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Alfredo Goffredi

Alfredo Goffredi

Sbirciare il nuovo diavolo

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daredevil_01Attenzione: la notizia potrebbe contenere spoiler!

Quest'estate sarà il momento del riscatto per Matt Murdock. Dopo gli eventi di Shadowland (attualmente in corso in Italia sulle pagine di Devil & Hulk) che hanno portato il diavolo rosso dalla parte sbagliata, e dopo la sua sostituzione da parte di Pantera Nera nel il ruolo di Uomo senza paura, Matt Murdock torna a vegliare sulle strade di Hell's Kitchen.

Marvel ne ha annunciato il ritorno per l'estate (al momento non è ancora stata indicata l'esatta data di pubblicazione), per mano di Mark Waid, Paolo Rivera e Marcos Martin, con un doppio numero che sembra partirà dagli effetti degli errori passati di Devil.

Oltre a una cover realizzata da Rivera, Daredevil 1 avrà tre variant, realizzate rispettivamente da John Romita Sr., Neal Adams e Marcos Martin. Da questo numero uno sono tratte le quattro tavole dell'anteprima rilasciate dalla Marvel, che potete trovare nella nostra gallery.

L'Ultimateverse ricomincia a Andrews

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01_ultimatesCon un comunicato stampa ufficiale, Marvel saluta l'avvento - il cui inizio è programmato per agosto - delle quattro testate (tre serie e una miniserie) targate Ultimate Comics mostrando ai fan di tutto il mondo le cover dei quattro numeri 1 realizzate da Kaare Andrews.

Si partie ad agosto con Ultimate Comics Ultimates, di Jonathan Hickman e Esad Ribic, e Ultimate Comics Hawkeye (1 di 4), Jonathan Hickman e Rafa Sandoval. Un esordio che, per scelte grafiche (Ultimates) e contenutistiche (Hawkeye), sceglie di seguire la strada tracciata dalle grandi pellicole Marvel degli ultimi tempi.

Settembre sarà poi la volta di Ultimate Comics X-Men, di Nick Spencer e Paco Medina, e Ultimate Comics Spider-Man, di Brian M. Bendis e Sara Pichelli.

Le 5 fasi

Per leggere l'intervista, clicca qui.

Nell’anno del boom del fumetto digitale, un gruppo di autori italiani risponde con una scelta controtendenza: un volume imponente, che non ci sta in tasca accanto al cellulare, o in borsa con l’iPad, e che difficilmente riuscirete a collocare da qualche parte con la serenità di non doverlo spostare di nuovo; a meno di nasconderlo e dimenticarvene. Ma non vorrete farlo.
Si può dire che Le 5 fasi sia un libro con un proprio peso, e questo per diversi motivi; primo tra tutti, poiché evidente, il peso materiale, risultato delle 170 pagine patinate formato 38x32 e della copertina cartonata. Un volume monolitico, quasi, difficile da sorreggere e da maneggiare, che già nella sua fisicità sembra chiedere che gli siano destinati spazi e momenti di fruizione consoni.
Grande è, poi, il peso degli autori riunitisi nel collettivo Dummy per l’occasione di questo progetto (primo di tanti, sembrerebbe), ognuno dei quali apporta a questo lavoro la propria personale visione, il proprio stile, e il proprio percorso artistico.
Grande è, di conseguenza, il peso del contenuto racchiuso in un volume che già dalla grafica (un albero in prima, un’antenna in quarta, entrambi capovolti) sembra suggerire un ribaltamento (di una situazione? di un punto di vista? della norma?).

Le 5 fasi innesta cinque racconti sulla cornice di un viaggio fotografico realizzato da Ausonia, su un treno le cui ogni fermata corrispondono a uno dei racconti realizzati dagli altri autori; viaggio che, fa notare l’autore, allo stesso tempo riesce ad unire e dividere i cinque contributi. Meno regista e più direttore d’orchestra, Ausonia costruisce una sequenza di non luoghi virati con filtri colorati: scenari in sosta o presi di sfuggita, sfocati o paralizzati, per un percorso nell’assenza che genera ricordi.
La costruzione tematica delle storie rimanda ad ognuna delle cinque fasi dell’elaborazione del lutto teorizzate da Elisabeth Kübler Ross, ovvero negazione, rabbia, patteggiamento, depressione e accettazione, che costituiscono anche i titoli dei diversi contributi; storie il cui protagonista sarà un personaggio ogni  volta differente, chiamato N, il quale per questa sospensione del nome può farsi simulacro di ciascuno di noi.

