stan Lee e John Romita, nella seconda metà degli anni ’60.
Dopo un esordio leggero e promettente, Waid ci regala una seconda, breve, storia di una decina di pagine, focalizzata su una chiacchierata tra Matt e l’amico fraterno Foggy, durante una passeggiata per le vie di New York. Si tratta di una storiella arguta e introspettiva, molto divertente da leggere, anche grazie ai disegni di Marcos Martin: un artista con uno stile personale già ben definito, che riesce ad esprimere in poche pagine alcune brillanti soluzioni grafiche, unite ad una costruzione briosa della tavola, piena di dettagli di scena.

Passando ai comprimari, la nuova serie del Punitore ci catapulta, invece, in una dimensione da serial poliziesco di ultima generazione, con una struttura fortemente corale, non incentrata sul personaggio di Frank Castle (che compare in pochissime pagine), ma basata sulla reciproca interazione di numerosi comprimari, che vanno a comporre le tessere di un mosaico narrativo con atmosfere da moderna crime story metropolitana. I toni della vicenda sono molto adulti e realistici, con un incastro serrato delle varie storie parallele (che si concentrano, di volta in volta, sui poliziotti, sui criminali, sulle vittime o sul Punitore) collegate alle indagini di una carneficina a un matrimonio. La cura per i particolari dello scrittore Greg Rucka viene sublimata dalle spettacolari tavole firmate da Marco Checchetto, dal tratto incredibilmente realistico e dettagliato, con un’ottima caratterizzazione grafica dei vari personaggi, compreso un Frank Castle ombroso e implacabile.

Chiude il sommario il nuovo Ghost Rider, scritto e disegnato rispettivamente da Rob Williams e Matthew Clark, i quali raccontano come il desiderio di Johnny Blaze, di sfuggire alla maledizione del centauro infernale, abbia delle conseguenze insperate e, forse, fatali. Questa serie è il punto debole dell’intero albo, a causa di poche idee, espresse in maniera molto convenzionale all’interno di una trama dall’andamento insicuro, che sembra fare tabula rasa del personaggio, rifacendosi (anche graficamente) alla sua controparte cinematografica, con alcuni elementi della prima caratterizzazione anni ’70; la rappresentazione di Johnny Blaze appare, comunque, abbastanza forzata e gratuita, in una storia fin troppo semplicistica e priva di pathos, che introduce anche un nuovo avversario, (letteralmente) sbucato dal nulla e senza alcuno spunto di originalità. I disegni di Matthew Clark sono di discreto livello, seppur abbastanza accademici, con la pecca di una certa inespressività dei vari personaggi.

Nonostante l’esordio anonimo di questa serie (ci auguriamo che il livello narrativo migliori per il futuro, sia per spunti che per sviluppo), la qualità del materiale contenuto in questo primo numero di Devil e i Cavalieri Marvel si assesta su un livello medio alto, mantenendo le premesse di un sommario intrigante e facendo ben sperare per il futuro di questa nuova testata.

Flashpoint n.1 (di 2)

A un mese esatto dal suo esordio editoriale, la Lion Comics pubblica il suo primo cross-over, ovvero l’atteso Flashpoint: l’evento che ha rivoluzionato l’universo supereroistico della DC Comics, favorendone l’azzeramento della continuity e spianando la strada al recente reboot di “52”. Il presente volume contiene i primi due episodi (di 5) della miniserie, proseguendo poi con vari spin-off dedicati a Lanterna Verde, Aquaman, Wonder Woman, etc.
Scritto da Geoff Johns, autore di punta della DC, Flashpoint racconta di come il velocista Barry Allen si ritrovi in un mondo che non riconosce più come il suo: un mondo in cui la storia dei supereroi che conosceva non è mai accaduta; un mondo senza Superman e senza la Justice League, devastato da una guerra tra gli imperi di Atlantide e Themyscira, guidati rispettivamente da Aquaman e Wonder Woman. Soprattutto, un mondo in cui Barry, misteriosamente senza poteri, non è Flash. Dietro tutto ciò si nasconde la mano di un nemico onnipotente ed onnipresente, il quale ha cambiato una catena di eventi del passato, provocando una linea temporale alternativa che l’ex-velocista scarlatto dovrà cercare di ripristinare. Ma senza la sua velocità, Barry non potrà fare altro che cercare l’aiuto dell’unico suo alleato ancora esistente in questo nuovo mondo: il misterioso Batman.

