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Alfredo Goffredi

Alfredo Goffredi

Due nuovi spot per Green Lantern

  • Pubblicato in Screen

Dopo quello che vi abbimo mostrato alcune ore fa,  Warner Bros. incalza i fan e alimenta l'attesa, pubblicando online due nuovi spot per pubblicizzare l'imminente lungometraggio dedicato a Green Lantern.

Diretto da Martin Campbell e interpretato da Ryan Reynolds, Blake Lively, Peter Sarsgaard, Mark Strong, Angela Bassett, Tim Robbins, Temuera Morrison, Jay O. Sanders, Taika Waititi, Jon Tenney, Geoffrey Rush e Michael Clarke Duncan, la pellicola uscirà il 17 giugno sia in 3D che in 2D.

Billy Bat 1

Kevin Yamagata è un fumettista americano di origini nipponiche, famoso negli Stati Uniti per il fumetto di successo "Billy Bat", che racconta le indagini dell’omonimo detective privato dalle fattezze di pipistrello antropomorfo. A poche pagine dall’avvio della storia, Kevin scopre che il personaggio che gli ha permesso di ottenere un così grande successo potrebbe essere il plagio involontario di un identico ragazzo pipistrello, risalente all’immediato dopoguerra, quando Kevin lavorava come interprete in Giappone. Tormentato, a causa di una travagliata esperienza famigliare, dalla possibilità di fare fortuna con l’idea di un’altra persona, Kevin decide quindi di partire alla volta di Tokyo per scoprire la verità.
Con queste prime sequenze (anticipate da un primo capitolo interamente a colori e tutto dedicato al personaggio del detective pipistrello) prende avvio il nuovo lavoro del maestro Naoki Urasawa, indiscusso talento del manga. Chiunque non sia digiuno dell’opera di Urasawa non ci metterà più di un secondo per di capire che queste prime battute sono soltanto l’avvio di una storia ben più complessa, e che la decisione di Kevin non potrà avere conclusioni semplici e circoscritte al suo "Billy Bat".

Il tutto è ambientato in un mondo da poco uscito dalla Seconda Guerra Mondiale. La storia prende avvio nel 1949, anno in cui gli Stati Uniti iniziano a vivere nel costante terrore della minaccia rossa e il Giappone pian piano si sta risollevando e sta ricostruendo, seppur con il peso dell’occupazione americana. Questo permette all’autore di attardarsi con lo sguardo su una Tokyo in divenire, con un occhio alle zone tradizionali e alle baraccopoli, e un altro all’area che diverrà la metropoli dei giorni nostri.

Già da questo primo volume si può riconoscere l’impronta tipica dell’autore nella stesura di una storia dall’esordio lineare e che tende a espandersi, complicarsi e intrecciarsi man mano che la lettura procede. Così, una volta conclusosi il quarto capitolo, buona parte delle pedine è in gioco e ha già fatto le sue prime mosse: il ritmo narrativo, con il capitolo successivo, può iniziare ad accelerare, creando un intreccio che avanza su livelli paralleli, rovesciando punti di vista e certezze, mescolando ricordi, epifanie in forma di flashback, aperture in forma di flashforward e narrazioni “a fumetti”. Una trama articolata, insomma, che mescola storia, ricerca individuale, mistero, intrighi e complotti segreti, su un piano di gioco che, di certo, non ha ancora accolto tutti i giocatori.

Il tratto di Urasawa è immutato: preciso e dettagliato, specie nella resa degli ambienti e delle vedute, mostra una certa tendenza a ripetere alcuni volti dei personaggi chiave, segno non certo di scarsa inventiva e limitata originalità, quanto piuttosto, si direbbe, scelta compiuta consapevolmente per consentire un’immediata leggibilità del personaggio; una scelta che non si può non considerare un omaggio a Osamu Tezuka, primo tra gli autori nipponici a servirsi di questo espediente, che permette al lettore un immediato inquadramento del personaggio per quanto riguarda il carattere e l’allineamento. Bisogna poi riconoscere che molti dei personaggi di Urasawa si muovono in una regione grigia e ambigua, e anche nel primo tankobon di Billy Bat sembrano parecchi i personaggi di questo tipo, elemento che mette decisamente il risalto l’integrità e la coerenza di Kevin.
L’omaggio a Tezuka non si limita, anche qui, a una faccenda di stile. Se Pluto era stato un adattamento personale della storia di Tetsuwan Atom intitolata Il più grande robot del mondo, e Kenzō Tenma (protagonista di Monster) non solo portava il nome del Dottor Tenma, “padre” di Atom, ma per molti versi poteva sembrare una versione più realistica e umana di Black Jack, in Billy Bat Urasawa, con l’aiuto di un setting storico e di una trama che coinvolge direttamente il medium fumetto, elogia in maniera esplicita Tezuka dalla bocca di Zofu Karama, il vecchio mangaka: questo personaggio, mostrando a Kevin una copia di Shin Takarajima (La nuova isola del tesoro, del 1947), momento d’inizio dell’“era del fumetto”, è un espediente che permette ad Urasawa di esprimere ancora una volta il suo apprezzamento e la sua gratitudine verso il Dio del manga e il suo lavoro, per il quale spende aggettivi quale “meraviglioso” e “incredibile”.
Due parole ulteriori merita il capitolo introduttivo (cui fanno eco le prime pagine del secondo capitolo): interamente acquerellato, ricostruisce l’atmosfera del fumetto d’epoca, con tanto di pagina ingiallita e stile cartoonesco e sintetico; di certo un buon modo per immergersi nell’atmosfera dell’epoca.

