Aquaman, la recensione del film: l'ora del riscatto per il DCEU
- Scritto da Mario Aragrande
- Pubblicato in Screen
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Aquaman è il cinecomic che non ti aspetti: sesto capitolo del DC Estended Universe, deve affrontare la diffidenza di pubblico e critica già prima della sua uscita, vista la fredda accoglienza ricevuta dai film che lo hanno preceduto, incentrati su personaggi (Superman e Batman su tutti) ben più famosi dell'alter ego di Arthur Curry. Ma come insegna Ant-man, sono i personaggi minori che regalano le sorprese più impreviste se si trova una chiave narrativa vincente per adattarne la storia sul grande schermo: così, mentre per l’Avenger in miniatura, per esempio, si è puntato sull’ironia, per l’atlantideo la scelta è ricaduta sull’avventura, raccontata con un pizzico di kitsch, ed in entrambi i casi si è fatto centro.
Le difficoltà dietro al progetto di un film dedicato ad Aquaman erano molteplici fin dall’inizio: a differenza del Marvel Cinematic Universe, infatti, i film ispirati all’universo a fumetti della DC Batman vs Superman: Dawn of Justice, Justice League, Suicide Squad, ma non per esempio Wonder Woman e Superman: Man of Steel) sono stati segnati da grandi difficoltà e compromessi in fase di produzione, che ne hanno leso la riuscita finale; in generale, poi, scontano una minore capacità di programmazione a lungo termine della Warner Bros. rispetto ai Marvel Studios, che non consente di avere una visione chiara degli obiettivi e dei messaggi che si vogliono trasmettere con la trasposizione dei personaggi dei fumetti al cinema; inoltre, il personaggio di Aquaman non è conosciuto come i suoi colleghi della Justice League ed è dotato di poteri (l’abilità di parlare con i pesci su tutti) e di una storia che spesso, per usare un eufemismo, risultano poco accattivanti per il grande pubblico, se non addirittura ridicole (nota, ad esempio, l'ironia fatta in The Big Bang Theory in cui viene apostrofato con un non certo lusinghiero “Aquamansucks”).
La sfida di superare queste difficoltà è stata accettata dal regista James Wan, già autore di film horror quali Saw e The Conjuring, che decide di portare sul grande schermo la sua visione di un nuovo mondo, Atlantide, prendendo liberamente spunto (complice il soggetto concepito da Geoff Johns, direttore creativo responsabile della DC Comics), da diversi archi narrativi contenuti nel rilancio di Aquaman avvenuto nel 2011 sotto il reboot New 52. Il cineasta è affiancato da Jason Mamoa, attore di serie tv quali Game of Thrones e Baywatch, già apparso nei panni di Arthur Curry in Justice League, e da altri grandi nomi, come Nicole Kidman nei panni di Atlanna, madre dell’eroe e regina di Atlantide, William Defoe che impersona Vulko, mentore dell’eroe, Amber Heard, splendida principessa Mera, compagna di avventura e fiamma di Aquaman, Patrick Wilson interprete di Orm fratellastro di Arthur e Dolph Lundgren, cioè Re Nereus, padre di Mera e alleato di Orm nel tentativo di conquista del titolo di Ocean Master.
La trama del film non punta certo sull’originalità, ma è solida nel suo tentativo di esplorare il viaggio di formazione di un eroe riluttante. Arthur è figlio dell’unione tra due mondi lontani: suo padre è Tom, umile guardiano di un faro, e sua madre è Atlanna, regina di Atlantide che, fuggita da un matrimonio combinato, viene salvata dall’umano, di cui finisce per innamorarsi. L’idillio domestico ha breve durata, perché il passato di Atlanna ritorna a minacciarla e per non mettere in pericolo la sua famiglia, la donna accetta di tornare al suo ruolo di regina di Atlantide, dal quale sarà però allontanata dal re per punire il suo tradimento, dopo aver dato alla luce un altro figlio, Orm. Il fato di Atlanna, esiliata nel più feroce dei regni sottomarini, sembra segnato, mentre Arthur cresce nella speranza di rivederla e impara con l’addestramento di Vulko, consigliere del re, i segreti di Atlantide. Scosso dalla notizia del fato della madre, Arthur preferisce vivere lontano dal mondo sommerso, ma la sua sete di avventure lo porta a diventare un eroe legato al mare: per esempio, salva un sottomarino da un team di pirati, lasciando morire per spacconaggine uno di loro e attirandosi il desiderio di vendetta del figlio, che finisce per diventare il criminale Black Manta, alleandosi con il fratellastro di Arthur. Intanto la figlia di Re Nereus, Mera, già vista in Justice League, cerca di convincere Arthur ad abbracciare la sua eredità e a diventare re di Atlantide destituendo suo fratello, per scongiurare la guerra che questi vuole muovere al mondo di superficie, colpevole di inquinare e deturpare i sette mari. Ma per riuscire in questo intento Arthur dovrà ritrovare il perduto tridente di Atlan, attraverso una non facile ricerca negli angoli più remoti del pianeta, prendere coscienza di sé e scendere a patti col suo passato.
