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Fabio Loiodice

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Outer Darkness: Dentro la tenebra 1, recensione: Spazio, ultima frontiera

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"Spazio, ultima frontiera" è l’incipit di una famosissima serie tv di fantascienza, ma potrebbe benissimo anticipare le storie di questo Outer Darkness, scritto da John Layman (Chew) e disegnato da Afu Chan (The Immortal Iron Fist). Magari seguito da una frase da sermone sulle fiamme dell’inferno e sui diavoli che le abitano, tipo «Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli» (Mt. 25,41) (e, in effetti, ci va molto vicino). Disorientati? È più che normale: quello di Outer Darkness è un universo in cui magia e scienza sono mescolate, rimescolate ed intrecciate con esiti nuovi e intriganti.

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La serie, pubblicata in Italia da Saldapress, segue le vicende dello scontroso capitano Joshua Rigg che, al comando della nave spaziale Caronte, fa rotta nella tenebra profonda (outer darkness) per salvare un misterioso obiettivo. Ad accompagnarlo ci sono i suoi ufficiali, Agwe, prete voodoo, Soreena Prakash, l’amministratrice di bordo, il primo ufficiale Alastor Satalis e il navigatore Elox e numerosi altri sottoposti.
La somiglianza con Star Trek è evidente, di cui condivide alcune dinamiche, come le conflittualità (qui più violente e sboccata, fra gli ufficiali), l’elemento picaresco e la tendenza a far vittime fra le anonime redshirts (con qualche eccezione che non vi spoileriamo). Niente di nuovo, dunque, se non che molti di questi elementi tipicamente sci-fi sono riletti in chiave magico-orrorifica: lo spazio cosmico (outer space) ha tratti tipici dell’aldilà (outer darkness, citazione da Mt, 8,11 «E il servo inutile gettatelo nella tenebra; là sarà pianto e stridore di denti») ed è infestato da demoni e anime erranti che minacciano gli incauti esploratori. Ogni nave deve quindi contare nel suo equipaggio esorcisti e oracoli che combattano i demoni pronti ad assalire e possedere gli uomini a bordo. I singoli elementi, ripetiamo, non hanno nulla di innovativo; il principale merito di Layman e Chan è stato l’aver realizzato un universo coerente e affascinante.

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La trama di questo primo volume di Outer Darkness, che raccoglie i primi sei numeri della serie Skybound/Image Comic, si dipana abbastanza lentamente: sebbene non manchino le sequenze d’azione (anzi), la serie si struttura per storie quasi autoconclusive (arrivo sul pianeta-missione-partenza alla volta di un altro) legate da una continuity all’inizio blanda e via via più sostanziosa fino alla conclusione del volume. Fra le motivazioni di questa scelta dobbiamo considerare tanto la necessità di introdurre le dinamiche dell’universo fantastico/fantascientifico del capitano Riggs quanto quello di caratterizzare a fondo i numerosi personaggi (chi sono? da dove vengono? cosa vogliono?). Nonostante l’avvio lento, l’operazione è portata avanti con successo: la trama avanza senza grosse forzature grazie alle azioni dei personaggi, e l’universo narrativo che emerge diventa sempre più corposo. Peccato solo che l’albo si interrompa quando la trama orizzontale sta decollando.

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Se l’operazione di world-building di Outer Darkness è da considerarsi riuscita, il merito va anche al suo lavoro sul versante artistico: il tratto semplice, quasi cartoonesco, di Afu Chan funziona estremamente bene nella caratterizzazione dei personaggi e delle creature mostruose che infestano lo spazio, oltre che nella resa delle espressioni facciali. Funziona meno bene, invece, nelle splash-page e in particolare in tutte le scene nello spazio aperto, in cui l’assenza di dettagli (specie nell’astronave) non valorizza a pieno questa soluzione (che spesso dovrebbe costituire un picco nella narrazione). Nemmeno il lieve tratteggio che costella tutti i disegni vi riesce a supplire. Si tratta tuttavia di un difetto marginale che non occorre frequentemente: la tavola, una 5x1 con variazioni, è infatti divisa in fasce orizzontali di uguale altezza e piuttosto strette; è nelle vignette più piccole, a nostro avviso, che il tratto semplice di Chan dà il meglio di sé.
Un discorso a parte, infine, merita l’uso dei colori, sempre ad opera di Chan. Al tratto semplice dei disegni fa da contraltare un’ottima gestione della palette, tutta giocata sui contrasti caldo/freddo utilizzati volta a volta per distinguere i personaggi dallo sfondo (e quindi per dare tridimensionalità), per rendere l’illuminazione di neon e monitor nelle scene di interni e, infine, per sottolineare le sequenze narrative più importanti.

