Birds of Prey e la fantasmagorica rinascita di Harley Quinn: recensione
- Scritto da Antonio Ausilio
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Ebbene sì, lo ammettiamo, ci eravamo illusi che ai piani alti della Warner Bros., dopo il clamoroso successo di Joker, avessero capito la lezione: per quanto in netta controtendenza con i classici cinecomic visti finora, a cui non è per nulla assimilabile, la pellicola di Todd Phillips avrebbe dovuto almeno insinuare il dubbio in Walter Hamada, Geoff Johns e negli altri boss della DC Films, che lasciare la qualità in secondo piano, a favore del solito, vuoto, sfoggio di azione fracassona, difficilmente avrebbe condotto la nuova produzione al successo. E invece, forse perché abbagliati dai sorprendenti exploit commerciali dei film dedicati a Wonder Woman e Aquaman (che, sebbene siano i risultati migliori del cosiddetto DC Extended Universe, a malapena possono essere avvicinati alla media delle pellicole dei Marvel Studios), ecco arrivare questo Birds of Prey e la fantasmagorica rinascita di Harley Quinn, che già a partire dal titolo fa capire quanto la confusione (anche se verrebbe da dire, l’incompetenza) regni ancora sovrana nella divisione supereroistica della Warner. Come spiegare, altrimenti, la decisione di realizzare un film in cui l’unica vera protagonista è Harley Quinn e lasciare il nome del personaggio relegato al sottotitolo scritto in caratteri microscopici, a malapena visibile sulle locandine e nei titoli di testa? Ma, come vi abbiamo riferito nei giorni scorsi, qualcuno, nel frattempo, deve essere rinsavito, perché, dopo il deludente esordio al botteghino, ad alcune catene cinematografiche americane è stato concesso di cambiare tale titolo (Birds of Prey and the Fantabulous Emancipation of One Harley Queen) nel più semplice, e meno equivocabile, Harley Queen: Birds of Prey (una correzione che, tuttavia, denota la fretta e la poca lucidità con cui la DC Films è corsa ai ripari: non sarebbe stato meglio rinominare la pellicola come “Harley Queen and the Birds of Prey”?).
E dire che, all’inizio, il film si lascia anche vedere, con un divertente prologo animato che, in pochi minuti, riassume le origini dell’antieroina interpretata da Margot Robbie e ne introduce il nuovo status quo, dopo le vicende narrate in Suicide Squad (la mediocre pellicola di David Ayer del 2016, di cui questo Birds of Prey deve essere considerato uno spin-off), riuscendo anche a liberarsi subito, in maniera piuttosto abile, della presenza ingombrante del Joker (che viene solo citato, ma non compare mai nella pellicola). La Robbie, tra l’altro, mostra di trovarsi molto a suo agio nei panni della protagonista e anche Ewan McGregor, almeno nella prima parte del film, gigioneggia divertito nell’ostentare il sadismo del suo personaggio (il boss del crimine Roman Sionis, alias Black Mask). Il problema è che, molto presto, la giovane regista Cathy Yan deve arrendersi di fronte alla pochezza della sceneggiatura (opera di Christina Hodson, già autrice dello script del non certo esaltante Bumblebee), che, a parte qualche felice trovata iniziale (Harley che adotta una iena e la chiama Bruce, come l’alter ego di Batman o le scene che vedono la protagonista sfruttare la fama del suo ex fidanzato per rimanere impunita), si arena quasi subito in una sequela di cliché scontatissimi, da riuscire ad annoiare anche spettatori con ben poche pretese.
La povera filmmaker di origini cinesi ce la mette davvero tutta a far emergere il suo talento, cercando di sopperire alle banalità della trama con frequenti derive cartoonesche ed estetica pop in dosi massicce. Purtroppo, però, alla fine, il film appare più come un poco riuscito intruglio citazionista di opere di ben altro spessore che un lavoro veramente originale: alcune scene volutamente camp nel lungo combattimento finale, per esempio, vorrebbero essere un omaggio alla mitica serie televisiva di Batman degli anni Sessanta, ma pur essendo una commedia action e nonostante la follia della protagonista, la pellicola arriva a sfiorare la divertente demenzialità dello show con Adam West solo a tratti. Inoltre, l’evidente tentativo di emulare l’umorismo scorretto dei due lungometraggi dedicati a Deadpool, non si concretizza quasi mai, con un’irriverenza di facciata, che somiglia solo vagamente alla giocosa volgarità delle due pellicole interpretate da Ryan Reynolds.
Forse consapevole di questi limiti, nel finale, la produzione decide di rifugiarsi in uno sviluppo degli eventi più che convenzionale, dove l’inevitabile scontro tra buoni e cattivi riesce a trovare l’unica sua ragion d’essere nelle belle scene di lotta coreografate da Chad Stahelski (noto per aver diretto i tre film di John Wick). Veramente troppo poco, per un film teoricamente concepito per ridurre la distanza con i rivali dei Marvel Studios. E se qualcuno ancora dubitasse della pessima scelta del titolo, tenete presente che le varie Renee Montoya, Helena Bertinelli (Cacciatrice), Cassandra Cain e Black Canary, sono, spesso, poco più che delle comparse. Inoltre, interpretazioni inadeguate (su tutte quella di Rosie Perez nei panni del detective Montoya), inspiegabili trasformazioni dei personaggi dei comic book (cosa c’entra la paffuta ladruncola del film con la figlia di David Cain e Lady Shiva dei fumetti?) e caratterizzazioni ridicole (trovare qualcuno che possa giudicare divertente l’improponibile Cacciatrice che compare nella pellicola, è un’impresa non da poco) riescono a mettere in ombra non solo l’ottima Margot Robbie, di cui abbiamo già detto, ma anche la brava Jurnee Smollett-Bell, la cui Black Canary è l’unico personaggio di un certo spessore, oltre alla protagonista, che avrebbe meritato più spazio.
Insomma, se questo è quello che ci dobbiamo aspettare con i prossimi film della Warner/DC, allora poveri noi: già tremiamo a quello che ci toccherà sopportare quando sullo schermo torneranno i big della casa editrice newyorkese.