Perfettamente a suo agio tanto con tematiche supereroistiche, quanto con quelle fantascientifiche, Geoff Johns scardina lo status quo dei personaggi che conoscevamo, portando numerose alterazioni e creando ex-novo un mondo alternativo vicino al collasso. Le tematiche dei viaggi nel tempo e i conseguenti paradossi temporali sono la causa scatenante degli eventi narrati, ma Johns ne fa solo intuire la portata, utilizzando il concetto sotto traccia e mostrandoci, per ora, solo le conseguenze esterne. Il timbro usato dallo sceneggiatore è fortemente introspettivo, incentrando la narrazione sui singoli personaggi, piuttosto che usare un approccio ampiamente corale e impersonale come era avvenuto, ad esempio, nella classica maxi-serie degli anni ’80, Crisi delle Terre Infinite.
Il protagonista centrale della storia è un Barry Allen spaesato, uno straniero in terra straniera, che Johns restituisce in tutta la sua umanità, mantenendone comunque intatta l’indole di eroe, nonostante l’assenza di poteri e costume. Mentre narra della ricerca di risposte del protagonista, l’autore riesce a trasmettere al lettore il senso di isolamento e impotenza del personaggio: un naufrago dello spazio-tempo, alle prese con qualcosa di infinitamente superiore alle sue forze. Ed è questo uno degli elementi migliori della trama che, al di là della caratterizzazione dei personaggi, nei suoi concetti di base non presenta, per ora, molto di originale. Infatti, la creazione di una nuova realtà attraverso la manipolazione temporale, con lo stravolgimento di determinati personaggi ed eventi, è un incipit ampiamente sfruttato nei fumetti degli ultimi trentanni, soprattutto dalla Marvel Comics, che ha inaugurato un ricco filone composto da saghe e mini saghe del genere, come Giorni di un Futuro Passato, L’Era di Apocalisse o House of M, tanto per fare qualche titolo.

Da questo punto di vista, Johns utilizza spunti già visti in passato per dipingere un Armageddon supereroistico la cui struttura, comunque, ha come elemento distintivo un timbro drammatico e realistico coerente, che evita qualsiasi sensazionalismo o scorciatoia narrativa; c’è però da rilevare che la narrazione non entra ancora nel vivo, ma funge da introduzione a ciò che leggeremo in futuro, posizionando personaggi ed elementi concettuali e presentando alcune, pesanti, forzature riguardanti, ad esempio, Batman oppure l’escamotage usato da Barry Allen verso la conclusione del secondo episodio.
Il tratto aggressivo e dinamico di Andy Kubert fornisce alla storia il giusto tasso di spettacolarità, con tavole ordinate in maniera schematica e curate nei minimi dettagli per personaggi e scenografie, anche se il disegnatore non riesce ad interpretare fino in fondo i testi di Johns, non sublimando completamente l’esercizio introspettivo dello sceneggiatore.
Per quanto riguarda la veste editoriale del volume, buona la stampa, le traduzioni, il lettering e gli articoli di approfondimento. Gli unici nei rilevati sono lo spazio, forse, eccessivo, dedicato ai contenuti extra rispetto ai fumetti e al prezzo di copertina, oltre a una grammatura delle pagine ancora molto leggera; ci auguriamo che, in futuro, questa venga aumentata.

Wolverine - Il migliore in quello che fa 1 (di 2)

Il presente volume contiene i primi sei episodi della nuova serie regolare di Wolverine (The Best There Is/Il Migliore in quello che fa), con una saga completa il cui incipit centrale è basato sulla seguente domanda: cosa succede quando il fattore rigenerante di Wolverine viene portato al limite della sua capacità massima?
La risposta è contenuta in una storia molto cruda, con Logan catturato da un gruppo di singolari supercriminali, praticamente immortali, il cui capo è una bomba batteriologica vivente, in grado di generare qualsiasi virus esistente: dal raffreddore alla peste bubbonica. Per salvare la vita di un ragazzino gravemente malato, il nostro eroe decide di non ribellarsi e sottoporsi a tutte le torture e le mutilazioni dei suoi aguzzini, che testeranno i limiti del suo potere autorigenerante.