Dylan Dog #400, recensione: E ora, l'Apocalisse!

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Anzitutto, permetteteci una divagazione.
Quella volta Caravaggio aveva davvero superato ogni limite: dopo un litigio per futili motivi (un fallo al gioco della racchetta, pare) aveva ferito a morte tale Ranuccio Tomassoni. Interrogato dal notaio della Corte criminale romana, che lo aveva trovato in casa di amici, dove si era nascosto per guarire dalle ferite del duello, Caravaggio aveva risposto con insolenza, dicendo di essersi tagliato da solo con la spada. Messo alle strette, nel maggio del 1606 fuggì a Napoli, dove produsse, fra gli altri, il Davide con la testa di Golia: Davide, con la spada sguainata nella destra, solleva con la sinistra la testa mozzata di Golia. La parte più curiosa del dipinto è il fatto che il volto di Golia somigli molto, moltissimo a Caravaggio: stessa barba folta, stessi capelli lunghi e scuri dell’autore. La destinazione del quadro, inviato al cardinale Scipione Borghese per ottenere la grazia e tornare a Roma, ha fatto pensare ad alcuni interpreti che con quella somiglianza l’autore volesse umiliarsi e fare ammenda.
Ora, cosa c’entra il Davide con la testa di Golia con questo Dylan Dog #400? Moltissimo e niente, come vedremo a breve.

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L’albo, scritto da Roberto Recchioni e intitolato E ora, l’apocalisse! si pone il duplice obiettivo di chiudere il Ciclo della Meteora, - di cui tanto si è discusso in questi mesi - e, allo stesso tempo, com’è consuetudine dei numeri multipli di 100, di costituire uno snodo fondamentale della storia del nostro caro Indagatore dell’Incubo. Due obiettivi molto ambiziosi per un solo albo.
Per poter analizzare a fondo l’albo, ne riassumiamo brevemente la trama. Seguiranno spoiler.

Il fumetto si apre con l’arrivo della meteora. Londra viene distrutta e Dylan Dog, sopravvissuto al cataclisma, si avventura fuori dal suo appartamento in Craven Road. Ad aspettarlo, incredibilmente, c’è una versione a grandezza naturale del suo galeone con a bordo il suo assistente Groucho. Dylan s’imbarca, e inizia così una serie di peregrinazioni in un oceano popolato da zombi, mummie e altre creature mostruose. La navigazione mostra all’Indagatore dell’Incubo, che sembra aver dimenticato la sua identità, i resti della sua vita precedente: il maggiolino ormai ridotto ad un rottame, Morgana, alcuni elementi della sua città, Londra, ecc. Dopo lunghi viaggi Dylan riesce ad incontrare il suo creatore, Tiziano Sclavi (che nel fumetto è raffigurato in maniera sproporzionata e colossale). Questi gli chiede di ucciderlo: Dylan inizialmente rifiuta, ma dopo che Sclavi uccide Groucho (di nuovo!), l’Old Boy si rassegna e, con un colpo di machete, decapita il suo creatore. Dylan lancia la testa mozzata di Sclavi da cui nasce un nuovo universo. Le ultime due pagine ci mostrano un Dylan barbuto che inaugura la sua nuova attività come Indagatore dell’Incubo. Ad accompagnarlo, anziché Groucho, Gnaghi, personaggio creato da Sclavi per il romanzo (e poi film) Dellamorte Dellamore.

