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Andrea Fiamma

Andrea Fiamma

Walt Disney e l'Italia - Una storia d'amore: recensione

  • Pubblicato in Screen

Per leggere l'intervista a Marco Spagnoli, clicca qui.

waltd italia“Dal modo in cui si tira giù una linea si possono ottenere risultati straordinari”. Sono le parole di Walt Disney a incorniciare Walt Disney e l'Italia - Una storia d'amore, documentario scritto e diretto da Marco Spagnoli e incentrato sulla relazione tra il papà di Topolino e lo stivale.
Il film si apre e si chiude su Walt, intervistato da Ettore Della Giovanna, e sugli sguardi dei bambini intenti a guardare un cartone Disney. Forse è proprio questo il reale centro focale del documentario, la connessione che l’autore statunitense ha saputo creare con il pubblico più giovane e con quello stesso pubblico che giovane non lo è più. Lo si vede dalle dichiarazioni raccolte, tra un Federico Fellini che racconta divertito la gita a Disneyland, e un Attilio Bertolucci scopertosi narratore di storie per i figli. Forse, più che la storia d’amore del titolo, è questo il vero denominatore comune del documentario, la capacità della Disney di essere humus comune su cui attecchisce l’immaginazione di un popolo.

L’attenzione del regista, per il resto, divaga volentieri, perdendo spesso il focus degli argomenti trattati. I viaggi di Walt in Italia, la nascita della "Creazioni Walt Disney", i film, i fumetti, gli autori, gli artisti, il rapporto con il fascismo. Tutti argomenti che avrebbero meritato un documentario a sé e vengono invece compressi in meno di un'ora. C’è un senso di frammentarietà che non fa bene al ritmo, troppo sincopato per poter sviscerare con cura i concetti. Si indaga l’affinità tra Stati Uniti e Italia e l’importanza sociale del fumetto nel nostro paese, c’è il fumetto italiano, ma ci sono anche rivoli di altri discorsi, la spiegazione del senso ultimo della massima "Se puoi sognarlo, puoi farlo" (in realtà coniata da Tom Fitzgerald per l'attrazione Horizons al Walt Disney World Resort), un breve passaggio su Mary Poppins - francamente incastrato alla buona, giustificato solo alla luce dell'uscita di Saving Mr. Banks ma altrimenti zeppa in un flusso - o una carrellata, un po’ superflua, sui film preferiti dei vari intervistati. La qualità degli interventi inediti, in questo senso, è discontinua: sfugge il senso di coinvolgere Fabio De Luigi, Giovanni Muciaccia o Riccardo Scamarcio nel discorso e appare evidente come migliori il risultato quando si punta su personalità competenti in materia: trai tanti, Bruno Bozzetto, Silvia Ziche o Enzo D’Alò, che fa un minilezione di cinema spiegando la costruzione di una scena di Bambi.
La scelta sghemba di certe personalità, insieme alla breve durata e a un tono leggero che rischia spesso di scadere nel superficiale e di sfiorare appena certe tematiche, non fanno che azzoppare il documentario e dargli un aura di prodotto promozionale non granché gradevole. Ed è un peccato, perché il resto del materiale proposto è di ottima fattura. In tutto questo, infatti, va segnalato l’encomiabile lavoro d’archivio, tra spezzoni dell’Istituto Luce o delle teche Rai: emergono sequenze di Gianni Rodari, Umberto Eco o Carl Barks ed è difficile restare indifferenti di fronte al maestro dell’Oregon che legge la prima battuta messa in bocca a Zio Paperone.

Confezionato in maniera rigorosa - specie nella fotografia, molto curata - Walt Disney e l’Italia - Una storia d’amore è costellato di simili momenti fulminanti (tra cui un Disney più interessato a dar da mangiare agli elefanti che a rispondere alle domande del giornalista), ma è anche contornato da scelte non all’altezza del soggetto. Cionondimeno un buon prodotto, onesto, nonostante i difetti, e sincero nei confronti di una delle più importanti personalità del XX secolo.