Alberto Ponticelli affronta la negazione, mettendo in scena la storia di un piccolo lottatore di una non precisata disciplina di full contact, che accumula spazzatura e dialoga unicamente con un satellite che chiama Laika (come il cane che nel 1957 fu inviato nello spazio dall’U.R.S.S. a bordo di una capsula per la quale non era stato previsto il rientro). Il tratto particolare di questo primo N è il suo differenziarsi dalle persone che lottano, sul ring come nella vita quotidiana: ai primi non risponde, limitandosi ad incassare; ai secondi, troppo chiusi nei loro schemi, non si mescola. L’incrinarsi di questo particolare e personale equilibrio sopraggiunge inaspettato nella scoperta di una persona che, come lui, si discosta dalla norma, ed ecco che N reagisce.
Ponticelli costruisce una storia lineare e semplice, con elementi che potremmo definire propri della narrativa del fantastico (il dialogo di N con Laika, la sua tensione all’accumulo dei rifiuti, il modo in cui è ritratta la società). Seguendo una struttura che per certi versi ricorda quella del suo precedente lavoro solista, Blatta, l’autore sembra imboccare il sentiero di quei registi di culto che di fatto raccontano la stessa storia riuscendo ogni volta ad affascinare. I testi sono scarni ed essenziali, caricano buona parte della responsabilità sull’immagine che, di grandi dimensioni, è al contempo sporca e dettagliata. Blatta ci ha insegnato che Ponticelli dà il meglio di sé in bianco e nero, che riesce a valorizzare le fitte trame di segno che costruiscono la (ir)realtà delle sue storie, ma questa colorazione in trasparenza, con grandi campiture uniformi stese sulle matite, sembra più un modo di separare gli elementi della tavola, dar loro un peso diverso, suggerire al lettore dove guardare.

Officina Infernale affronta la rabbia attraverso la vicenda personale di un luchador, El Poderoso Mr. N, che, in seguito alla perdita della donna amata, inizia una lunga serie negativa che lo imprigiona in un loop di rabbia che peggiora assieme alla sua condizione, fino al punto che l’unica soluzione sembra essere un patto con The Diablo. Secoli di letteratura e decenni di cinema e fumetto ci hanno insegnato che questo genere di operazioni non hanno mai l’esito desiderato; quale sarà quindi il destino del Poderoso Mr. N? Per l’occasione Officina Infernale recupera (e riadatta) due personaggi già visti su Iron gang, El Poderoso (qui trasfigurazione di N) e The Diablo, lottatore proveniente direttamente dall’inferno.
Con questa seconda fase la camera si gira nella profondità dell’animo umano, tormentato e sconvolto. Lo fa con una tecnica mista, che costruisce la tavola materialmente, tra colori e innesti, secondo quella che potrebbe essere la lezione sienkiewicziana di lavori come Elektra: Assassin e Stray Toasters, ma con un tratto volutamente più sporco, che ben si sposa con le atmosfere cupe e demoniache di questa seconda fase. Il contrasto è forte, rispetto alla storia precedente: da un lottatore che non vince mai a uno che di colpo inizia a perdere, da una narrazione distesa, in cui le parole sono ridotte all’essenziale, a una dai ritmi serrati, in cui tanto è il testo e tanto è il carico grafico dell’immagine, che si accumula, si modifica e si moltiplica, grazie alla sovrapposizione sulla tavola di elementi della tavola stessa. Sovrapposizioni su cui si stratificano altri inserti, acquerello, china, inchiostro, aerografo, colori acrilici densi, stesi in modo che si percepisca la pennellata; passaggi il cui risultato è il raccontare una rabbia che acquista uno spessore. Probabilmente la prova migliore, a livello grafico, tra quelle offerte in questo volume.

Il patteggiamento è materia di Squaz, che costruisce una storia più pacata ma non meno carica di ansie, incentrata su un N architetto intento a fronteggiare un nuovo mondo, frutto di una serie di crolli: la sua relazione sentimentale, la cecità, una città da ricostruire in seguito a un terremoto. Partendo da qui Squaz racconta la storia di una generazione impossibilitata nel pianificare un futuro che le è stato rubato di sotto gli occhi.
Totem di questa terza incarnazione di N è il coniglio, che si materializza per le tavole e sulla testa di un protagonista intrappolato in un continuo compromesso, senza mai sbilanciarsi, nel vivere come nel guardare avanti.
Le immagini si alleggeriscono, forti della sintesi grafica cartoonesca che caratterizza i lavori di questo autore, la tavola si fa più ariosa e i ritmi tornano distesi, per una terza storia che già non lascia alcuna speranza. Grande è il carico simbolico della narrazione, dai conigli agli orologi, fino alle costruzioni perennemente sparse, emblema dell’impossibilità di (ri)costruire. A contrapporsi ad una certa semplicità grafica troviamo però un protagonista piuttosto approfondito, sia nel carattere che nelle interazioni con gli eventi, la donna che lo ha lasciato e una società che tiene sotto scacco grazie alla sua malattia.