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Vediamo ora come Recchioni ha affrontato gli obiettivi che questo albo si propone di raggiungere. Cominciamo dall’ultimo. I fan di lunga data sapranno di certo che, a parte alcune eccezioni, ogni albo di Dylan Dog è autoconclusivo: la situazione iniziale, turbata dal cliente del mese e dai suoi problemi, viene ristabilita alla fine di ogni storia (con una o più uccisioni nel mezzo, ma senza che nulla tocchi davvero la quotidianità dell’Old Boy). Fra le poche eccezioni a questa struttura abbastanza rigida ci sono i numeri di cento in cento, che si occupano di portare avanti la Storia (con la S maiuscola) di Dylan Dog raccontandone i momenti più importanti. In questo senso il lavoro svolto da Recchioni è fedele alla tradizione solo a metà: ci sono tutti gli elementi classici della mitologia dylaniata (il galeone, i mostri, Groucho, la pistola), c’è l’uso del colore, c’è il metafumetto (incarnato, come nel numero #300, da un frustrato disegnatore alla fine del mondo), ma manca un vero e proprio approfondimento narrativo. Se i numeri #100, #200 e #300 ricostruivano il passato e il futuro dell’Old Boy, in questo caso Recchioni si colloca esplicitamente fuori dalla realtà narrativa della serie a fumetti, in un’atmosfera da sogno (o meglio da incubo) che è più un manifesto di come il personaggio di Dylan dovrebbe cambiare che un reale sviluppo narrativo. E, difatti, questo numero anticipa un ciclo di storie (contrassegnato dal numero 666 in copertina, accanto al titolo) progettato e scritto da Recchioni che promette una serie di cambiamenti sostanziali al personaggio.

Veniamo dunque al secondo punto. La questione della meteora, lasciata in sospeso alla fine del precedente albo, viene recuperata in maniera flebile al principio della storia e risolta, come già suggerito alla fine del #399, con il ricorso al metafumetto. In questo senso dobbiamo constatare, come avevamo già fatto per il #399, come la soluzione della vicenda sia in parte una non-risoluzione: il lieto fine c’è, ma non è raggiungibile su questo piano narrativo. Ma questo, in un certo senso, è il difetto minore di questo albo.
Come già detto, questo numero #400 è narrativamente esile: la storia affastella avventure slegate fra loro (proprio come Dylan si muove di isola in isola) inframmezzate con le riflessioni del protagonista e con una mole non indifferente di citazioni più o meno fini a se stesse (fra tutte: i Doors, L’attimo fuggente, Star Wars, L’Odissea, Blade Runner e Edoardo Bennato). L’intero albo, si potrebbe dire, non è che una grossa riproposizione di Apocalypse Now (e del suo antecedente letterario Cuore di tenebra), con il rapporto fra Dylan/Willard e Sclavi/Kurtz a reggere tutto il numero: Sclavi è l’eredità ingombrante (anche fisicamente) di cui bisogna liberarsi per andare avanti. La sua morte è, metaforicamente, l’uccisione del passato. E qui si inserisce la divagazione dell’inizio: il cuore della storia è la decapitazione di Sclavi, decapitazione rappresentata citando il quadro di Caravaggio, con Dylan nel ruolo di Davide e Sclavi in quello di Golia. Ma se il Merisi era stato tanto umile da rappresentare se stesso nelle fattezze del decapitato, Recchioni, in maniera dissacrante (e un po’ insolente), sceglie di uccidere proprio il creatore dell’Indagatore dell’Incubo, aprendo così la strada ad un nuovo Dylan Dog.

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Detto questo, bisogna però osservare che un conto è manifestare la volontà di rivoluzionare un personaggio, un altro è passare ai fatti scrivendo storie rivoluzionarie. In questo senso lo sclavicidio (passateci il termine) alla fine della storia è più un auspicio che un dato di fatto: distrutto (anche nella realtà narrativa!) il mondo intero, bisogna ora vedere se nei numeri dal 401 in poi Recchioni riuscirà a ricostruire un mondo dell’Indagatore dell’Incubo parimenti interessante e originale. Per tanto, la missione di quest'albo quest’albo potrà essere giudicata solo nei mesi a venire.