Walt Disney e l'Italia - Una storia d'amore: intervista a Marco Spagnoli

Marco Spagnoli ha fatto praticamente di tutto. Laureato in filosofia, critico cinematografico, direttore artistico di festival, regista di documentari su personalità come Anna Magnani e Tonino Guerra, ha collaborato con una infinità di riviste che sarebbe pedissequo elencare e per la cui conoscenza rimandiamo al suo sito ufficiale, zeppo di notizie e contenuti.

A noi basta sapere che il suo ultimo lavoro, Walt Disney e l'Italia - Una storia d'amore, affronta il rapporto che una delle icone del XX secolo ha avuto con il nostro paese, includendo nel discorso, oltre all'animazione, anche il mondo dei fumetti. Il documentario, abbinato nei cinema del circuito The Space al film Saving Mr. Banks, è stato recentemente trasmesso da Rai 1.

Per l'occasione abbiamo intervistato l'autore, che ci ha rivelato, tra le tante cose, le inaspettate affinità tra Hegel e l'Uomo Ragno.

Per leggere la recensione di Walt Disney e l'Italia - Una storia d'amore, clicca qui.
Intervista a cura di Andrea Fiamma.

MarcoSpagnoliTi sei laureato in Storia delle Istituzioni Sociali e politiche e adesso hai diretto un documentario su Walt Disney. C'è qualche passaggio nel mezzo che ci siamo persi?
Beh vi siete persi venti anni di vita, tre figli, tre gatti, diverse collaborazioni giornalistiche e cinque documentari presentati di cui tre a Venezia, due al Festival di Roma, una candidatura al David di Donatello, una al Nastro d’Argento e uno al FOCAL che è l’Oscar del cinema che usa materiali d’archivio.

Coniugare due interessi così diversi è possibile, quindi?
Non trovo nessuna differenza tra leggere Hegel e Spider-Man. Con l'unica possibile caratteristica che ne La fenomenologia dello spirito non ci sono belle donne come Mrs. Marvel o Mary Jane Watson (che poi è anche un gatta morta).

Com'è nata l'idea di realizzare il documentario?
Stefano Bethlen di Walt Disney Company mi ha chiesto un’idea per accompagnare l’uscita di Saving Mr. Banks in Italia. Io ho risposto che un documentario sul rapporto tra Disney e il nostro paese sarebbe stato un modo perfetto per evidenziare il legame unico e speciale tra l’Italia e Disney. Il suggerimento è stato apprezzato ed eccoci qui…

L'aspetto "dietro le quinte" dei documentari passa spesso sotto silenzio. Come si costruisce un documentario del genere? Quanto è durato tutto il processo, dalla raccolta dei materiali al montaggio?
Il backstage di un documentario è meno ‘vibrante’ di quello di un film dove sono in gioco ego e creatività. Il nostro è stato un lavoro molto meticoloso durato complessivamente poco meno di un anno con una fase molto calda che è quella del montaggio. In un documentario tutto si basa sul lavoro del regista, del produttore, del montatore e del Direttore della fotografia. Noi abbiamo lavorato in grande sintonia con Disney company italia e quindi non c’è molto di divertente da raccontare.

La fotografia è molto curata, specie per la scelta degli sfondi in cui inserire le conversazioni. Ricordo un'intervista di Charles Ferguson, il regista del documentario Inside Job, in cui affermava che un documentario andava costruito anche dal punto di vista estetico, dagli ambienti fino alle cravatte degli intervistati. È una filosofia che senti di abbracciare o preferisci un prodotto meno curato ma più vitale e immediato?
Dipende dal materiale: io credo sia importante trovare un equilibrio tra i due elementi, ma sono anche convinto che sia il materiale a dettare la forma cinematografica. Il contenuto è più importante di tutto, perché una scena perfetta che non significa nulla, è meno interessante di qualcosa di più ‘sporco’ che, però, comunica grandi emozioni. L’importante è essere curati e mai sciatti.

