All’inizio degli anni 2000 il tandem composto da Bill Jemas (Presidente) e Joe Quesada (Editor in Chief), prende in mano la Marvel, deciso a risollevarne le sorti dopo un decennio, quello precedente, in cui la storica casa editrice ha toccato con mano il rischio del fallimento, tra crolli delle vendite e speculazioni di carattere finanziario. Quesada è il disegnatore più in auge del momento, grazie ad un clamoroso ciclo di Daredevil realizzato in coppia col regista Kevin Smith, che riporta il Diavolo di Hell’s Kitchen ai fasti dei tempi di Frank Miller. Aver riportato ai vertici delle classifiche delle vendite un personaggio fino a quel momento moribondo è un risultato che non sfugge ai vertici della casa editrice, che chiedono a Quesada di infondere il suo tocco all’intera linea editoriale, promuovendolo Redattore Capo. Il nuovo Boss della Marvel comincia a quel punto un’aggressiva campagna acquisti, capace di attrarre sulle principali testate i maggiori talenti del settore, alcuni dei quali non avevano mai lavorato sui personaggi della casa editrice: sono gli anni dello Spider-Man di J. Micheal Straczynski e dell’iconoclasta New X-Men di Grant Morrison.
Nella pletora di progetti, annunci e talenti messi al lavoro da Quesada e Jemas figurano anche Jeph Loeb e Tim Sale, sceneggiatore e disegnatore associati fino a quel momento alla DC Comics, per la quale hanno realizzato alcune opere fondamentali tanto per il mito di Batman (The Long Halloween e Dark Victory) che per quello di Superman (Superman For All Seasons). La carriera di Loeb in particolare simboleggia la tipica ambivalenza del fumetto statunitense mainstream, a cavallo tra successo commerciale e aspirazioni d’autore: cominciata la sua carriera nel cinema con le sceneggiature per film come Teen Wolf e Commando e proseguita nel fumetto con successi stratosferici di vendite come Superman/Batman in coppia con Ed McGuinness e Batman: Hush con Jim Lee, è nel sodalizio con l’amico Tim Sale che Loeb trova la sua voce autoriale più autentica. I monologhi interiori tipici dello scrittore trovano nelle tavole evocative di Sale il naturale completamento, amplificandone la carica iconografica.
Arrivati in Marvel nel 2001, la coppia d’oro inaugura con Daredevil: Yellow una tetralogia di miniserie dedicate a quattro icone della casa editrice, che proseguirà con Spider-Man: Blue, Hulk: Gray e Captain America: White. Il filo che unisce queste quattro opere è il sentimento della malinconia e della nostalgia per il tempo perduto: l’eroe, attraverso l’elaborazione del lutto di una persona cara del suo passato, rivisita le proprie origini e motivazioni, e il lettore con lui. Le primi tre miniserie “dei colori” vengono pubblicate in rapida successione fino al 2008, anno in cui esce il numero 0 di Capitan America: Bianco, dopodiché qualcosa si inceppa, a seguito dei sempre più pressanti impegni professionali della coppia. Sale comincia a lavorare come illustratore per la serie televisiva Heroes; Loeb viene nominato vice presidente esecutivo di Marvel Television, la divisione dei Marvel Studios preposta allo sviluppo di progetti per il piccolo schermo. I numeri successivi di Capitan America: Bianco vengono dunque messi in stand-by, e gli anni passano senza che ne venga annunciata l’uscita. Il progetto viene ormai universalmente considerato abbandonato dai due autori quando nel 2015, a sorpresa, i cinque numeri rimanenti vengono pubblicati in rapida successione concludendo l’opera. E leggendola, ora che Panini Comics l’ha resa disponibile per i lettori italiani, possiamo dire che è valsa la pena aspettare.