A questo punto, però, lo scavo operato dalla narrazione dell’autore è già multidirezionale, la storia narrata ha già sfondato nella storia reale e nella storia del fumetto, e ha iniziato a coinvolgere tematiche di un certo spessore come quella del rapporto tra realtà e finzione (è la tavola che influenza la realtà? O invece la prevede? E, ancora, che cosa si può considerare reale all’interno di un prodotto di finzione?); quella dell’archetipo (che innesta sulla ricerca del pipistrello originario un'interessante visione dell’evoluzione umana mediata dall’arte); e, infine, quella del doppio. Il tema del doppio è fondamentale poiché vi si farà insistente riferimento, da un certo punto in poi, con una domanda ricorrente (“bianco o nero?”) a cui non verrà data risposta.

Sebbene sia appena iniziato in Italia, Billy Bat non può che catturare il lettore, forte di un ritmo la cui graduale accelerazione è assolutamente coinvolgente. La confezione, piuttosto curata, bilancia il prezzo elevato (ma in linea con gli altri lavori di Urasawa presentati nel nostro paese) e, forte anche di un numero di pagine a colori ben oltre la media (in tutto ventisei), fa in modo che il volume sia all’altezza del proprio costo.

X-Men: L'inizio - Nuova clip

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A sole due settimane dall'uscita nelle sale di X-Men: First Class è stata rilasciata un'ennesima clip. Il nuovo spezzone si concentra, questa volta, sui personaggi di Mystica (Jennifer Lawrence) e Hank McCoy (Nicholas Hoult) al momento non ancora ricoperto dalla pelliccia blu a cui i lettori sono abituati da decenni.

Diretto da Matthew Vaughn e interpretato da James McAvoy, Michael Fassbender,Rose Byrne, January Jones, Kevin Bacon, Jennifer Lawrence, Caleb Landry Jones, Lucas Till, Edi Gathegi, Jason Flemyng, Oliver Platt, Morgan Lily, Zoe Kravitz e Bill Bilner l'uscita del film è prevista per il 3 giugno, l'8 giugno in Italia.

6 autori per 5 fasi: nascita e sviluppo di un esperimento fumettistico

Le_5_fasi_in_simultanea“Il progetto D U M M Y nasce come bisogno espressivo di un manipolo di autori mal assortiti e dalla netta natura solitaria, un progetto quindi impossibile.” Con questo essenziale trafiletto, comparso un mese fa su una pagina facebook, il collettivo Dummy presentava ai lettori italiani sé stesso e il proprio obiettivo: “spingere il fumetto verso confini non ancora visibili con il conseguente rischio di schiantarsi. Un lavoro necessario per la vostra serenità futura”.

L’ariete utilizzato dai per questo viaggio al di là dei confini del medium fumetto è Le 5 fasi, volume pubblicato da Edizioni BD e risultato del lavoro di sei nomi del panorama fumettistico italiano.

Sabato 21 maggio, Le 5 fasi vede una nuova tappa per il proprio tour promozionale, un mese dopo la presentazione con tanto di mostra allo Spazio Combines XL di Milano e al Napoli Comicon, e quella al Salone del libro di Torino. Normalmente per la presentazione di un volume  non dovrebbe destare troppo scalpore, ma in questo caso a stupire è la simultaneità con cui, i membri del collettivo Dummy alle ore 16:00, ognuno degli autori impegnati nella lavorazione del volume presenterà Le 5 fasi in una fumetteria differente:

Bergamo , "Arcadia" (via Taramelli, 40) – Alberto Ponticelli
Padova, "Panstore" (via Petrarca, 7) – Officina Infernale
Parma, "Popstore" (via Nino Bixio, 51/c) – Squaz
Sarzana, "Comic House" (via Gramsci, 25/a) – Akab e Ausonia
Prato, "Mondi Paralleli" (via Ser Lapo Mazzei, 26) – Tiziano Angri

Per saperne di più abbiamo raggiunto gli autori così che potessero rispondere ai nostri dubbi e curiosità. Il risultato è la lunga intervista che trovate di seguito, a cui consigliamo di affiancare la nostra recensione del volume.

Ciao a tutti, e benvenuti su Comicus.
Come nasce e come si sviluppa Le 5 fasi? È corale sin dall'inizio o è nata come un progetto individuale in cui sono poi stati coinvolti gli altri?

Akab: Da una mail di Ponticelli. Che diceva pressa poco così:
Le 5 fasi del dolore
5 autori
una fase a testa
un anno di tempo.
Poi in realtà gli autori son diventati 6
e l'anno quasi due.

Officina Infernale: Mi arrivò una mail di chiamata alle armi... vidi gli altri coinvolti, mi arruolai subito...

Squaz: Ponticelli mi ha telefonato e mi ha chiesto di partecipare ad un progetto collettivo.
A quel punto i giochi erano già quasi fatti.

Tiziano Angri: Le 5 fasi è nato come progetto corale.
Nell'ordine sono stato l'ultimo ad essere coinvolto.

Per la pubblicazione avete puntato subito su BD o avete vagliato prima altri editori o l'idea di autoprodurvi?

Officina Infernale: Abbiamo vagliato...

Akab: Siamo partiti senza editore.
BD (dio la preservi) è stato il primo editore a cui abbiamo proposto il progetto.
E avendo accettato da subito le nostre assurde condizioni
anche l'ultimo.

E come è stato accolto dall'editore un progetto così ambizioso e fisicamente imponente?

Squaz: A quanto mi risulta è stato accolto molto bene.
Inoltre abbiamo avuto praticamente carta bianca su tutto, fino al momento di andare in stampa!

Akab: Dicendo si.
E riempiendo i bicchieri per un brindisi.

Potete spiegare ai nostri lettori in cosa consiste il progetto Dummy e qual è il suo intento?

Alberto Ponticelli: Il progetto Dummy nasce dall’esigenza di giocare con il fumetto, cercando al contempo di creare il libro che noi stessi vorremmo trovare e leggere.

Officina Infernale: Tentare una via diversa attraverso il disagio...

