Il grande Belzoni
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Il Grande Belzoni, nono romanzo a fumetti Bonelli scritto e disegnato da Walter Venturi, racconta la storia di Giovanni Battista Belzoni, avventuriero italiano vissuto nella prima meta dell’Ottocento.
Il protagonista è un ingegnere italiano emigrato a Londra in cerca di fortuna ma animato anche da un forte spirito di avventura che la capitale inglese non sembra poter soddisfare. È proprio il suo forte desiderio di nuove esperienze che lo porterà ad abbandonare Londra per recarsi insieme alla moglie verso un Egitto che, fresco di colonizzazione Napoleonica, rappresenta un terreno più fertile per la scoperta di antichi reperti archeologici ancora sconosciuti all’umanità.
Dapprima, Giovanni Belzoni proverà a implementare nuove soluzioni tecnologiche per l’irrigazione dei campi con il finanziamento del pascià locale Muhammad Alì; fallito questo tentativo, troverà soddisfazione nel ridare alla luce le meraviglie sepolte della civiltà egiziana come il tempio di Abu Simbel, completamente coperto di sabbia e da lui liberato, la tomba di Sethi e l’entrata della piramide di Chefren.
Le difficoltà di Belzoni nell’attività archeologica, caratterizzata da profondi contrasti con gli altri avventurieri stranieri presenti in Egitto, ed il progressivo allontanamento dalla moglie renderanno la sua passione sempre più una vera e propria ossessione che finirà per prevalere sulla purezza del suo spirito iniziale.
Giovanni Belzoni è un uomo particolare: è alto più di due metri (come specificato nella lunga prefazione) e fa della sua forza fisica uno dei suoi principali vantaggi rispetto agli altri esploratori in quanto questa gli consente ritmi e sforzi non alla portata di tutti. Al tempo stesso il suo personaggio è fatto da insicurezze, frutto di molti fallimenti e da un contesto che lo penalizza più di quanto non meritino le sue capacità. Nella migliore tradizione ottocentesca, il suo ruolo di avventuriero impone dentro di sé quella scintilla che porta i grandi esploratori alla ricerca ossessiva di un traguardo che per alcuni non sarà mai raggiunto, mentre per altri rappresenterà il mezzo per lasciare la propria impronta sulla storia dell’umanità.
Del resto l’ottocento è forse il secolo che più si presta ad un personaggio di questo tipo: l’uomo non ha ancora ancora esplorato a fondo la sua storia e il territorio in cui vive, ma inizia a sviluppare i mezzi tecnici per poterlo fare. Il desiderio ardente di nuove scoperte abbinato alla possibilità concreta per i più bravi di riuscirci non può che accendere lo spirito degli animi avventurosi, come quello di Belzoni. Allo stesso tempo, come per tutte le passioni, il rischio è quello di trasformare questi sentimenti in un tormento profondo che va a distruggere tutto quello che circonda il soggetto in questione. È il caso del protagonista che, logorato dai suoi contrasti e dai suoi sogni, è destinato a perdere del tutto di vista la realtà esterna, trasformando prima la sua storia d’amore in un matrimonio conflittuale, e finendo poi per non capire i propri limiti e imbattersi in un’impresa non alla sua portata.
Il Grande Belzoni è un ottimo romanzo di avventura; ha una solida storia alle spalle e la capacità da parte dell’autore di raccontarla in maniera ottimale.
Uno dei suoi pilastri fondamentali, oltre ovviamente all’ingombrante figura del protagonista, è costituito dall’ambientazione della storia, frutto sia di eccellenti disegni in grado di definire in maniera ottimale il contesto in cui si svolge la narrazione che di una modalità narrativa capace di sapere mantenere il ritmo sempre a livelli buoni, senza concedere momenti meno brillanti di alti.
Il fascino dei luoghi raccontati e disegnati da Venturi, infatti, rappresentano senza dubbio un elemento fondamentale per quest’opera in quanto impreziosiscono la narrazione trasferendo nel lettore proprio quel desiderio di avventura che è alla base della figura principale.
Sotto questo profilo dunque, la prova dell’autore è molto positiva; i disegni riescono a districarsi in maniera perfetta in tutte le ambientazioni proposte: raffinati nella parte di Londra, suggestivi quando mostrano le bellezze dell’Egitto e opportunamente dinamici nelle tavole più di azione.
La storia in sé, invece, risulta essere buona ma non altrettanto incisiva.
Il tema degli avventurieri archeologi non è innovativo ed è quindi davvero difficile proporre delle chiavi di lettura interessanti; inoltre, il fatto che la vicenda sia ispirata da personaggi realmente esistiti e avvenimenti realmente accaduti può in taluni casi rappresentare un limite in quanto diventa più arduo arricchire la storia con elementi più suggestivi. Utilizzando uno scontato riferimento a Indiana Jones, cosa sarebbe stato del suo personaggio se fosse esistito realmente e anziché occuparsi dell’Arca dell’Alleanza e del Sacro Graal si fosse occupato di ritrovamenti più “alla portata” di tutti?
Ovviamente questa non è una critica alla figura di Belzoni, perché comunque si sta parlando di un personaggio a suo modo avvincente, ma il paragone con personaggi o opere di fantasia dello stesso genere rischia di far passare come abbastanza semplici le vicende narrate dall’albo.
In conclusione, Il Grande Belzoni è un albo che riesce ad essere a suo modo avvincente: si lascia leggere molto agevolmente e non offre mai momenti morti, nonostante la lunghezza considerevole dei romanzi Bonelli.
Volendo essere particolarmente critici e trovare un possibile punto debole dell’albo, questo si può identificare nello spazio limitato dato alla parte finale del racconto che, pur non avendo le stesse tematiche avventurose del resto del romanzo, rappresenta uno dei momenti di maggior pathos dell’intero albo e come tale, forse, andava sviscerato in maniera più dettagliata.