La storia è ambientata poco tempo dopo il risveglio di Capitan America dalla sua ibernazione nei ghiacci del Polo Nord, dove era caduto al termine della sua ultima avventura durante la seconda guerra mondiale, impresa che era costata la vita alla sua giovane spalla, Bucky Barnes. Steve Rogers si trova ad aggirarsi in un mondo profondamente diverso da quello che conosceva, e la sensazione di solitudine e spaesamento è amplificata dall’assenza del suo giovane partner caduto in battaglia. Il Capitano visita il memoriale dedicato ai due eroi della seconda guerra mondiale, e davanti alla tomba del suo amico si perde nel viale dei ricordi. La memoria torna indietro ad una missione in particolare, svoltasi nella Francia occupata, per dare supporto ai partigiani francesi con la collaborazione di Nick Fury e dei suoi Howling Commandos. Capitan America e Bucky, con l’aiuto dei loro alleati, riusciranno a sventare i piani del Teschio Rosso e a salvare la città di Parigi dalla furia distruttrice nazista.
Il primo aggettivo che viene in mente approcciando Capitan America: Bianco è “classico”. Ma è proprio questo sapore classico a rendere così speciale questo nuovo lavoro della premiata ditta Loeb/Sale. In un’epoca di reboot e retcon, di stravolgimenti narrativi e di cambiamenti mirati a uniformare personaggi iconici alle loro controparti cinematografiche nella speranza (spesso vana) di attrarre nuovi lettori, Jeph Loeb si propone come portatore della fiaccola della tradizione. Il suo Cap è lo stesso uomo fuori dal tempo, onesto e compassionevole, che abbiamo amato fin dalle storie anni ‘60 di Lee, Kirby e Romita Sr.
Ispirato purtroppo da un drammatico vissuto personale (la scomparsa del figlio Sam a soli 17 anni a causa di un male incurabile), Loeb permea l’opera di un forte sentimento di malinconia e di assenza, rimpianto e ineluttabilità dello scorrere del tempo. Lo scrittore fa imboccare al lettore il viale dei ricordi insieme a Steve Rogers, facendogli ritrovare tutti gli elementi che hanno fatto di Capitan America il più nobile degli eroi e che non lo faranno mai passare di moda: l’intrinseca bontà, nonostante gli costi lo sberleffo di commilitoni più prosaici come Nick Fury, il candore a cui fa riferimento il “bianco” del titolo, e la capacità di incarnare le più nobili aspirazioni dell’essere umano.
Loeb si conferma un maestro della macchina da scrivere: i suoi testi sono all'insegna di una umanità e sincerità disarmante, i suoi monologhi, intrisi di dolorosa consapevolezza, sono un colpo al cuore. Ad accompagnarci per mano in questo commuovente tuffo nel passato sono le straordinarie tavole di Tim Sale, uno dei pochi artisti, insieme ad Alex Ross, capace di catturare l’essenza iconica di personaggi storici come il Capitano. Le illustrazioni di Sale, degno erede di celebri esponenti del Realismo Americano come Edward Hopper, danno il giusto sapore retrò alla malinconica sceneggiatura di Loeb, non dimenticando di omaggiare allo stesso tempo i disegnatori storici del Capitano, catturato in iconiche pose alla Jack Kirby e alla Jim Steranko. Raramente testi e disegni si sono fusi con tanta efficacia e bellezza come nel caso del duo Loeb/Sale, creando un sodalizio e una continuità artistica che attraversa tutta la “tetralogia” dei colori, e che non viene compromessa neanche dalla sostituzione dei vivaci acquarelli di Matt Holligsworth, compagno di viaggio dei due autori fin da Daredevil: Yellow, con la pur efficace paletta cromatica di Dave Stewart.
Capitan America: Bianco viene proposto in Italia da Panini Comics in un bel volume cartonato formato “Marvel Now”, che si segnala per un eccellente rapporto qualità - prezzo.
Una lettura necessaria per ogni Marvel Fan che si rispetti, capace di catturare lo spirito di un’epoca lontana come un film di Frank Capra o un disco di Glenn Miller.