Veniamo al comparto grafico. La Bonelli ha voluto celebrare l’uscita di questo numero con ben quattro copertine variant, affidate a Gigi Cavenago, Corrado Roi, Angelo Stano e Claudio Villa e colorate tutte da Cavenago, che ne ha realizzato anche i concept. Ognuna di queste, virata su di una tonalità diversa, ci mostra l’Old Boy accanto ai suoi oggetti più rappresentativi: lo vediamo ricaricare la sua pistola (Stano), suonare il clarinetto (Villa), costruire il modellino del galeone (Cavenago) e scrivere il suo diario (Roi). Le copertine, accomunate dalla cifra 400 sullo sfondo, sono nel complesso piacevoli, anche se siamo lontani dall’inventività e dalle ottime composizioni di Cavenago viste nei numeri precedenti.
I disegni sono affidati a Stano e per i colori di Giovanna Niro. Unica eccezione sono le ultime due pagine dell’albo, disegnate da Corrado Roi e lasciate in bianco e nero, a segnalare stilisticamente lo stacco narrativo in chiusura del numero. Nel complesso, è chiara la volontà di confezionare un albo sontuoso dal punto di vista artistico: abbondano le splash-page e non mancano alcune soluzioni visivamente interessanti, come il combattimento nella giungla con gli zombie, l’apparizione di Morgana e la resa caricaturale di Sclavi, vette di un albo graficamente al top, tanto nei disegni quanto nel colore.

 

Dylan Dog #399 – Oggi sposi (-1 alla meteora!), recensione

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Finalmente (con tutta l’ambiguità che l’avverbio nasconde) il conto alla rovescia ha raggiunto quota -1. È passato più di un anno da quando la minaccia della meteora ha iniziato ad occupare le pagine degli albi del nostro amato Indagatore dell’incubo. Se ciò è avvenuto con più parsimonia del dovuto, a causa di una continuty molto blanda, non si può negare che l’operazione orchestrata da Roberto Recchioni abbia fatto rumore: tutti quanti aspettano la meteora, sia per liberarsene e andare avanti sia per sapere come andrà a finire.

È giunto il momento di iniziare a prendersi le proprie responsabilità narrative e di sciogliere tutti i nodi lasciati in sospeso (e spesso solo appena accennati) negli albi precedenti: la meteora colpirà la Terra? Dylan Dog salverà il mondo? Qual è il piano che John Ghost va architettando da ormai tredici numeri? In questo Dylan Dog #399 intitolato Oggi sposi e scritto da Recchioni e disegnato a dodici mani (dodici!) da Corrado Roi, Marco Nizzoli, Luca Casalanguida, Nicola Mari, Sergio Gerasi e Angelo Stano si giunge finalmente al momento della verità in cui i nodi arrivano al pettine. Peccato che le risposte date e le soluzioni scelte siano alquanto artefatte e poco credibili, anche per chi mensilmente è abituato a leggere di streghe, vampiri e spiriti vari. Ma procediamo con ordine.
In questo numero seguiamo i preparativi dell’imminente matrimonio di Dylan, unica possibilità, secondo l’infallibile John Ghost, di sventare l’apocalisse. Se non volte incappare in spoiler, vi consigliamo di saltare i prossimi paragrafi.

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La sposa si chiama Alice Newton, una ragazza conosciuta (e salvata) da Dylan Dog nel corso di un furioso combattimento corale fra l’Indagatore dell’Incubo ed i suoi alleati contro i vampiri nazisti dell’ex-sovrintendente di Bloch. Solo il matrimonio, secondo i calcoli della fisica fantastica (sì, avete letto bene, fisica fantastica) di John Ghost può sventare l’avvento della meteora. Peccato, però, che Dylan venga piantato all’altare da Alice, convinta che Dylan debba sposarsi per amore con qualcuno che conosce da sempre. La situazione sembra ormai irrecuperabile ma, all’ultimo momento, Dylan capisce che l’unica persona che potrebbe mai sposare è nientemeno che Groucho. E così John Ghost celebra il matrimonio fra Dylan e Groucho. Arriva, a questo punto, Gorman, un vecchio avversario di Dylan deciso a prendersi la sua vendetta: Gorman spara, ma Groucho si frappone fra Dylan e il proiettile, venendo colpito. Groucho muore, realizzando così il piano di John Ghost: solo la morte dell’amato può convincere Dylan a fare giustizia, uccidendolo e trasformandolo così in un assassino. Dylan, dopo un’esitazione, spara a John Ghost, uccidendolo. La meteora arriva. Chiusura del numero.