C'è stato anche molto lavoro d'archivio, recuperando filmati di varie epoche. Come si è svolto il processo?
È un lavoro di archivio che significa entrare come in una libreria e vedere tante, tantissime ore di materiali. Sceglierli provare a montarli e chiederne i diritti.

Nel documentario compaiono due dei capisaldi dell'animazione italiana, Bruno Bozzetto ed Enzo D'Alò. Come vedi il settore? Ultimamente ci sono stati esperimenti interessanti, come L'arte della felicità, ma anche film meno riusciti (penso allo stesso Pinocchio di D'Alò).
L’animazione chiede risorse che, oggi, in Italia non sono disponibili per il cinema: dinanzi allo strapotere degli Americani e i tentativi interessanti dei Francesi il nostro paese è un po’ indietro. Sono certo, però, che il talento italico grazie alla tecnologia ci sorprenderà presto in questa direzione. Come nel caso de L’arte della felicità

Negli Stati Uniti l'eredità di Walt Disney è una questione molto sentita, prima Michael Eisner, CEO della compagnia negli anni ottanta e novanta, ora John Lasseter sono stati a più riprese definiti "i nuovi Walt". Credi che Lasseter sia un degno successore di Disney?
Lasseter che ho incontrato diverse volte è un genio, ma la differenza è che Walt Disney è stato un pioniere e un inventore. Oggi è più difficile e più facile al tempo stesso. Tutti amano l’animazione, ma ci sono tanti film e mantenere l’originalità non è semplice. Credo che avremo molte sorprese e che in futuro vedremo nuovi talenti che indipendentemente dai paragoni potranno fare cose egregie: da Genndy Tartakovsky a Katzenberg passando per lo stesso Tim Burton e Lasseter fino ad arrivare a Brad Bird e Henry Selick solo per citarne alcuni.

Il documentario ha accompagnato nei cinema Saving Mr. Banks, il film sulla realizzazione di Mary Poppins che mostra un Walt Disney all'apice del suo successo. C'è stata una buona dose di delusione da parte degli addetti ai lavori per le mancate candidature nelle categorie più importanti degli Oscar. Hai avuto l'occasione di vederlo?
Ho visto il fim a giugno proprio per preparare il documentario. Certamente: credo che Tom Hanks e Emma Thompson abbiano offerto un’interpretazione fantastica, così come lo stesso Paul Giamatti. Senza dubbio avrebbero meritato di più, ma oggi il film appartiene al pubblico che potrà fare sentire il proprio affetto.

Son of Batman, trailer e preview

  • Pubblicato in Toon

La Warner Bros. ha annunciato l'arrivo di un nuovo lungometraggio animato direct-to-video con protagonista Batman, Son of Batman. Il film, diretto da Ethan Spaulding, è basato sulla storia Batman and Son scritta da Grant Morrison e disegnata da Andy Kubert.

Diffusi un primo trailer e un dietro le quinte che vi mostriamo qui di seguito:

Anche se la Warner non ha ancora reso nota la data d'uscita, il film, che annovera tra i proprio doppiatori Jason O'Mara (Batman/Bruce Wayne), Stuart Allan (Damian), Morena Baccarin (Talia Al Ghul), Giancarlo Esposito (Ra's Al Ghul) e David McCallum (Alfred Pennyworth), dovrebbe arrivare nei negozioni statunitensi in primavera.

