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Cris Tridello

Cris Tridello

Bone: Full Color One Volume Edition

  • Pubblicato in News

Bone-Slipcase-Cover-smallIl 2011 sarà il ventesimo anniversario del primo numero di Bone e, per l’occasione, il suo autore Jeff Smith annuncia sul proprio sito l’edizione a colori del titanico One Volume Edition.

Il volume sarà un cartonato con cofanetto ed includerà numerosi extra in modo da raggiungere quasi 1400 pagine.

Abbiamo interpellato Bao Publishing e chiesto loro notizie sull’eventuale edizione Italiana di questo volume. La casa editrice ha prontamente risposto di avere già nei propri piani editoriali sia questa edizione che quella digitale, anche se la precedenza sarà data al volume in bianco e nero, già annunciato.

Fun Home

Fun Home – una tragicommedia familiareQuando il padre di Alison Bechdel era ancora vivo, il loro rapporto non poteva certo essere considerato idilliaco.

Bruce Bechdel, così ampolloso nei modi, dai gusti antiquati, appassionato e colto lettore, perfezionista ed emotivamente distaccato, certo non fu né un marito né un padre modello.

Tutti i membri della famiglia Bechdel, per sopperire a questa mancanza di dimostrazioni di affetto, trovarono rifugio nell’arte. Chi leggeva, chi suonava, chi disegnava, chi recitava, ognuno aveva trovato un mondo alternativo nel quale vivere.

Bruce Bechdel muore all’età di 44 anni e non si capirà mai se per volontà propria o come vittima di un incidente (fu investito da un camion).
Con quella morte ogni tentativo di dialogo e di apertura nei confronti del genitore è stata cancellata e Alison, anni dopo, decide di mettersi davanti al computer e al tavolo da disegno tentando di analizzare il relazione avuta con il padre.

Fun Home è il risultato di questa analisi.

La stuttura della storia non è lineare ma sembra seguire i ricordi dell’autrice in ordine sparso a seconda di come questi sorgono nella memoria.
Ogni capitolo approfondisce un aspetto diverso del rapporto padre-figlia, descrivendo ed illustrando al lettore vari tasselli dell’intera vicenda ma approfondendone aspetti differenti, partendo dai più banali fino ai più importanti.
Nel farlo l’autrice utilizza numerosi accostamenti letterari adattissimi nel descrivere la vita del genitore che vive i propri sentimenti nel mondo delle parole scritte (siano esse lette nei romanzi o esternate nelle lettere scritte alla moglie o alla figlia al college).
Questa completa apatia, unita ad un’omosessualità mai pienamente confessata alla famiglia, sono il fulcro dell’intero racconto e l’autrice, senza mai giustificare il genitore, cerca di accettarne il carattere e di comprenderlo in una maniera più profonda.

Grazie all’autrice, quindi, scopriamo che l’intera vita di Bruce si è svolta in un territorio di pochi chilometri quadrati, che il carattere del padre, così apparentemente riservato, si rifletteva nei gusti vittoriani con il quale aveva ristrutturato ed arredato sia la vecchia casa colonica e l’impresa di pompe funebri di famiglia o che i gusti sessuali del genitore non erano poi così nascosti come potevano apparire ad occhi estranei.

Il carico emotivo del racconto cresce di pagina in pagina raggiungendo l'apice nell’ultimo capitolo quando, con un parallelismo all’Ulisse di James Joyce, l’autrice ed il proprio padre riescono ad trovare un punto di raccordo emotivo proprio nella loro diversità sessuale; questo incontro resterà come un epitaffio nella memoria dell’autrice che poco dopo ritroverà il padre in una bara.

Fun Home non è una lettura facile; molte sono le citazioni letterarie: dal Grande Gatsby di  Francis Scott Fitzgerald, a James Joyce e Oscar Wilde, Jerome Salinger, Marcel Proust e William Faulkner; l’autrice utilizza il mito di Icaro e del padre Dedalo per aprire e chiudere il racconto e medita sul suicidio attraverso gli scritti di Camus ma riesce abilmente a rendere la lettura per nulla pesante utilizzando un linguaggio colloquiale e per nulla accademico che, accostato alle vignette dallo stile semplice ed efficace, consentono ai pensieri di fuoriuscire dalle pagine per essere percepiti in maniera cristallina.
Le parole e le immagini dipinte dall’autrice formano un memoir unico, non a caso premiato come Best Book of the Year 2006 dalla rivista “Time”.