La Panini pubblica in volume una serie non certamente adatta ad un pubblico molto giovane, visti i toni adulti e da Grand Guignol presenti.
Una storia dallo stile durissimo e con elementi impeccabilmente sgradevoli, ideata da Charlie Huston, romanziere e sceneggiatore noir, che spiazza i lettori presentando davvero un Wolverine mai visto: lo vediamo da subito nudo e prigioniero di alcuni zotici, poi samaritano torturato, cavia da laboratorio, ballerino scatenato in discoteca e novello "Edward Mani di Forbice", in una caratterizzazione sardonica, indirizzata ad evitare sistematicamente tutti i caratteri salienti (e carismatici) del personaggio.
Lo scrittore, infatti, spoglia fin da subito Wolverine di tutti gli elementi supereroistici appartenenti all’iconografia degli X-Men, catapultandolo in un’ambientazione crepuscolare e sanguigna, in bilico tra atmosfere horror-splatter, estetica sadomaso, e un fantasy lisergico dai toni cupissimi e glamour: per fare un esempio illuminante, è come trovare il nostro mutante preferito in un mix composto dai film della serie “Saw” e i video di Marylin Manson, tipo “The Beautiful People” e “Mobscene”.

I punti forti della sceneggiatura di Huston sono rappresentati soprattutto dalla caratterizzazione dei singolari villains e dalla cura nei dialoghi, quest'ultimi impostati con realistica e brillante introspezione, arrivando a punte di grande eccellenza come, ad esempio, nello scambio di battute tra Wolverine e Goth: uno dei personaggi più riusciti della storia, a metà strada tra il Dorian Grey di Oscar Wilde e lo Spider Jerusalem di Warren Ellis. Da questo punto di vista, è evidente come i personaggi contino più della storia che, di per sé, racconta ben poco, essendo incentrata totalmente sulle dinamiche, crudeli e al tempo stesso ironiche, tra l’eroe-vittima e i cattivi-aguzzini. Cessata però la sorpresa nel vedere un Wolverine calato in atmosfere così diverse dai contesti in cui siamo abituati, e prendendo atto anche di una certa ricercatezza nei testi e nella rappresentazione dei vari characters, non possiamo non esimerci dal valutare anche i difetti di una storia che appare, sostanzialmente, scarna e ripetitiva nel suo sviluppo narrativo. La sceneggiatura non ha un vero e proprio senso compiuto nella sua progressione ed i villains non sono mai approfonditi in pieno, né vengono chiariti bene i loro propositi. Lo stesso Wolverine appare, qui, abbastanza impoverito nella sua caratterizzazione, ridotto ad una sorta di marionetta nelle mani dei cattivi, con una passività che, anche alla luce dei suoi nobili intenti, risulta esagerata ed irreale, così come eccessivamente repentina la sua ribellione, quando si riveste con poca credibilità del suo manto carismatico di inesorabile angelo vendicatore. C’è inso,mma, un’esasperazione della trama, tesa all’eccesso nel suo essere incentrata unicamente sulla via crucis di sangue e dolore di Logan, impostata anche su una certa, ridondante e compiaciuta, ricerca di elementi spiacevoli sul personaggio che, alla fine, diventa leziosa.

La storia risulta, comunque visivamente potente, grazie alle matite di Juan Jose Ryp (Frank Miller's RoboCop, Black Summer e No Hero per la Avatar Press), un disegnatore abilissimo e generoso nella costruzione delle singole tavole, il cui stile ricorda molto quello di Geof Darrow (Hard Boiled, Big Guy & Rusty), presentando una derivazione sottilmente underground unita ad una cura maniacale per i dettagli ed una padronanza nel rappresentare scene violentissime ed estremamente gore.
Se il buongiorno si vede dal mattino, questa serie, nonostante le sue pecche, ha tutte le carte in regola per essere ricordata come uno dei prodotti più atipici ed originali su Wolverine che la Marvel abbia mai pubblicato.

Astro City – L’età Oscura 1-2

Dopo un lungo periodo di attesa, che ha messo a dura prova la pazienza dei lettori, la Magic Press è tornata finalmente a pubblicare in Italia il materiale rimasto ancora inedito di Astro City, la serie aperiodica di Kurt Busiek, nonché uno dei comic book supereroistici più maturi e concreti degli ultimi 15 anni.
L’Età Oscura è il capitolo più lungo e complesso dell’intera serie, che la Magic ha saggiamente pubblicato in due corposi volumi, uno a distanza di qualche mese dall’altro, permettendo così al pubblico di leggere questa saga tutta di un fiato.