Non potendo contare, come detto, sulla trama, piuttosto scontata, e sull’interesse per il personaggio, Wan decide di stupire il pubblico costruendo un mondo nuovo, il regno di Atlantide, caratterizzato da un’ambientazione subacquea maestosa e credibile, al contempo tradizionale e futuribile e attenta a rendere i movimenti, le espressioni e le interazioni degli esseri umani nel mondo sotterraneo (e anche i loro poteri), assolutamente realistici e, per questo, coinvolgenti. Il regista si concede anche (con un omaggio riuscitissimo, che non stona nel generale tono avventuroso della pellicola) una breve incursione nel genere che lo ha reso famoso al grande pubblico, l’horror, con una sequenza breve sul finale del film, nella quale il protagonista e Mera affrontano il popolo sottomarino che protegge l’accesso al tridente di re Atlan.
Altro elemento su cui Wan gioca splendidamente le sue carte è il tema della formazione dell’eroe, che all’inizio si presenta come un adolescente dotato, ma capriccioso e riluttante ad assumersi le sue responsabilità: questo classico topos letterario è declinato in chiave avventurosa, e il risultato è una pellicola piena di azione, che omaggia anche i classici del genere e restituisce, soprattutto nel finale, una sfumatura di epicità al personaggio, che trova una marcia in più per compiere le sue imprese eroiche proprio in quell'elemento che lo rende, agli occhi del pubblico, più ridicolo.
Da notare la scelta di stemperare la generale lunghezza del film e delle sequenze d’azione con l’inserimento di alcuni elementi decisamente kitsch: per quanto siano spettacolari le sue imprese, infatti, Aquaman trova il tempo di flirtare in maniera davvero rozza in una Sicilia troppo stereotipata per essere vera, di lanciarsi in una avventura all’Indiana Jones nel deserto del Sahara sulle note di un remix di Africa dei Toto di dubbio gusto e di fare battute da ragazzino in gita scolastica di fronte a reperti archeologici di inestimabile valore. Per quanto possa sembrare incredibile, questa scelta non disturba, anzi contribuisce a rendere più umano e credibile il personaggio, differenziando il tipo di comicità dell'opera da quella presente nei film Marvel, meno colorita e sopra le righe.
Quanto al cast, se la scelta di Mamoa e di Amber Heard è particolarmente azzeccata, poiché entrambi gli attori risultano credibili nei panni l'uno dell'eroe protagonista, grazie alla sua fisicità esplosiva e a quella sua aria da spaccone, anche un po' scemo, che tuttavia nasconde la sua paura dell’inadeguatezza e la sua riluttanza ad accettare il proprio ruolo, in un mondo che gli ha sottratto il suo affetto più caro, e l'altra della principessa guerriera, più sveglia e risoluta del suo compagno di viaggio, e decisa a guidarlo nella sua odissea attraverso il mondo per salvare il suo regno, mentre cerca di non innamorarsi di lui (regalando così un po' di pepe al lato romantico del film). Un po' sprecata appaiono le presenze di Nicole Kidman e Willem Dafoe, relegati a ruoli di secondo piano (nel caso di quest'ultimo, tra l'altro, lontani dalla rappresentazione cartacea) che non rendono giustizia al loro talento. Avrebbero sicuramente meritato più spazio e un maggiore approfondimento dei loro personaggi.
Funzionano invece i due nemici, in particolare Patrick Wilson nei panni di Orm, grazie soprattutto - oltre alla bravura dell'attore, che può vantare una collaborazione di lunga data con il regista - alla sceneggiatura che, al contrario dei precedenti film DC, delinea un cattivo a tutto tondo, mosso da motivazioni convincenti e antitetiche rispetto a quelle del protagonista, che arrivano quasi a toccare la critica sociale per l'inquinamento degli oceani da parte del mondo di superficie. Black Manta, interpretato da Yahya Abdul-Maten II, invece, trova poco spazio, anche se quasi sicuramente tornerà nel sequel.
Aquaman è quindi una bella sorpresa nell'ambito del DC Estended Universe che il pubblico ha già premiato come il film più redditizio dell'intero franchise. Nonostante qualche sbavatura e qualche tema che poteva essere approfondito un po' di più (per esempio quello della crescita e dell'accettazione del proprio retaggio, oppure quello dell'inquinamento dei mari) risulta essere probabilmente il miglior film DC prodotto finora, grazie alla coerenza dell'opera in generale e alle scelte stilistiche indovinate dagli autori, non ultima una colonna sonora molto eterogenea, all'interno della quale spicca la splendida She’s a mistery to me di Roy Orbison, nella sopracitata scena ambientata in Sicilia. E, anche dopo due ore e ventidue minuti di film, per la prima volta si esce dal cinema con la voglia di vedere un sequel. Altro che Aquamansucks! Aquaman è un film assolutamente consigliatissimo.