Io Me & Max - 1967-1992

Di tutto resta un poco, scriveva il poeta Drummond de Andrade.
Di tutto Io Me & Max, al sottoscritto, resta attaccato un pezzetto di Massimiliano Frezzato. E un poco di confusione, perché il libro è un ibrido tra un art book (ma che raccoglie anche inediti, schizzi delle elementari, prove colore) e un’autobiografia. L’autobiografia di Frezzato, creatore della saga fantasy (scientifica) I custodi del Maser.
Di un art book rimangono i disegni, a china sui fogli A4 o a matita su quaderni a quadretti di quando aveva otto anni, i temi in classe, e di un’autobiografia rimangono appunti scritti a lato della pagina.
Della sua vita, almeno fino al 1992, anno in cui termina il libro, resta uno Zibaldone di grande formato, un miscuglio di idee e persone e cose, piccoli dettagli che si ingigantiscono fino a diventare episodi rilevanti, interi anni glissati in un abbozzo, la nascita, la gelosia per il fratellino più piccolo, le scelte scolastiche, prima il liceo scientifico, poi l’artistico, e gli incontri - lavorativi e non - che lo porteranno a Margot, il personaggio creato con Jerome Charyn, su cui il libro si chiude. È un Frezzato che fa i conti con i bisogni primari dell’uomo, i suoi umori, perfino i più bassi (si perde il conto dei personaggi rappresentati mentre espletano funzioni corporee, perfino il pulcino in copertina).

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Di Frezzato rimane il rammarico che non sia saputo vendere come superstar veri cul, direbbe lui, invece di restare - per volontà propria o altrui non è dato saperlo - rinchiuso nella produzione di cataloghi o portofolii a tema, all’ombra di nomi altisonanti e di poco sostanza, magari ottimi illustratori, ma narratori scarsi se non disarmanti nella loro capacità di non rendere alcun senso della storia.
Della storia resta l’incipit, le prime pagine, messe a bell’apposta per enucleare in poche parole il senso del volume: l’uomo nudo, di fronte a sè e di fronte ai lettori, intento a rimestare i suoi ricordi sulla carta, carta che dovrebbe essere filtro e invece è humus dove piantare i propri pensieri, dove rovesciare la boccetta d’inchiostro, che defluisce diventando un dragone, la cui bocca aperta si trasforma nel negativo della Mole Antonelliana, in un quasi montaggio delle attrazioni.
Dell’incipit resta la convinzione, esemplificata qui sopra, che Frezzato sia un disegnatore eccelso, uno che se gli metti in mano una matita o un pennello non può che produrre belle cose (il lavoro tecnico sulle pagine di Maser è uno dei più certosini e impressionanti degli ultimi anni); e il resto lo fa l’atteggiamento, il modo di comportarsi, le pose e le espressioni, verbali e non, che impone loro nei suoi disegni: nella striscia Eropinocchio, il burattino di legno non può che catturare il lettore con i suoi grandi occhioni strafottenti e la sigaretta che gli pende dalla bocca.

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Ma è anche uno che con le storie c’ha qualche problema.
La sua creatura più famosa, I custodi del Maser, è tanto sontuosa quanto azzoppata dagli ingarbugliamenti della trama, nonostante l’aiuto in corso d’opera di Nikita Mandryka. Un caso da manuale della sindrome di George Lucas: genio visivo che vuole sceneggiare, ma lo fa in maniera debole, alla meglio. Perché la sceneggiatura, per il fumettista torinese, è una scusa per disegnare, un pretesto per fare sfoggio del suo talento. Una carenza che Frezzato ha sempre riconosciuto, ma che difficilmente riuscirà a superare. E infatti le uniche storie che sa scrivere davvero bene rimangono le sue, quelle autobiografiche (viene alla mente l’apprezzabile e dimenticato Tour de France), mentre le opere più felici che portano la sua firma lo vedevano rifugiarsi nelle parole degli altri: nella Margot di Charyn, nel Pinocchio di Collodi, nello Stregatto di Cossi o nel Peter Pan di prossima pubblicazione di Barrie. È un tema su cui l’artista riflette con insistenza, ne parla con franchezza nei commenti a margine delle numerose “prime pagine” mostrate nel volume, emblema della sua prima fase artistica, quella in cui il Maser era solo una parola saltatagli in mente per caso, quella in cui un giovane disegnatore non faceva che accumulare inizi di vicende, tavole di eroi richiamati all’ordine da una voce fuori campo, eroi spinti alla ricerca di qualcosa, una storia che desse loro lo status di protagonisti e a Frezzato quello di Autore.

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