Squaz: Questa è una domanda per Akab: Dummy è una sua creatura.
Per quanto mi riguarda, non ho veramente “sentito” di far parte di un collettivo fino a quando non siamo entrati nel vivo della lavorazione di questo libro (all'inizio per me era un progetto che finiva con la pubblicazione de Le 5 fasi). La mia percezione è cambiata dopo. Direi comunque che il nostro obbiettivo è di fare dei libri slegati da logiche predeterminate e da etichette come “popolare”, “underground”, “graphic novel” e così via. È un modo di mettersi continuamente in discussione e mantenersi artisticamente vitali.

Akab: Creare nuovi standard per poi rinnegarli.

Tiziano Angri: La risposta è contenuta tra le pagine de Le 5 fasi, il nostro manifesto.

Siete sei autori che vivono in diverse città d'Italia, come avete coordinato il lavoro tra voi?

Alberto Ponticelli: Facebook è stato IL mezzo; attraverso una mail comune abbiamo comunicato, litigato, fatto l’amore, creato input; e costruito il libro, unico obbiettivo anteposto all’ego di ognuno di noi.
Le_5_Fasi_unite_copia1Che io sappia, salvando tutta la conversazione di un anno e mezzo, sono venute fuori circa un migliaio e passa di pagine di word.  
Che è meglio non rendere mai pubbliche.
Il rapporto umano è fondamentale, e tutti noi ne siamo consapevoli, per questo incontrarsi, anche se saltuariamente, è un collante potentissimo per cementare l’idea di “famiglia” e per ragionare su nuove idee.

Ausonia: In un anno e mezzo ci siamo spediti una roba come 3500 mail. Ripensandoci è stato un brutto incubo. Per il prossimo progetto abbiamo deciso di fare delle riunioni dal vivo. Ci troviamo, beviamo del vino... una cosa vecchio stile, insomma. Sana.

Una domanda che potrebbe suonare banale: come vi siete suddivisi le fasi? Avevate ognuno carta bianca per quanto riguarda la propria storia o c'era una sorta di canovaccio condiviso a monte?

Akab: Si sono distribuite in maniera abbastanza naturale.
Ognuno era nella fase giusta per affrontare la sua fase
(scusami per lo scadente gioco di parole).

Tiziano Angri: Nessun canovaccio, ognuno ha elaborato in totale libertà il proprio lavoro.

Officina Infernale: ... È  stato tutto molto spontaneo... Ma la cosa più importante è stata la totale libertà e lo scambio di continuo di idee.

Squaz: Durante le nostre discussioni in chat è poi venuto fuori che dando lo stesso nome (N) ai nostri personaggi e inserendo dei piccoli rimandi tra una storia e l'altra avremmo potuto dare più organicità al tutto. Piccoli dettagli, minimo sforzo.

Ausonia: Tutto è filato liscio. Ci sono degli aspetti della genesi di questo libro che hanno del miracoloso e quindi dell'incredibile. Certe cose sono avvenute con una fluidità inaspettata.

Ammettendo che ci sia una sola chiave di lettura del libro nella sua interezza, quale indichereste al lettore?

Tiziano Angri: Che nessuna accettazione è possibile.

Alberto Ponticelli: Nessuna accettazione è possibile.

Ausonia: Nessuna accettazione è possibile.  
Officina Infernale: Vivi e non lasciarti fottere...

Akab: Le chiavi di lettura sono tante quante i lettori che lo leggeranno.
Però ho un’indicazione
affrontarlo come fosse un film.
E non un fumetto.

Squaz: Più che una chiave di lettura, direi che è un libro che richiede una certa apertura mentale.
Per me è come andare a un concerto di musica contemporanea, ma non per pochi iniziati.
Tra l'altro, ne consiglio la lettura notturna.

In ognuno dei vostri contributi ad un certo punto cade una piuma, che cosa rappresenta? Sembrerebbe in corrispondenza della presa di coscienza dei vari protagonisti con la "fase" che si trovano a vivere, è così?

Akab: Ci sono continui rimandi alle altre fasi.
Curioso tu abbia notato solo la piuma.
Scova gli altri, adesso.

Alberto Ponticelli: Il libro è infarcito di coincidenze, spesso volute, ma anche no. Ogni storia ha molti riferimenti alle altre, non solo la piuma; a volerti ricordare che il “viaggio” è uno e mille allo stesso tempo.
L’idea è che, leggendo il libro tutto insieme (cosa che consiglio, oltre a farlo di notte, circondati solo da se stessi), ci si possa sentire all’interno di un concerto, fatto di molti strumenti e suonatori, uniti per un’unica interpretazione.

A quale esigenza risponde un volume come Le 5 fasi?

Tiziano Angri: D'instabilità.

Officina Infernale: Di fare sicuramente qualcosa di diverso... In Italia sembra che ci siano solo 2 modi per fare fumetti... Il resto del mondo da anni dimostra il contrario...

Akab: Catarsi.

Squaz: Intanto l'esigenza di unire le forze è stata – ed è ancora – molto forte in tutti noi.
Siamo sei persone molto diverse, ma evidentemente qualcosa ci unisce. Soprattutto direi un certo spirito di contraddizione, di gusto per la polemica. Forse abbiamo le stesse frustrazioni rispetto al nostro lavoro, a come viene trattato (o a come NON viene trattato)...
Ma idiosincrasie personali a parte, ognuno di noi ha un'idea di fumetto piuttosto “ampia”.
Stiamo provando a forzarne i limiti, ma cercando il più possibile di rimanere accessibili.

Alberto Ponticelli: Le 5 fasi non risponde, semmai  domanda: posso ancora sorprendermi  con  un fumetto?

