Luci e ombre degli eroi DC in Batman V Superman
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Annunciato al San Diego Comic-Con del 2013 e atteso spasmodicamente per 3 anni da legioni di fan, Batman V Superman: Dawn of Justice è finalmente arrivato nelle sale di tutto il mondo. Premiato dall’incasso record di 170 milioni di dollari nella prima settimana di programmazione, il film ha fin dal primo momento spaccato in due il fandom, che si è diviso tra entusiasti sostenitori e feroci detrattori della visione estrema del regista Zack Snyder. I siti specializzati e le pagine dei social network si sono riempite di post pro o contro Snyder, in un crescendo di polemiche di cui non si aveva memoria in campo cinematografico o fumettistico. Questa non vuole essere una recensione del film, di cui Comicus si è già occupato, ma una riflessione a più ampio spettro su alcune domande che la visione di Batman V Superman fa inevitabilmente sorgere ai lettori di vecchia data dei fumetti DC, storditi dalla spregiudicata traduzione in immagini operata da Zack Snyder.
L’atmosfera plumbea ed apocalittica di cui è permeata la pellicola non sorprenderà lo spettatore che avrà modo di ritrovare lo stesso mood di Man of Steel, il film del 2013 con cui Snyder aveva rilanciato il mito di Superman, proponendo il personaggio di Siegel & Schuster ad una nuova generazione. La versione di Superman fornitaci dal regista di 300 è una forza della natura il cui rivelarsi al mondo porta a degli esiti distruttivi, visione lontana anni luce dalla classica caratterizzazione di un personaggio dotato di un potere pressoché illimitato, che trova però un freno nel senso di responsabilità instillatogli dai suoi genitori umani. Nella lunga sequenza finale di Man of Steel la città di Metropolis diventa il campo di battaglia per la resa dei conti tra Superman, a cui presta le fattezze Henry Cavill, e il Generale Zod, interpretato da Micheal Shannon, uno scontro tra titani che semina morte e distruzione. L’entità della devastazione causata dalla battaglia non sembra preoccupare più di tanto il figlio di Krypton, che per porre fine alla minaccia rappresentata dal suo avversario decide di ucciderlo, spezzandogli il collo. La scena suscitò un polverone tra i fan dell’Uomo d’Acciaio e fu al centro di una contestazione da parte di una nutrita schiera di addetti ai lavori: sceneggiatori celebri come Dan Slott, Kurt Busiek e Mark Waid accusarono Snyder di aver snaturato il personaggio di Superman, che non avrebbe mai messo fine deliberatamente alla vita di un nemico. Kurt Busiek in particolare criticò la cupezza del film e la mancanza di gioia di cui è intriso sia il film sia il personaggio principale. Kal-El, nella visione offertaci da Snyder è un eroe suo malgrado, incerto dei propri poteri e del proprio ruolo, diviso tra la naturale propensione ad aiutare il prossimo e il timore di contravvenire al dettame paterno di non rivelarsi al mondo. Le polemiche su Man of Steel non si erano ancora sopite quando Batman V Superman: Dawn of Justice ha debuttato nello scorso mese di marzo, sconcertando i fan, se possibile, in misura ancora maggiore rispetto al precedente film. La pellicola, che riunisce le tre principali icone del DC Universe (assistiamo anche al debutto di Wonder Woman), ha lo scopo di gettare i semi del futuro Universo Cinematografico DC, sulla falsariga di quanto fatto dalla Marvel.