Col procedere della narrazione lo scavo si fa sempre più profondo nell’interiorità di ogni nuovo N che viene. Nella fase seguente, Akab affronta la depressione, con una storia dai tratti autobiografici che descrive per espansione un singolo istante nella vita del protagonista. È questo, forse, benché la lettura non sia immediata e semplice, uno dei momenti più alti a livello narrativo ed emotivo, in cui l’angoscia è palpabile; prima di tutto nelle immagini, frammenti accostati, che coesistono come cristallizzati, legati tra loro da un ripetersi di parole che contribuiscono a rendere il senso di oppressione che attraversa tutta la quarta fase.
A sostenere le immagini sta il lungo monologo del protagonista, la cui ottima realizzazione riesce a rendere il senso della contemporaneità tra le immagini mostrate e, aspetto da non sottovalutare, a coinvolgere nella lettura di quella che, di fatto, è una sequenza casuale di immagini, tutte realizzate separatamente.
Nel raccontare la depressione di N, Akab utilizza alcuni elementi riscontrabili in altri suoi lavori precedenti, dalla sessualità alle figure inquietanti, da un immaginario televisivo distorto all’attenzione quasi ossessiva per i primi piani sui dettagli, fino al puntare la camera su di sé, arrivando a costruire un’atmosfera disturbante che già dalle ultime battute conferma al lettore l’assenza di ogni speranza.

Un’assenza che viene ufficializzata da Tiziano Angri nell’ultima fase, quella dell’accettazione, in cui il malato si rende conto che la sua condizione non potrà migliorare, in cui l’individuo accetta finalmente che la persona che ha perduto non tornerà.
Con un immaginario di persone dalla testa troppo grande, Angri racconta gli effetti di una fabbrica su una comunità di persone, un morbo che deteriora i tessuti umani fino a ridurre le persone a larve e filamenti. Nella sua stanza d’ospedale il signor N è ormai alla fine dei suoi giorni e ricorda, in uno stato di trance indotto dagli anestetici, momenti del proprio passato tanto importanti quanto spiacevoli. Come se fosse un’accettazione progressiva della propria vita, il signor N arriva così ad accettare la propria condizione di morituro.
Nella semplicità data dalla sola china nera, Angri realizza tavole soffocanti, in cui la trama del segno è ricchissima e intricata, in cui le grandi figure sono uno stacco molto forte rispetto a quanto le circonda, grigio e nero, come a sottolineare l’effetto totalizzante dei fumi della ciminiera.
La conclusione dell’ultima fase vede un contributo di ogni autore che, tra incombenze e simbologie, dà forma al cerchio che conclude plausibilmente anche le vicende degli altri quattro N, destinati prima o poi ad approdare all’accettazione.

Le 5 fasi si fa testimone di un modo di intendere il fumetto non solo come arte sequenziale ma anche come oggetto, spostandolo dalla sua attuale collocazione e rendendolo vettore di una volontà di cambiamento. Non si può quindi non spendere qualche parola, in conclusione, sulla confezione di questo gigantesco volume, in cui tutto è curato nel dettaglio. Il grande formato e la carta patinata, che rende onore agli originali, e a maggior ragione il cofanetto dell'edizione limitata, come già fatto osservare da molti, rendono il libro più simile a un catalogo d’arte che ad un fumetto. Un gioco con il fumetto, dunque, e allo stesso tempo un tentativo di elevare la materia, rompendo gli schemi e le consuetudini.

Nuova serie per Wakasugi

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KappeiSi chiamerà Kappei il nuovo lavoro di Kiminori Wakasugi e racconterà la storia di un eroe che appare nei momenti in cui non serve a nulla.

La scorsa primavera si era concluso Detroit Metal City, serie umoristica che aveva lanciato l'autore (edita in Italia da Planeta DeAgostini e ancora in corso), incentrata sulle (dis)avventure di Negishi Soichi, uscito di casa alla volta di Tokyo e intrappolato nella doppiezza di una vita che si divide tra il gruppo death metal Detroit Metal City e la sua indole introversa ed impacciata.

A poco più di un anno dalla conclusione di Detroit Metal City, quindi, Kiminori Wakasugi tornerà sulle pagine di Young Animal di Hakusensha con Kappei, a partire dal 27 maggio.

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