Ausonia: Ti guardi intorno e non trovi mai il libro che vorresti leggere. La mia idea di libro è sempre la stessa, infilare sugli scaffali di una fumetteria o di una libreria le storie che prima non c'erano e che avrei tanto voluto trovarci. Per Le 5 fasi ho mantenuto lo stesso atteggiamento e vedevo che questa era un'idea condivisa anche dagli altri Dummy. Del resto i loro lavori mi sono sempre piaciuti anche per questo: sono una reale e ottima alternativa alla fuffa.

Ci sono argomenti che, al di là di quelli "principali", vi siete in qualche modo imposti di affrontare?

Ausonia: Non ci siamo imposti niente. Le cose si sono sommate e incastrate in modo spontaneo. Per più di un anno nessuno di noi ha visto il lavoro che stavamo facendo gli altri. Discutevamo solo sull'aspetto che doveva avere la copertina, il formato, i colori dei capitoli, il font da usare... aspetti quasi solo tecnici. Ci interessava però che il libro avesse dei rimandi, una sorta di continuity interna e volevamo che certi elementi e certi simboli tornassero nelle varie storie, come la piuma, l'aereo in fiamme, i conigli...
Alberto Ponticelli: Credo che ognuno di noi, costruendo la propria storia e parlando contemporaneamente con gli altri 5, abbia messo in scena  soprattutto il proprio mondo.

Squaz: L'argomento dell'elaborazione del lutto, già di per sé denso e impegnativo, si prestava a moltissime interpretazioni, alle metafore. Sarebbe stato uno sbaglio darsi regole troppo severe e sviluppare dei “temini scolastici”, se così si può dire.

Nell'Italia del fumetto al bagno perché un volume così grosso e pesante (e, verrebbe da aggiungere, di difficile collocazione)? Una scelta esclusivamente estetica o c'è dell'altro?

Alberto Ponticelli: Per svariati motivi, di sicuro un libro grosso è una risposta urlata a chi dice che non é possibile osare e ti impegna (anche fisicamente) a dedicartici;  è la proposta di giocare con la carta, con l’oggetto, di andare contro una logica solo commerciale che si affanna a cercare nel digitale tutte le risposte, senza capire che il problema è nel contenuto, e nella forma.

Officina Infernale: Certi fumetti sicuramente vanno letti al cesso... Molti... È  che forse bisognerebbe uscire da quest'ottica di fumetto letto al cesso. Non dico che devi fare un prodotto che va letto in teatro su un leggìo, ma almeno ridare al fumetto una certa dignità. Perché ridurlo a lettura da cesso?
Comunque lo volevamo grande... Bigger is better...

Squaz: Non pensiamo che più grande significhi necessariamente più bello. Più difficile da ignorare sì, però.
Sin dall'inizio hai la percezione anche fisica di avere tra le mani qualcosa di speciale. E poi c'è il contenuto che conferma (spero) l'impressione iniziale. Oltretutto, credo sia anche il sintomo di una tendenza che forse in futuro porterà ad avere sempre meno libri ma più curati. No so se questo sia un bene o un male, vedremo.
Detto questo, niente in contrario ai fumetti al bagno purché ogni tanto vadano a farsi un giro in soggiorno... anzi, al parco.

Akab: Intanto riportiamo un po’ di dignità al disegno, che mi pare si stia sempre più declassando in favore di presunti contenuti minimali, che francamente trovo troppo spesso provinciali e senza nessuna ambizione.
E poi come dice Alberto era arrivato il momento di “urlare”.

Tiziano Angri: Volevamo creare un oggetto scomodo da apporre in una libreria.

Ausonia: Il fumetto in Italia si distingue anche per la sua tendenza all'umiltà: carta di pessima qualità, piccolo formato, grafica anni Settanta, bianco e nero, rilegatura scadente... Sceneggiature senza troppe pretese, disegni banalmente realistici... Poca voglia di farsi notare, di disturbare, di farsi accettare come medium maturo e alternativo agli altri. Insomma, una cosa che per certi versi mette una grande tristezza. Il fatto che questo libro grande, pesante, elegante e sinistro stia riscontrando un forte interesse anche in ambienti extra-fumettistici come gallerie, musei, riviste d'arte, è la riprova che la nostra idea di libro a fumetti si amalgama bene con la contemporaneità verso la quale il fumetto italiano ha sempre mostrato una certa refrattarietà e inadeguatezza.

So che il vostro primo incontro con il volume completo è stato il giorno della sua presentazione allo Spazio Combines XL di Milano. Potete raccontare brevemente come è stato trovarsi davanti agli occhi un simile frutto di così tanto lavoro?

Squaz: Ci sono delle foto che lo testimoniano: avevamo gli occhi sgranati. È stato commovente.

Alberto Ponticelli: Come quando nasce tuo figlio, solo che ha 6 teste.

Akab: Ma. Surreale direi. Come tutto il resto.
Comunque realizzo giorno dopo giorno sempre più cosa abbiamo fatto.
Sul momento, forse, ero troppo stanco e ubriaco per capirlo.

Officina Infernale: Beccarsi tutti e sei dopo tonnellate di mail è stata un’emozione strana e forte allo stesso tempo, quando poi ho visto il libro non ho parlato per 20 minuti almeno...

Tiziano Angri: Il coito non è che il punto d'arrivo del godimento.

Ausonia: Abbiamo curato ogni aspetto del libro e non temevamo sorprese. Akab aveva seguito la stampa e eravamo sicuri che sarebbe venuto fuori come lo volevamo. La cosa che mi ha colpito era vederci tutti e sei (insieme, fisicamente, per la prima volta) intorno a quello strano oggetto, sfogliarlo, annusarlo... È  stato fantastico. Molto emozionante. Lì ho sentito un profondo affetto per il gruppo. Sei cani sciolti riuniti in un branco. Brividi.

Dopo Le 5 fasi dove vi vedremo?

Alberto Ponticelli: Questa è una domanda alla quale non risponderemo mai.

Officina Infernale: ... O al cesso o all'inferno...