L’incontro tra i due più grandi super eroi del mondo, che si frequentano su carta già dagli anni ‘40 sulla testata comune World’s Finest, doveva essere il sogno di ogni fan che si rispetti. Invece il tono apocalittico conferito da Snyder a BvS rasenta i contorni dell’incubo. I lettori cresciuti a pane e DC Universe troveranno ben poche somiglianze tra i classici custoditi nei propri ricordi e le immagini desaturate dell’opera di Snyder. È paradossale, per tornare al confronto con l’Universo Cinematografico Marvel, come il tono scelto da Kevin Feige e il gruppo di lavoro della Marvel Entertainment sia spesso leggero e scanzonato, a fronte di un materiale di provenienza a volte piuttosto dark, mentre per trasportare in immagini il DC Universe sia stato scelto un tono tanto plumbeo e claustrofobico, a fronte di un corrispettivo cartaceo certamente più allegro e spensierato di quello marvelliano. Mentre nell’universo Marvel gli eroi sono guardati con sospetto e in alcuni casi apertamente osteggiati se non perseguitati (basti pensare a Spider-Man e ai mutanti X-Men), nell’universo DC classico, con forse la sola eccezione di Batman, la gente applaude i propri eroi, a cui dedica addirittura musei come nel caso di Flash. La diversità sostanziale tra il cosmo Marvel, più oscuro, e quello DC, più lighthearted, era alla base del celebre cross-over tra le due compagnie, quel JLA/AVENGERS di Kurt Busiek e George Pérez che è un utile compendio di somiglianze e differenze tra i due universi fumettistici rivali. All’inizio della storia la Justice League of America, alla ricerca di artefatti mistici, si aggira sbigottita tra le devastazioni dell’Universo Marvel, dalle rovine della nazione mutante di Genosha, distrutta poco prima da un micidiale attentato, fino alle azioni del vigilante Punitore, che non esita a regolare i conti con una gang di trafficanti con una raffica di mitra, sotto gli occhi di un incredulo Batman. Nello stesso momento gli Avengers, che stanno visitando il DC Universe, si aggirano meravigliati nelle splendenti città della Silver Age come Central City, la città natale di Flash. Certo avrebbero avuto poco da essere meravigliati, se avessero visitato il DC Universe fumante di rovine immaginato da Zack Snyder.
A pochi giorni dall’uscita del film, il regista e sceneggiatore di fumetti Kevin Smith ha voluto dire la sua, salvo essere subissato da una scarica di insulti sui social media dagli indefessi sostenitori di Snyder, che in maniera becera e senza molto stile gli hanno ricordato i numerosi flop della sua carriera (sulla presunta democrazia del web si potrebbe scrivere molto), respingendo le osservazioni puntuali del cineasta. Smith ha messo alla berlina, senza peli sulla lingua, il problema principale di BvS, ovvero la mancanza di spessore emotivo. Pur sottolineando l’innegabile bravura di Snyder nel comporre immagini di grande effetto, il regista di Clerks sottolinea giustamente come questa qualità non basti a realizzare un film, soprattutto quando mancano una sceneggiatura degna di questo nome e caratterizzazioni all’altezza della storia dei personaggi. Non manca lo spettacolo, in BvS, ma è uno spettacolo senza cuore, con personaggi che non suscitano l’empatia dello spettatore ed è grave considerando che parliamo dei più grandi eroi del comicdom. È un film totalmente privo di umorismo, qualità completamente sconosciuta a Snyder: anche nella nerissima Trilogia del Cavaliere Oscuro di Christopher Nolan non mancano i momenti di humour nero, affidati perlopiù alle sagaci battute di Alfred/Micheal Caine. Forse proprio il successo dei film di Nolan dedicati a Batman ha causato l’equivoco di fondo, cioè quello di conferire un’impronta dark ad un universo, quello DC, che non ha nell’essere oscuro la sua caratteristica precipua. È vero che lo stesso Universo DC dei fumetti ha subito un pesante restyling nel reboot del 2011, l’iniziativa New 52 che ha cercato di aggiornare i classici personaggi della casa editrice al gusto contemporaneo; ma è altrettanto vero che New 52 non ha raggiunto del tutto il risultato sperato, scontentando oltretutto i vecchi lettori che rimpiangono l’Universo DC classico. Non è un caso che la dirigenza DC si appresti a correre ai ripari col prossimo evento DC Rebirth, che riporterà nel nuovo universo elementi della continuity classica.
