Moon Knight 1: Lunatico
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Jeff Lemire è senza dubbio una delle rivelazioni del comicdom degli ultimi anni. Fattosi notare con l’intimista Essex County, si è costruito una reputazione in casa DC Comics dove ha scritto apprezzate run di Animal Man, Green Arrow e Justice League Dark, senza disdegnare il fumetto indie con il grande successo di Descender per la Image. Il passo verso un contratto in esclusiva con la Marvel è stato breve, e la Casa delle Idee lo ha subito messo a lavorare su alcuni dei suoi progetti più attesi: l’ennesimo rilancio della saga mutante con Extraordinary X-Men. il sequel di Hawkeye dopo i fasti della serie di Matt Fraction, le avventure di un anziano Wolverine dislocato temporalmente nel nostro tempo in Old Man Logan e la nuova serie di Moon Knight. Dopo aver parzialmente fallito nel raccogliere l’eredità di Fraction sulle pagine di Occhio Di Falco, la versione di Lemire del Cavaliere della Luna era attesa al varco, considerando il fatto che gli echi dell’apprezzatissima versione di Warren Ellis e Declan Shalvey, datata 2014, non si erano ancora spenti.
Nel ciclo di Ellis, i problemi di salute mentale di Moon Knight sono stati definitivamente chiariti: Marc Spector è realmente un agente del dio egizio Khonshu, che esiste e non è un parto della sua psiche malata, e sfrutta le sue ingenti risorse economiche per proteggere i “viaggiatori notturni” da criminali e psicopatici. Come poteva Lemire succedere al guru britannico della macchina da scrivere, che aveva fornito una delle versioni più apprezzate del personaggio? La ricetta dell’autore canadese è semplice: ribaltare completamente il tavolo da gioco, restando fedele allo stesso tempo al canone del personaggio. Il tipico concetto made in Marvel di supereroe con super-problemi viene qui portato alle estreme conseguenze, perché il super-problema è di natura psichiatrica. In apertura di volume vediamo infatti il buon Marc Spector risvegliarsi in un centro di igiene mentale, di cui è ospite suo malgrado. Folle tra i folli, la sua situazione ricorda quella di Jack Nicholson in Qualcuno volò sul nido del cuculo. Con la differenza che se quest’ultimo aveva solamente cercato una via di fuga ad un aaltrimenti inevitabile spedizione in Vietnam, Spector dubita di quello che si muove davanti ai suoi occhi e di quello che si agita nei suoi pensieri. Medici ed infermieri sostegno che la sua carriera come Moon Knight è frutto della sua psiche malata, così come le innumerevoli avventure dal lui vissute. Ma di notte, la voce di Khonshu chiama ancora a sé il suo figlio prediletto, per avvertirlo di una minaccia incombente. Riuscirà Marc Spector a distinguere la verità dalla pazzia, affrontando allo stesso tempo un’antica piaga che sta per abbattersi sulla città di New York?
Narratore di rara finezza psicologica, Jeff Lemire mette la sua arte al servizio del più tormentato degli eroi Marvel, accompagnandoci in un labirinto di ambiguità e follia dal quale non sembra esistere salvezza. L’autore di Sweet Tooth eccelle nel costruire una situazione di straniamento dove niente è come sembra e tutto quello che pensavamo di sapere potrebbe rivelarsi sbagliato: le premesse alla base della mitologia di Moon Knight vengono prese e portate alle estreme conseguenze, consegnandoci così un eroe fragile che deve agire nonostante sia privato di ogni certezza.
La discesa agli inferi di Marc Spector ordita da Lemire viene visualizzata con sbalorditivo talento visivo da Greg Smallwood, che con questo lavoro lascerà probabilmente lo status di “promessa” per quello di “rivelazione dell’anno”. Una crescita esponenziale rispetto ai primi lavori su testate antologiche come A+X, che lascia di stucco per la padronanza dello storytelling e la versatilità del tratto, sporco nelle sequenze oniriche dove omaggia senza timori riverenziali l’immenso Bill Sienkiewicz (che proprio su Moon Knight si fece le ossa), mentre cesella tavole minuziosamente dettagliate nelle scene del sanatorio, dove sciorina una composizione della tavola classica e originale allo stesso tempo. Sicuro del proprio talento, Smallwood si concede anche una citazione dei Nighthawks di Edward Hopper, con la Tavola Calda che sembra emergere da una tempesta di sabbia come in un sogno. Completamento ideale al tratto dell’illustratore sono i colori di Jordie Bellaire, ormai certezza assoluta del settore, che con la sensibilità unica della sua palette conferisce stati d’animo diversi a seconda del momento, con colori più slavati all’interno del manicomio e caldi nelle scene d’azione, apporto cromatico fondamentale in una storia in cui il colore si fa paesaggio dell’anima.
Il team creativo riesce nell’intento di allontanarsi dai cliché della classica ed abusata storia di supereroi, costruendo un thriller psicologico che ricorda classici del genere come Il Corridoio della Paura e L’Esercito delle 12 Scimmie. Un debutto solido ed intenso che fa ben sperare per il prosieguo della serie e fa attendere l'uscita del secondo volume con una certa impazienza.