Squaz: Presto per parlarne, ma qualcosa succederà. Lo sappiamo.

Akab: Il futuro non mi riguarda.

Tiziano Angri: Ovunque potremo soddisfare i nostri impulsi.

le_5_fasi_-_APVeniamo ora ad alcune domande più specifiche su ognuna delle fasi, iniziando da Alberto Ponticelli.
Come la società che ritraevi in Blatta era schematizzata dall'alto, anche in questa prima fase sembra che la direzione sia quella (un esempio lampante è l'insegna del ristorante, "Mangiare", o il comportamento stereotipato della gente). È forse un diverso momento dello stesso percorso? Ce ne puoi parlare?

La gente vive attraverso comportamenti stereotipati perché semplicemente è assordata da  rumori, input e comandi esterni che non le permettono di ascoltare i propri “suoni” interiori.
In poche parole penso che ci adeguiamo,spesso, alle condizioni che ci vengono offerte, senza mai chiederci se sono quelle che vorremmo.

Perché Laika? Ha qualcosa a che vedere con le dichiarazioni, sempre smentite dal governo sovietico, della sua morte a poche ore dal lancio?

No, decisamente Laika è un elemento onirico, che rappresenta l’abbandono.
Come N, anche Laika vive una vita di solitudine, abbandonata in uno spazio metaforico che è la vita stessa di N.

La visione della società che deriva dalla tua "fase" è piuttosto negativa e sconfortante: un sistema in cui una reazione omologata sembra portare alla negazione dell'individuo stesso (alla reazione di N sul ring segue l'abbandono da parte della donna). Quale credi che sia, se c'è, la via per il riscatto?

L’unico riscatto possibile è quello di diventare consapevole della tua vita e appropriartene.

La fase della negazione contiene importanti elementi già visti in alcuni dei tuoi lavori e collaborazioni precedenti: la lotta nella vita reale che si trasporta sul ring (Come un cane), il tentativo fallimentare di andare al di là della monotonia (Blatta), e l'erronea convinzione di farlo attraverso la violenza (Unknown Soldier). Possiamo considerarlo una summa della tua visione, una specie di manifesto?

Mi affascina l’essere umano, e la sua maledizione in quanto unico animale in grado di pensare, e quindi obbligato a seguire una sovrastruttura morale.
In questo tentativo di capire l’incapibile,  l’uomo si comporta maldestramente, vorrebbe vivere secondo l’istinto ma non può perché sa che un patto sociale  lo sovrasta sempre, e quindi si agita maldestramente per stare nei binari, sbandando continuamente perché in fondo quei binari non gli vanno bene.


le_5_fasi_-_OIOfficina Infernale, dalla tua biografia risulta che per un lungo periodo hai abbandonato (anche in modo piuttosto brusco) il fumetto. Cosa ti ha riportato su questo binario?

Nulla di programmato, è stato il caso a decidere: ho beccato un giorno Massimo Perissinotto, in fumetteria a Padova, e mi fa: “Abbiamo pubblicato quella tua storia che mi mandasti quando stavi in Inghilterra, ti va di farne un'altra?”. “Ok” dissi, da lì ho ricominciato... Una pausa che, comunque, è servita moltissimo.

Le tue tavole (e non solo per Le 5 fasi) uniscono disegno, pittura, fotografia e collage, un modo di far fumetto che se da un lato fa pensare alla Pop-art e al Dada, dall'altro richiama certe sperimentazioni proprie del fumetto di fine anni Ottanta. Puoi parlarci di questa tua scelta?

Mi annoio facilmente, specialmente quando inchiostro. Quello che cerco è il divertimento e il piacere nel fare una tavola; questo tipo di tecnica me lo permette, è faticosa a volte ma mi dà una certa soddisfazione. Poi sono super fan di Sienkiewicz da una vita.

Sembrano anche piuttosto complesse da un punto di vista di composizione e realizzazione. Puoi descrivere le tappe del tuo processo creativo?

Di solito prima dipingo, scansiono e ci lavoro con photoshop quasi a livello istintuale, poi stampo su carta fotografica e rimonto tutto, intervengo poi con aerografo, acrilici, carta vetrata e bisturi vari, anche pastelli a cera a volte, riscansiono e se qualcosa non mi quadra intervengo ancora di photoshop.

Nonostante si possa dire che il segno si è fatto ancora più aspro e consistente rispetto ai tuoi lavori precedenti, la storia che racconti è invece molto interiore e – se vogliamo – spirituale. Una dissonanza meditata?

No è venuto tutto molto naturale, doveva essere una caduta in un inferno personale; l'unica cosa che non volevo è che la storia fosse troppo seriosa, quindi ho giocato molto sulle figure dei saprofiti, e anche su certi dialoghi. Il disegno invece è così che doveva essere, ne più ne meno.

Il patto con The Diablo quieta la rabbia di N. Perché allora ci ricade, sul finale, e in un modo così devastante?

Perché il diavolo e compagnia lo sapevano che sarebbe andata a finire così, mr. N si è lasciato andare all'ansia e alla frustrazione, ha avuto paura di perdere quel poco che aveva riguadagnato. Poi già a livello sentimentale la cosa non era come se l'era immaginata... Poi comunque se fai un patto con il diavolo non puoi pensare che vada tutto bene... C’è sempre la fregatura... Poi se il diavolo sei tu… Ancora peggio.

Non è la prima volta che tra i tuoi personaggi compaiono dei luchadores. Come mai questo continuo guardare alla lucha libre? C'è una motivazione particolare che ti porta a far riferimento a questo mondo durante la creazione e la realizzazione delle tue storie?