Questa, in brevissimo, la trama del #399. Pur presentando qualche sequenza piacevole e alcuni scambi abbastanza felici, l’albo, culmine del ciclo della meteora, si affida a un elemento, quello meta-fumettistico, non solo del tutto improvviso, ma anche abbastanza artificioso. È in base ai calcoli fisica fantastica di John Ghost (una conciliazione di teoria del tutto e narratologia aldilà dell’umana comprensione tranne, ovviamente, che per il suo creatore) che il pianeta Terra si salverà: John Ghost sa che Dylan, come gli altri, è un personaggio di un mondo di finzione e sa anche che nella finzione i luoghi comuni sono più veri delle regole della fisica: “Perché i timer delle bombe si fermano sempre all’ultimo secondo quando è l’eroe a tagliarne i fili?” chiede ad un certo punto. Dunque la Terra si salverà perché è così che accade nel mondo delle storie, in cui è l’eroe prescelto - il nostro Old boy - a salvare il mondo sempre e comunque, anche a prezzo di enormi sacrifici.

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Quella della svolta meta-fumettistica avrebbe potuto essere una trovata interessante: l’idea degli autori è quella di riscrivere le regole della serie e del personaggio, per rilanciarlo con sorta di reboot a partire dal numero 401, facendo crollare letteralmente tutto il suo mondo. Tuttavia, nella realizzazione, questa soluzione appare fin troppo forzata e il fatto che giunga così tardi e senza alcun preavviso non solo stona con tutta la (sfilacciatissima) continuity precedente, ma finisce con l’avere il sapore di un gioco di prestigio: tutti i numeri del ciclo hanno contribuito a creare una situazione di attesa (apocalisse imminente, il caos che avanza) la cui risoluzione, ad ora, sembra affidata a un escamotage meta-fumettistico: ci sarà un lieto fine perché questa è una storia e nelle storie c’è sempre (o quasi). A garantire il risultato c’è, come già detto, la fisica fantastica di John Ghost, i cui calcoli “oltre la nostra portata intellettiva” mettono a dura prova la sospensione dell’incredulità (e la fiducia) del lettore. La montagna ha partorito un topolino, diceva Fedro. E con grande ritardo, aggiungeremmo noi: è un peccato aver condensato in un solo numero eventi che, a nostro avviso, avrebbero meritato molte più pagine. Perché pianificare un ciclo di più di dieci numeri se eventi come il matrimonio di Dylan, la morte di Groucho ed il complotto di Ghost vengono liquidati in poche vignette, specie se tali eventi promettono di lasciare un segno indelebile sul caro vecchio Indagatore dell’incubo? Oltretutto, più che affidare il cambiamento del personaggio a una svolta meta-fumettistica, si poteva utilizzare l’alto numero degli albi del ciclo della Meteora per apportare cambiamenti graduali e concreti, senza aver bisogno di deus ex-machina così ingombrante.

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Passando al comparto grafico, anticipato dalla bella copertina di Gigi Cavenago in cui fanno capolino, a sottolineare l’impostazione meta-fumettistica del numero, numerosi eroi Bonelli da Martin Mystére a Mercurio Loi passando per Julia e Dragonero. Il numero è affidato, come anticipato, a ben sei disegnatori, ovvero, Corrado Roi, Marco Nizzoli, Luca Casalanguida, Nicola Mari, Sergio Gerasi e Angelo Stano. Si tratta di sei matite molto diverse l’una dall’altra (si confronti il tratto tremolante ed espressivo di Gerasi con le atmosfere surreali e rarefatte di Roi, ad esempio) che in un altro contesto risulterebbero decisamente stonate; è chiaro, tuttavia, che questo numero 399 si pone l’obiettivo di essere un numero storico, ragion per cui ha senso optare per un lavoro a più mani. La stessa scelta di porre Stano come disegnatore che chiude il numero rientra perfettamente in quest’ottica celebrativa. Detto questo, bisogna riconoscere che ogni artista sembra avere ricevuto la parte di storia che più gli si confà (un plauso al Groucho di Gerasi ed alla sequenza action di Nizzoli, in particolare, Roi perfetto nella parentesi onirica che apre il numero). La griglia bonelliana, quasi sempre costante, lascia spazio qua e là a qualche divagazione arricchente (in particolare segnaliamo un paio di tavole realizzate seguendo la griglia 3x3 resa celebre dal Watchmen di Alan Moore).

