Marvel Omnibus: Namor
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Se siete lettori di fumetti americani cresciuti negli anni ’80 e ’90, ben pochi nomi potranno provocare in voi nostalgici ricordi di ore di letture avvincenti come quello di John Byrne. L’autore, inglese di nascita ma cresciuto in Canada, ha attraversato da assoluto protagonista quel decennio chiave in cui il fumetto americano è diventato adulto, scrivendone pagine indimenticabili: dagli inizi, sul finire degli anni ’70, come jolly sui titoli più disparati della Marvel (Avengers, Iron Fist, Star-Lord, Marvel Team-Up, Champions), fino alla consacrazione con il seminale ciclo di Uncanny X-Men in coppia con Chris Claremont che ha cambiato la storia del fumetto seriale a stelle e strisce; il debutto come autore completo con la lunga ed eccezionale run, durata ben cinque anni, di Fantastic Four, giustamente considerata la versione definitiva del Quartetto dopo quella di Stan Lee e Jack Kirby; la rottura con la Marvel a seguito di un violento alterco con l’allora editor-in-chief Jim Shooter e il passaggio alla DC Comics, dove aggiorna il mito di Superman per l’era moderna depurandolo dalle ingenuità tipicamente Silver Age. Se i lavori dell’amico e contemporaneo Frank Miller bruciano di ardore innovatore e rivoluzionario, l’approccio di Byrne al mezzo è del tutto antitetico ed è ben sintetizzato nel motto back to the basics (ritorno alle origini) che aveva caratterizzato la sua gestione del Favoloso Quartetto, cioè il recupero degli elementi classici e dei caratteri originali dei personaggi per proiettarli poi in una nuova era. I lavori più riusciti di John Byrne sono in apparenza dei splendidi fumetti d’avventura, fra le cui pieghe l’autore inserisce sottilmente elementi di grande novità, come lo spessore inedito conferito ai personaggi femminili. Il ciclo di Fantastic Four è un’ode a Susan Storm, a cui Byrne modifica il nome da Invisible Girl a Invisible Woman, segnando il passaggio da “fidanzatina del capo” dei tempi di Lee & Kirby a quello di consapevole donna, madre ed eroina della sua straordinaria gestione.
E poi i disegni. Parlare di John Byrne significa parlare, molto semplicemente, di fumetti belli da guardare, di anatomie scolpite ma dinamiche, di un tratto che coniuga potenza e grazia, di forme atletiche ma fluide e sinuose allo stesso tempo, di eroi carismatici e di eroine di cui è impossibile non innamorarsi. Big John è uno dei primi autori intorno al quale si crea uno zoccolo duro di fan che acquista tutto quello che lui produce, che si tratti di Superman o degli eroi disfunzionali e problematici di Alpha Flight, supergruppo canadese che annovera tra le sue fila il velocista Northstar, il primo eroe dichiaratamente gay della storia del fumetto e la sorella gemella Aurora, schizofrenica dalla doppia personalità, pudica fanciulla nella sua identità borghese, sensuale e dissoluta nei suoi panni da eroina. Pur in un contesto classico, Byrne continuerà ad infarcire i suoi lavori di elementi di rottura, soprattutto nel secondo periodo in Marvel dopo il ritorno dal suo “esilio” alla DC, dal 1988 in poi. È il periodo di Sensational She-Hulk, dove la protagonista, che sa di essere la star di un fumetto, parla direttamente col lettore e si lamenta del trattamento riservatole dall’autore (anticipando di qualche anno quello "sfondamento della quarta parete" che è alla base del successo di Deadpool), e di Avengers West Coast, dove il fumettista canadese per primo ci mostra una Scarlet Witch fuori controllo e in preda alla follia, idea che verrà ripresa quasi un ventennio dopo da Brian Micheal Bendis e che sarà alla base del ciclo di Avengers Disassembled e delle trame della Marvel del primo decennio degli anni 2000. È in questo felice periodo della produzione di Byrne che trova posto Namor The Sub-Mariner, serie del 1990 dedicata all’eroe anfibio della Marvel, di cui Panini Comics ripropone i primi 18 episodi in un prezioso Omnibus.
Namor, sovrano mezzosangue di Atlantide nato dalla fantasia di Bill Everett, è il primo supereroe pubblicato dalla Marvel a partire dal 1939, quando la casa editrice si chiamava ancora Timely Comics. Viene presentato inizialmente come una minaccia affrontata dall’altro eroe della casa editrice, la Torcia Umana originale, Jim Hammond. A seguito dell’entrata in guerra degli Stati Uniti, anche Namor si arruola per il fronte e, insieme agli eroi della Timely, affronterà le forze dell’Asse. Dopo essere caduto nel dimenticatoio per tutti gli anni ’50, il personaggio viene ripescato da Stan Lee & Jack Kirby come antagonista dei Fantastici Quattro, che fermano più volte i suoi tentativi di invasione, da lui giustificati come risposta all’inquinamento degli oceani perpetrato dagli abitanti di superficie. Da quel momento sarà un comprimario ricorrente della serie del Quartetto di cui diventerà un alleato, innamorandosi della bella Susan Storm. Quando Byrne si mette al lavoro su Namor, quest’ultimo è un personaggio quasi dimenticato: le ultime storie degne di nota sono quelle illustrate da Gene Colan negli anni ’60 e le successive miniserie a lui dedicate nel corso degli anni non hanno lasciato il segno. Ma sono gli anni in cui l’autore inglese trasforma in oro tutto ciò che tocca e Namor non fa eccezione. A Byrne basta un numero per dare una spiegazione al comportamento impulsivo e rissoso del personaggio: è causato da uno squilibrio biologico dovuto alla sua doppia natura, umana e atlantidea allo stesso tempo. Dopo essere tornato in possesso delle sue facoltà, e constatato lo stato d’inquinamento in cui versano ormai gli oceani, Namor decide di investire le ricchezze trovate nella carcassa di un veliero rilevando una compagnia in bancarotta e trasformandola in una nuova azienda con la difesa dell'ambiente come core business, la Oracle Inc. Nel giro di poche pagine l’autore regala al personaggio un setting e una “missione” completamente nuova: Atlantide non appare praticamente mai e Namor, novello uomo d’affari, si districa in giacca e cravatta tra le insidie della borsa. Da ricordare che ci troviamo negli anni successivi a Wall Street di Oliver Stone, il cui protagonista senza scrupoli, Gordon Gekko, ha pesantemente segnato l’immaginario degli anni ’80.