Un mio feticismo, rappresentano una certa estetica trash (purtroppo l'ho detto), come l'Elvis ciccione dei primi 70 ad esempio, e li vedo un po’ come dei super eroi solo un po’ più ridicoli, ma in maniera positiva. Poi comunque è da anni che li utilizzo anche per i miei quadri... Puro feticismo... Anche le maschere ho comprato... Le indosso in casa... Per tutto il tempo...


le_5_fasi_-_SSquaz, il tuo racconto considera il patteggiamento applicandolo a diverse situazioni e con diverse sfaccettature. Ce ne puoi parlare?

E' la classica storia a più livelli. Ad un primo livello, il protagonista ha appena perso la vista, la fidanzata, la fiducia in sé stesso ed ovviamente ha problemi sul lavoro. Scende a patti con tutto questo accettando quella che sembra essere un'ultima missione, un ultimo incarico che sembra impossibile.
A margine di questo, c'è un lungo e continuo monologo in cui si mescolano riflessioni sul tempo e la sofferenza, sul futuro che ci è stato negato, sul passato a cui sembra impossibile sfuggire, sulle generazioni che ci hanno preceduto e su quella attuale.
N., il protagonista, costruisce perché è il suo lavoro (è un architetto) e perché non sa fare diversamente, ma non ha un vero scopo per farlo. E forse non ci crede nemmeno più.

La denuncia sociale è molto forte nella storia del tuo N, al punto da descrivere una società che, pur di non essere vista, rende la cecità più accettabile. Pensi che l'Italia stia ancora patteggiando o che sia già passata oltre?

C'è molta amarezza, questo sì. C'è una scena in cui N. dice (anzi, pensa): “Ci sono dei vantaggi nell'essere ciechi. Nessuno ti dice più niente, neanche quando dovrebbe”.
Gli italiani, come sappiamo, sono diventati così: nessuno dice più niente, neanche quando dovrebbe.
A mio modesto parere, l'Italia deve ancora uscire dalla Prima Fase. Quella della Negazione.

Le 5 fasi porta in sé una lunga speculazione sul tempo passato, presente e futuro, che è più evidente soprattutto nella tua "fase". Eppure il tuo racconto è più una diagnosi che una cura. Il futuro che ci aspetta è quindi come il castello che – N dice – non si dovrebbe mai costruire?

Non esiste una cura: abbiamo bisogno di motivi per andare avanti e nello stesso tempo sappiamo che le nostre motivazioni sono solo illusioni, castelli di sabbia. Oggi, crollate le ideologie, dobbiamo fare i conti con un capitalismo che divora sé stesso e con i nostri stessi fantasmi che ci consumano. Siamo proprio lì nel mezzo e chi costruisce qualcosa lo fa per salvare sé stesso.

Lo stesso N quando ci viene presentato ha una testa di coniglio e un orologio che, ci viene fatto notare, ticchetta. E ci sono orologi ovunque. Mi viene da pensare ad un altro famoso coniglio con orologio (quello di Lewis Carrol), simbolico di una sorta di epifania verso un livello di verità superiore. Il tuo N può quindi essere considerato un equivalente negativo del Coniglio Bianco?

In un certo senso sì, anche se per me non ci sono necessariamente implicazioni positive o negative. Il mio N. fa i conti con il crollo e cerca dolorosamente di venirci a patti, ma non si sa cosa farà dopo. Ha molte possibilità davanti ed ogni evento traumatico contiene in sé anche la promessa di un cambiamento. Insomma, Lewis Carrol può stare tranquillo...  : )


le_5_fasi_-_AkPassiamo ad AkAb. Nel 2006 Alberto Ponticelli scriveva di te "oggi gira i suoi film, dipinge, pensa ai fumetti ma ogni volta che si riavvicina a questo mondo capisce quanto ha fatto bene a scappare e riprende le sue cose". Cosa ti ha convinto a tornare?

Per tornare dove?
Nel fumetto?
C'è un fuori e c'è un dentro?
Non credo di essermene mai andato veramente.
Da quando ho 15 anni mi sono sempre occupato di raccontare con e senza immagini.
Ma dall'Italia, questo si, me ne andai per tornare
dopo lo Shok Studio e l'Innocent Victim ho sentito il bisogno di staccare.
Ma con tutto.
E me ne sono andato un anno in Islanda.
A vedermi 6 mesi di luce e 6 mesi  di buio
(in realtà sono 12 mesi di grigio).
Poi tornato in Italia diciamo che mi sono dedicato sopra tutto alla pittura e al video.
Quelli son stati anni dove non avevo esattamente una casa quindi per necessità ho imparato a sviluppare progetti che potessi realizzare con quello che avevo sotto mano in quel momento. Cosa che oggi mi torna assai utile. Ma sto divagando. Mi chiedevi qualcosa riguardo al tornare, giusto?
Ma tornare dove?

La depressione che racconti si direbbe un susseguirsi di istanti in cui tutto si confonde (passato e presente, realtà e finzione, forza e debolezza). Come ha preso forma questa "fase"?

Intanto permettimi di scassare la minchia dicendoti subito che nessuna delle antitesi che suggerisci è veritiera.
Non parlo di nessun passato né futuro.
Ma di un continuo presente in cui tutto accade nello stesso singolo istante.
Parlare di realtà e finzione qui in questa sede prenderebbe troppo tempo. Ma sappi che quello che hai letto è tutto reale.
Ma essendo trasposto in un media diventa automaticamente finzione.
Di forza io non ne ho visto traccia.
Tecnicamente ho montato i disegni seguendo la struttura dell'I Ching
che stringi stringi vuol dire fare le cose a caso.
Senza controllo.
Quindi ho buttato tutte le vignette sul pavimento
e le ho pescate di volta in volta come si fa davanti un prestigiatore che ti propone il suo mediocre trucchetto di “scegli una carta”
o se preferisci un esempio più alto come l'atto divinatorio di Queequeg mentre consulta le ossa sparse a caso e ci vede la propria morte, in Moby Dick del mai abbastanza letto Herman Melville.