Dylan Dog #398 – Chi muore si rivede, (-2 alla meteora!), recensione

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La morte, a volte, è uno scheletro. Altre volte è una vecchia orribile (altrettanto scheletrica). Solitamente si mostra avvolta in un ampio mantello e ha il teschio coperto da un cappuccio. Il cavallo (anche questo con le ossa a fior di pelle) va e viene a seconda delle rappresentazioni, come va e viene il corteo di scheletri festosi che si porta dietro nei suoi Totentanz al chiaro di luna mentre la falce, una lunga sinistra affilatissima falce, quella sì che non manca mai. È questa solitamente la rappresentazione del tristo mietitore, se escludiamo un paio di esempi illustri nel campo dei balloon (uno su tutti, il personaggio di Death in Sandman, rappresentato da Neil Gaiman come una ragazzina un po’ goth ed un po’ ingenua). Ma, tralasciando le dovute (e doverose) eccezioni, esiste un minimo comune denominatore che accomuna tutte le rappresentazioni della morte: la morte fa paura.

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«Perché deve sempre essere qualcosa di cupo e spaventoso?», ci si chiede ad un certo punto in questo Dylan Dog #398, intitolato Chi muore si rivede, «la morte può anche essere bellissima… o divertente!». È questa la premessa dell’agenzia Funny die al centro delle vicende di questo numero scritto dalla consueta Paola Barbato: esaudire - dietro lauto compenso - ogni desiderio dei propri clienti e, prima che il sogno finisca, ucciderli sul più bello. Un servizio che va a ruba anche grazie all’isteria scatenata dall’arrivo (ormai davvero imminente) di quella meteora che ormai non ha più bisogno di presentazioni e che arriva a coinvolgere personalmente il nostro affezionato Indagatore dell’incubo quando la sua nuova fiamma, April, sceglierà di acquistare il pacchetto per una morte da sogno. È allora che Dylan dovrà indagare per salvare la sua amata e per scoprire chi è al comando di questa agenzia.

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Paola Barbato, che abbiamo già visto all’opera su molti dei numeri di questo Ciclo della Meteora, parte da uno spunto interessante e lo elabora bene fin quasi a metà albo: ne viene fuori una trama che alterna momenti splatter, grotteschi e sanguinolenti a momenti che risultano disturbanti, anche senza mostrare sbudellamenti e cadaveri (tra cui la sequenza dei futuri clienti in coda alla Funny die). Dalla seconda metà dell’albo, pur mantenendo la tensione in crescendo, la trama finisce però in mano a una serie di antagonisti fra i meno noti dell’Old Boy che, tanto in veste di comparsa quanto di deus ex machina, intervengono anche in maniera significativa nella risoluzione della vicenda (chi non muore si rivede, ovviamente). Questa idea potrebbe funzionare per i lettori più accaniti del nostro Indagatore dell’incubo, contenti di riconoscere i riferimenti incrociati nell’albo, ma creano nei lettori saltuari (nonché in quelli dalla memoria corta) la sensazione di non capire cosa stia succedendo: affidare la parte finale della trama a personaggi che al lettore medio non dicono niente significa lasciarli a fine lettura con un grosso punto interrogativo.

Il comparto grafico affidato a Paolo Armitano (che ha collaborato con la Barbato anche nel graphic novel A mani nude), risulta ottimo, specie quando si prende qualche libertà rispetto alla consueta gabbia bonelliana, conferendo un ritmo più serrato alla narrazione dove necessario. Buone la gestione delle sequenze splatter e l’uso dei neri, specie nella resa delle atmosfere. Segnaliamo, infine, la bella copertina dai toni acidi dell’habitué Gigi Cavenago, che realizza un piccolo gioiellino dal punto di vista della composizione.

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