Altrettanto spietati sono i villain che Byrne introduce nella serie, i crudeli gemelli Desmond e Phoebe Marrs, legati da un rapporto perverso e incestuoso che l’autore si limita solo a suggerire. I due faranno di tutto per mettere i bastoni tra le ruote all’ex sovrano di Atlantide, ma non saranno le uniche minacce che Namor dovrà affrontare: si va da Headhunter, la cacciatrice di teste di Wall Street, geniale e neanche troppo velata critica al capitalismo finanziario, al recupero di classici villain come Griffin e il Super-Skrull. Byrne realizza una serie divertente e la infarcisce di colpi di scena e di sottotrame accennate che poi esplodono nei numeri successivi, divertendosi a giocare col pantheon dell’Universo Marvel di cui è un profondo conoscitore: ecco apparire in rapida sequenza Fantastici Quattro, Iron Man, Capitan America, Thor, la Torcia Umana originale, Misty Knight & Colleen Wing, le Figlie del Drago, Iron Fist (ma sarà davvero lui?), il Punitore, Ka-Zar, Shanna e tanti altri.
La sequenza di storie che farà la gioia dei vecchi fan è quella che vede Namor tornare a Berlino dopo tanti anni per affrontare la perversa eredità del Reich rappresentata da Master Man e Warrior Woman: ne scaturirà l’occasione per una reunion degli Invasori, la squadra formata ai tempi della guerra dall’eroe anfibio, Cap e la Torcia originale, qui raggiunti anche da Spitfire e dal nuovo Union Jack, in quello che è un sentito omaggio dell’autore alle storie classiche degli Invaders di Roy Thomas e Frank Robbins. L’azione si sussegue senza un attimo di tregua e, pur condita da qualche ingenuità del tempo, la sceneggiatura dell’autore canadese sfrutta le 22 pagine concesse da ogni albo per infarcirle di eventi, diversamente (e non ci dispiace) dallo stile decompresso dei fumetti di oggi.
Dal punto di vista dei disegni, qui ci troviamo di fronte ad uno dei picchi del Byrne artista. Nonostante abbia sempre inserito Jack Kirby nel suo pantheon di riferimento, il tratto del penciler sembra appartenere più al lignaggio di un Alex Raymond, la cui aristocrazia un po’ ingessata viene scossa da un dinamismo alla Neal Adams. Namor è scolpito e possente come un vero nuotatore, le figure femminili, come sempre in Byrne, sono sensuali e rubano l’occhio, si veda la cugina Namorita, vero e proprio sidekick del Principe Vendicativo. Menzione d’onore per il personaggio di Phoebe Marrs, la cui figura sensuale esprime allo stesso tempo perversione e fragilità, crudeltà e dolcezza. La serie si segnalò all’epoca per l’uso innovativo del duo-shade: era una tecnica grazie alla quale l’artista disegnava e inchiostrava direttamente su cartoncino Bristol, trattato poi con un agente chimico che rilasciava sul disegno linee e punti d’ombra, a formare un piacevole effetto di chiaroscuro. Byrne utilizzò la duo-shade per questa serie e per O.M.A.C. alla DC, salvo abbandonarla con l’avvento della colorazione digitale. La resa finale mantiene comunque un certo fascino ancora oggi.
Unica pecca da trovare ad un volume dalla qualità eccellente è la decisione dell’editore di troncare la sequenza di storie col numero 18, lasciando così insoluti i misteri del ritorno di Lady Dorma e del destino di Danny Rand, Iron Fist: la speranza è che i numeri conclusivi della run di Byrne, metà dei quali disegnati da un allora debuttante Jae Lee, possano trovare spazio in un eventuale, secondo volume.
Namor The Sub-Mariner è una serie che proporrà ai nuovi lettori una visione classica e moderna allo stesso tempo del Marvel Universe e farà conoscere loro un autore leggendario di cui forse avranno sentito parlare. Per i vecchi lettori sarà una passeggiata sul viale dei ricordi che emergeranno con forza dal fondale della memoria. Ci sono cose, nella vita e nei fumetti, che passano, altre che restano. L’epoca d’oro della Marvel di John Byrne certamente resterà.