Elisabeth Kübler-Ross descrive la quarta fase come un momento che unisce la comprensione della propria situazione ad un forte senso di perdita. Possiamo dire che dopo la storia realizzata da Squaz che ci nega il futuro arriva quella realizzata da te in cui anche lo stesso presente (pur continuamente chiamato in causa) viene messo in dubbio?

Nella storia di Squaz ad un certo punto l'enne cieco si chiede tra il prima e il dopo cosa c'è in mezzo?
Io in maniera del tutto non prestabilita, forse, ho risposto alla sua questione.
Come spero di aver fatto adesso con la tua.

L'aspetto del protagonista (che ti è decisamente somigliante) e la dedica suggeriscono con decisione che questo episodio abbia elementi autobiografici. Una scelta che non può passare inosservata, considerando gli argomenti delicati che poi arrivi a toccare: come mai hai deciso di compiere una scelta come questa?

Perché era la più ovvia e giusta.
Qualche anno fa mi è capitato di vivermi l'esperienza della depressione in prima persona.
Non è una cosa che si può facilmente spiegare con le parole.
Per questo ho dovuto disegnarla.
Tutto qui.

Durante tutta la narrazione, che sembra più una lunga descrizione di uno stato d'animo, ogni passaggio sembra cristallizzato, quasi sospeso nel tempo, immobile. L'unica eccezione è quella pagina doppia decisamente caotica. Qual è il suo significato?

Nel periodo in cui sono stato male disegnare mi era impossibile (anche tutto il resto) ma mi avevano regalato un grosso blocco da disegno con della carta meravigliosa molto spessa.
Ricordo che i miei disegni erano così tristi ed incerti che mi riempivano di sensi di colpa per lo spreco che stavo facendo di quella bellissima carta.
Comunque in uno di quei fogli avevo schizzato un mostro
poi quella pagina è rimasta sul mio tavolo per anni
e ogni tanto gli accadeva qualcosa
gli aggiungevo  del caffè poi acquerelli, vino, acrilici, trielina, gessetti, poi dello smalto un timbro ecc. ecc.
E alla fine è finita nel'libro.
Ma se vuoi una risposta sintetica.
Quella è “fisicamente” la depressione .


le_5_fasi_-_TAVeniamo a Tiziano Angri. Il tuo stile è piuttosto elaborato e caratterizzato da tue figure umane spesso deformi, mutate, ibridate (penso non solo a le 5 fasi ma, ad esempio, anche al tuo pezzo sui Kraftwer per "Lamette"). Come nascono questo stile e questo immaginario?

Molto del mio immaginario è stato influenzato direttamente dalla figura di mio nonno che era privo di due dita e utilizzava una cannula tracheostomica per parlare.
Quelle menomazioni, insieme all'innesto artificiale, suscitavano in me repulsione e al contempo un'attrazione morbosa che tutt'oggi persiste lucidamente nei miei primi ricordi infantili.

La conclusione della tua storia è corale e tutti vi prendono parte. È forse un modo per portare tutti i vari N alla stessa conclusione?

Quella del finale corale è stata una scelta obbligata e al contempo una prova tangibile della forza del nostro collettivo.
A tal proposito voglio esprimere un ringraziamento ai ragazzi per il loro fondamentale aiuto e per come hanno interpretato magistralmente la sceneggiatura.

"La fabbrica ci dà da vivere. La fabbrica ci dà da morire". In un solo passaggio sembri toccare i due principali nervi scoperti legati al mondo della fabbrica: da un lato il lavoro in sé come attività che permette il mantenimento (la vita), dall'altra problematiche come l'inquinamento ambientale (ma forse non solo?). Quanta della situazione sociale e della cronaca degli ultimi anni ha influenzato la tua "fase"?

Più che la cronaca, nel mio caso contano le  esperienze dirette.
Nei luoghi della mia infanzia la gente muore a grappoli a causa di una discarica di reflui industriali, per non parlare del posto in cui vivo, una ridente località balneare sorta accanto ad una raffineria dell'Eni.
La mia fase comunque esula da qualsivoglia denuncia sociale o dal trattare un argomento come quello delle malattie terminali. Non ho lezioni morali da impartire.

Sul finire, tuttavia, la madre che abbraccia N. dicendo "Abbraccia chi ti ha dato la vita... / ... chi ti ha dato da vivere..." crea un parallelismo (grafico e testuale) molto forte e interessante tra la madre e la fabbrica. Qual è quindi il vero significato della fabbrica e del morbo che ha colpito N?

La fabbrica è un totem, un simbolo di (auto)distruzione che come una madre schizofrenica fagocita i figli che ha amorevolmente allevato.
Il “morbo” è la condizione d'accettazione di chi consapevolmente alimenta e partecipa a tale meccanismo perverso.


le_5_fasi_-_AuInfine Ausonia… L'idea di questa cornice, che fornisce poi un solido impianto al volume, è nata assieme al progetto o è un'idea successiva?

Inizialmente eravamo in 5 e io mi sarei dovuto occupare di una delle cinque fasi. Venivo dall'esperienza del terzo capitolo di Interni - o la miserevole vita di uno scrittore di successo (Double Shot 2010) dove mi ero messo a nudo sulla parte più autobiografica della trilogia e... avevo bisogno di rivestirmi, di lavorare su qualcosa di meno intimo. Ero rimasto molto colpito dal lavoro di Tiziano Angri e lo avevo suggerito come quinto autore del libro. Si sarebbe occupato dell'ultima fase, accettazione. Non mi stavo tagliando fuori dal progetto, semplicemente avevo bisogno di trovarmi uno spazio adatto all'interno di questo libro. Mi interessava creare un percorso che unificasse le varie storie, un percorso da far fare al lettore introducendolo in ogni capitolo. Credevo che il libro ne avesse bisogno e da quel momento mi sono messo totalmente al servizio del collettivo Dummy. Avevo bisogno di questa cosa che non avevo mai fatto prima: togliermi dai riflettori e concentrarmi esclusivamente sulla struttura narrativa di un libro così complesso. Credo sia stato un atto di umiltà. Qualcosa che mi ha fatto bene. Sai, una di quelle esperienze depurative che per un tizio arrogante ed egocentrico come me sono salvifiche. Nelle mie intenzioni c'era una grafica minimale, quasi assente. Pochissimo testo. Il grande formato mi dava la possibilità di lasciare molti vuoti. Il nero doveva imperare.