Non è facile riassumere la trama, vista la presenza di numerosi personaggi ed incipit che ne arricchiscono il tessuto, ma l’intreccio centrale ruota intorno a due figure, raccontando le loro rispettive storie attraverso un periodo di ben 50 anni. Partendo dal 1959 e iniziando un lungo cammino parallelo che si concluderà ai giorni nostri, conosciamo Charles e Royal Williams, due fratelli afroamericani, testimoni e poi protagonisti di alcune vicende legate alla storia di Astro City. La loro vita sarà legata in maniera drammatica a quella di Silver Agent, generoso supereroe del quale sarà svelato il misterioso e drammatico fato, più volte accennato in passato, tanto da essere diventato uno dei misteri principali della serie. Nel corso del tempo, i due fratelli prenderanno strade diverse e conflittuali – criminale uno, tutore dell’ordine l’altro - affrontando una duplice evoluzione che li porterà sul sentiero della vendetta e della giustizia.

Con questa epopea, divisa in 16 parti, Busiek ha realizzato un corposo manifesto di intenzioni narrative e concettuali perfettamente riuscite, dipingendo un moderno affresco della memoria, grazie a un nostalgico ed abile compendio di cinque decadi di storia americana e di fumetti americani, integrato nella trama. Innanzitutto, con la scelta dei due protagonisti, l’Età Oscura è la rappresentazione più eclatante delle idee-cardine alla base della serie stessa; Astro City ha sempre raccontato in maniera realistica ed introspettiva la figura del supereroe, grazie ad un approccio esistenzialista e contestualizzato in una realtà sociale, immediatamente riconoscibile da ognuno di noi. Gli eroi non sono mai protagonisti assoluti di una storia, ma la vivono attraverso gli occhi della gente comune, delle persone di strada che, in quanto tali, interagiscono attivamente diventando loro stesse il fulcro della narrazione. La chiave di volta, tanto della serie quanto di questa specifica saga, è che eroi e criminali sono innanzitutto persone, che vivono, muoiono, sbarcano il lunario, proprio come il resto della gente. I due fratelli Charles e Royal rappresentano proprio la transizione che intercorre tra il cittadino, l’eroe e il criminale; Busiek li utilizza per attraversare decenni e scenari diversi, non solo della storia del suo paese, ricostruendo atmosfere, mode, fatti storici, movimenti sociali e criminalità organizzata a cavallo degli anni ’60, ’70 e ‘80, ma citando anche tutti i generi e i personaggi più rappresentativi del fumetto e dell’intrattenimento americano: dalla Black Exploitation con guerre tra criminali alle "Amazing Stories" con alieni, eventi cosmici e viaggi nel tempo; dai vigilanti di strada in stile Daredevil/Punisher agli eroi magici tipo Ghost Rider/Doctor Strange; dai cattivi deformi (sulla falsariga di Batman e Dick Tracy) ai super-agenti segreti (alla Nick Fury), citando Capitan America, Alan Moore, Swamp Thing e il Tron degli anni ’80, tanto per fare solo alcuni nomi.

Da quest’ultimo punto di vista, la complessità de L'Età Oscura consiste non solo in un lungo e progressivo percorso evolutivo di storia e personaggi attraverso gli eventi più disparati, ma anche nell’esercizio meta-citazionistico di Busiek, il quale inserisce sotto traccia non pochi contenuti e considerazioni fortemente evocative e metaforiche. Per lo sceneggiatore, questa miniserie rappresenta la perdita dell’innocenza degli Stati Uniti nel corso del tempo, perdita che si è poi replicata anche nel fumetto, evolvendosi con il passaggio dalla Golden alla Silver Age ed assumendo via via un linguaggio con toni, tematiche, characters e confini morali sempre più adulti, reazionari, ambigui e certamente non più incontaminati come in origine. Un’evoluzione, quella di un paese e di un mass media (entrambe riassunte nella figura di Silver Agent e nell'idea del suo viaggio), sulla quale Busiek pone un’aperta riflessione generazionale, rendendola la spina dorsale dell’intera saga, disegnata - non dimentichiamolo - con dovizia di particolari da un artista dallo stile classico e suggestivo come Brent Eric Anderson, illustratore di Astro City fin dal suo primo numero.

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