Stravolgere la caratterizzazione di un personaggio profondamente radicato nell’immaginario collettivo è sempre pericoloso, ma l’atteggiamento di Snyder nei confronti di Batman e Superman è addirittura spregiudicato. La sua versione del Cavaliere Oscuro era attesa al varco, soprattutto dopo il controverso casting di Ben Affleck nel ruolo. A conti fatti, Affleck è una delle cose migliori del film. Il suo è un Batman muscolare, segnato da anni di lotte, imponente ed atletico allo stesso tempo: è come se il Batman illustrato da Jim Lee fosse uscito dalla pagina. L’unica perplessità riguarda l’uso disinvolto delle armi da fuoco, quando è ben noto che il Cavaliere Oscuro non farebbe mai uso di una pistola. La pistola è l’arma della feccia che gli ha portato via i genitori, l’arma dei codardi, ed il suo rifiuto ad usarla è ormai canone. Quello che lascia più perplessi, come si diceva in apertura, è il trattamento che Snyder riserva a Superman, un personaggio che non comprende o che forse semplicemente non apprezza. Il regista è bravissimo a mettere in scena i poteri del Kryptoniano: il volo, arricchito di sonic booms, la vista calorifica, la superforza…. trascurando completamente il potere più grande dell’Uomo d’Acciaio: il potere di rappresentare la parte migliore degli esseri umani e di ispirarli. Fin dalla sua creazione nel 1938 ad opera di due giovani ebrei, Superman ha attraversato i momenti più bui dell’umanità invitando gli uomini alla riscossa. È stato così alla vigilia della Seconda Guerra Mondiale, quando è nato, ed è stato così alla fine di un altro periodo nero della storia americana, quegli anni ’70 che avevano visto la tragedia del Vietnam e la vergogna del Watergate: era il 1978 quando il Superman di Christopher Reeve fece irruzione nei cinema di tutto il mondo, facendoci credere che un uomo potesse volare e ispirando più di una generazione. Il Superman di Snyder è un essere dolente, completamente ignaro del suo ruolo, che si aggira tra la desolazione di un mondo devastato, saltellando di livello in livello nell’apocalittico videogioco messo in scena dall’ex regista di videoclip.
Atroce è poi il trattamento riservato ai comprimari storici dell’Uomo d’Acciaio. Già in Man of Steel il buon Zack si sbarazzava in quattro e quattr’otto del Professor Emil Hamilton, un comprimario storico della serie, facendolo perire brutalmente nell’esplosione di una nave kryptoniana. Ma quella era una fine di lusso, se confrontata col trattamento riservato al buon Jimmy Olsen, il fotografo amico di Superman, giustiziato con un colpo alla testa da un mercenario, giusto due minuti dopo aver fatto il suo debutto in scena. Agghiacciante il commento di Snyder: "Abbiamo ragionato sulla direzione che volevamo prendessero questi film e non avevamo spazio per Jimmy Olsen nel nostro grande pantheon di personaggi. Però potevamo divertirci ugualmente con lui, no?". Quindi l’idea di divertimento del regista è ficcare una pallottola in testa ad un personaggio molto amato. Dichiarazione come queste non vengono prese strumentalmente per il gusto di attaccare Zack Snyder, ma per marcare tutta la differenza che esiste tra il suo stile e un universo, quello DC, che è l’opposto della deprimente desolazione morale che ci sta proponendo nei suoi film. Un universo di grandi eroi portatori di luce e speranza come Barry Allen, interpretato alla perfezione da Grant Gustin nel serial Flash, che non a caso non riscuote le simpatie di Snyder. Un universo caratterizzato dal concetto di legacy, di eredità eroiche che passano di generazione in generazione, di grandi amicizie. Snyder è l’uomo giusto per far conoscere al pubblico di tutto il mondo la ricchezza di un tale affresco? Una domanda che è lecito porsi.
Ci sono cose buone, in BvS, a partire dal Batman di Ben Affleck, che avrà presto un film standalone da lui diretto e interpretato. Affleck ha dimostrato di essere un ottimo autore, fin dai tempi di Gone Baby Gone, e con lui il Crociato Incappucciato è in ottime mani. Stesso discorso per la rivelazione del film, la Wonder Woman di Gal Gadot di cui uscirà l’anno prossimo il film in solitaria diretto da Patty Jenkins.
Zack Snyder è un buon regista (il suo Watchmen è un film da rivalutare), ma al secondo tentativo mostra chiaramente di non comprendere appieno le icone che la DC gli ha messo a disposizione. Viviamo nuovamente in tempi cupi, e abbiamo bisogno che questi personaggi amatissimi tornino ad ispirarci. Forse con un altro condottiero potranno farlo.