Dopo P-HPC e Interni eccoti di nuovo ad innestare immagini fotografiche su una storia a fumetti. Puoi spiegarci il perché di un simile accostamento? Quale valore gli attribuisci?

La fotografia sembra sempre una testimonianza poco soggettiva, comunemente è intesa come la documentazione del reale. I titoli dei quotidiani ti parlano della guerra e la fotografia sottostante ti mostra il soldato ucciso da una bomba. Sappiamo benissimo che la cosa è più complessa, che solo l'angolo da cui riprendi un soggetto è già di per sé una scelta e quindi un'interpretazione. Ma se voglio uscire dalla storia narrata a fumetti, in cui il segno ha un alto valore interpretativo e di codifica personale del reale molto forte, la fotografia resta un mezzo perfetto. In Interni, ad esempio, sarebbe stato insensato disegnare le sequenze in cui parlo con i miei amici al bar. Erano cose che esulavano dalla finzione del racconto e la mia Nikon sapeva restituire un senso di veridicità maggiore di un qualsiasi stile di disegno realistico.  Ne Le 5 fasi avevo cinque autori dal segno totalmente diverso e la fotografia riusciva in modo esemplare a dividere quelle cinque personalità, e, paradossalmente, a unificarle. A renderle parte del tutto. Il mio racconto fotografico abbraccia e lega ogni fase in modo poco invasivo e, per contrasto e complementarietà, esalta il lavoro di ogni singolo autore.

Il modello a cinque fasi di Elisabeth Kübler Ross non prevede un ordine fisso, che invece il tuo raccordo tra le diverse storie impone. Senza nulla togliere a quello che di certo è una volontà autoriale, credi che sarebbe stato possibile raggiungere lo stesso risultato con una lettura più interattiva?

Qualsiasi ordine avessimo dato alle 5 fasi sarebbe stato comunque un ordine. E non esiste neanche un ordine soggettivo dal momento che ogni perdita e ogni lutto agisce sulla nostra persona in modo sempre diverso. Quindi mantenere lo schema base della Ross mi sembrava la scelta più sensata. Ma niente vieta al lettore di leggere il libro al contrario o di scegliere un ordine diverso, perché questo libro ha un senso anche se se ne stravolge la struttura. In questo senso l'assenza dei numeri di pagina suggerisce proprio il fatto che non c'è una reale progressione e nessuna volontà di indicare un qualsiasi senso cronologico degli eventi.

Il richiamo del viaggio è molto forte non solo nella tua parte ma anche negli elementi più propriamente paratestuali del volume, dalle sguardie (realizzate da Akab) al logo del progetto Dummy (che è poi lo stesso che si trova sulle motrici dei treni). Dunque l'importante è il viaggio? O quel che vediamo fuori dal finestrino?

Le Dummy Railways sono un'invenzione simbolica molto forte. Su quei treni si viaggia nel percorso della rielaborazione della perdita. La cosa fondamentale è da che parte ti siedi rispetto alla corsa. Se sei interessato a vedere il passato che ti lasci alle spalle o il futuro che ti viene incontro. Fin tanto che i tuoi parametri sono il passato e il futuro, ciò che hai perso e le domande che ti fai su come sarà la tua vita futura convivendo con quell'assenza, sarai sempre lontanissimo dalla fase dell'accettazione. L'ultima fase. Ricondurre la perdita al presente, invece, è già un sintomo di superamento del problema.

Soffermandoci sul treno... anche P-HPC comincia con una stazione e un treno. Dobbiamo pensare che per te il treno abbia un significato particolare, o siamo del tutto fuori strada?

Un viaggio in treno ti da sempre la possibilità di verificare come sia strutturato lo spazio tra due luoghi. Tra una città e l'altra. La campagna sterminata, le aree industriali, i chilometri di campi coltivati in cui l'insediamento umano è quasi inesistente. I grandi finestrini sono come monitor che trasmettono un documentario molto serio su quale sia il senso dello spazio abitato da una collettività, la città, quella bolla protettiva in cui tutti ci nascondiamo per vivere una vita fatta di comfort e di regole stabilite da rispettare. Quello che sta fuori dalle grandi aree urbane è un laboratorio a cielo aperto che serve al mantenimento del nostro stile di vita, tra una città e l'altra ci sono campi di grano e ciminiere fumanti, tralicci dell'alta tensione e camion, treni e aerei che trasportano merci e persone. Centrali elettriche e strade. Mi ha sempre divertito e sconcertato che tutto quello spazio nel tempo sia diventato un immenso non-luogo come quelli descritti da Marc Augé. Sconfinati spazi di passaggio funzionali ma non realmente abitati.  Per realizzare il mio lavoro su Le 5 fasi ho preso molti treni e volevo documentare quei panorami desolati e desolanti. bellissimi e a tratti spaventosi e ho usato il formato dei finestrini come fossero una cornice, spesso sporchissima e opaca. In post-produzione dovevo solo aggiungere degli elementi presenti nelle varie storie: lo Sputnik per Ponticelli, i manifesti dei luchadores messicani per Officina, i conigli sui binari per Squaz, le piume e l'impiccato per Akab e le sinistre ciminiere per Angri. Era questo che volevo: dare unità al libro e allo splendido lavoro fatto da artisti che stimo e rispetto moltissimo. È stato un viaggio importante e indimenticabile.

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