The Umbrella Academy 1

The Umbrella Academy 1 - La Suite dell'ApocalisseIl momento in cui Tom “Tenaglia“ Gurney mise al tappeto l’astrocalamaro di Rigel X-9 con una gomitata atomica volante, quarantatrè donne single partorirono altrettanti pargoli, senza aver mai manifestato nessun sintomo della gravidanza.
I bambini che sopravvissero furono abbandonati o dati in affidamento e Sir Reginald Hargreeves, scienziato ed inventore di fama mondiale, ricco imprenditore e alieno spaziale in incognito, riuscì ad adottarne sette al solo scopo di “salvare il mondo”.
Anni dopo quei bambini si ritrovano alla morte del genitore; ormai cresciuti e provati dalla vita, decideranno di continuare l’opera di protezione planetaria così fortemente voluta dal loro padre adottivo.

Questo è l’incipit di The Umbrella Academy - La Suite dell’Apocalisse miniserie in sei parti, vincitrice del premio Eisner Award nel 2008 come miglior serie  limitata, e che arriva da noi dopo aver riscosso parecchio successo in patria sia in termini di pubblico che di critica.

Con una presentazione come questa, le aspettative non potevano che essere alte, ma chi si aspettava di trovarsi di fronte ad una assoluta novità, quale fu The Authority, o a capolavori come Watchmen o All Star Superman, è rimasto parecchio deluso.

Diciamo subito che il punto di forza di Umbrella Academy è, al contrario, proprio il suo essere così simile a mille altre storie già lette, senza però essere associabile a nessuna di essa.

La vera sorpresa di questo progetto è Gerard Way, cantante dei My Chemical Romance e sceneggiatore esordiente nel mondo dei comics, che con quest’opera dimostra di aver appreso la lezione dei grandi maestri in maniera perfetta  tanto da riuscire, già al primo colpo, a fornire: un’appassionante ed intricata trama, personaggi che si imprimono nella memoria alla prima apparizione e dialoghi taglienti e precisi.
Way si dimostra quindi lettore attento e profondo conoscitore del mondo nel quale ha deciso di entrare.

Fortunatamente per il lettore, però, tutto l’insegnamento appreso dal giovane sceneggiatore non è stato messo al servizio di una grande major, con personaggi nati decine di anni fa e migliaia di pagine di storie alle spalle.
Coraggiosamente Way, e con lui la Dark Horse che ha deciso di appoggiare il progetto, esordisce con qualcosa di completamente autonomo, che deve sì molto a grandi autori come Mike Mignola, Alan Moore o Grant Morrison, ma che riesce ad imporsi come opera autoriale e riconoscibile.

The Umbrella Academy non sembra per nulla un lavoro d’esordio e la peculiarità di questa primo story-arc  è l’assoluta mancanza di pietà con cui Way gestisce e guida le gesta dei propri figli.
C’è un senso di cattiveria e spietatezza nella maniera in cui lo sceneggiatore maneggia i personaggi, e non ci si può esimere dal provare un divertito gusto del macabro e del politicamente scorretto che ricorda il migliore Garth Ennis.
I personaggi sono tutti caratterizzati in maniera egregia e, cosa sorprendente, fin dalla prima apparizione la sensazione è quella di conoscerli da anni.
Merito del fatto che nei componenti del gruppo (Monocolo, Spaceboy, Kraken, la Voce, il Medium, 00.05, Horror e Vanya-il violino bianco) sono riconoscibilissimi i tratti caratteriali di personaggi come Superman, Batman o Martian Manhunter ormai entrati nell’immaginario del lettore.
Con questo non si vuole sminuire il lavoro di character design fatto sui personaggi, ma piuttosto puntualizzare il fatto che questo espediente si è rivelato un valido punto di partenza per la definizione del background delle proprie creature, che lo sceneggiatore riesce ad arricchire utilizzando non solo la storia principale, ma anche dettagli della vignetta o del dialogo, senza però mai apparire didascalico o eccessivamente prolisso.
La narrazione scorre veloce, subito si viene gettati a capofitto nella trama principale ed ogni pezzo del mosaico è presentato al lettore al momento giusto e con il giusto pathos.

L’unico difetto che si può imputare a questa prima miniserie e che tutto accade troppo in fretta, e pur non avvertendo mai la sensazione che qualcosa manchi all’appello, alcuni momenti di pausa avrebbero giovato.

Ma è poca cosa considerata la mole di argomenti trattati: si parla di rapporto tra padre e figlio; di relazioni familiari che segnano l’esistenza e del sacrifico che una vita da eroe comporta.
Il tutto viene trattato tra un cazzotto e l’altro e con abbondante spargimento di sangue.

Se Umbrella Academy ha vinto numerosi premi, il merito va senz’altro dato anche al disegnatore brasiliano Gabriel Bá, che profeticamente vide in questo progetto l’occasione della vita.
È difficile immaginare un tratto più adatto per questa miniserie; lo stile di Bá, dinamico, molto caricaturale e ricco di ombre nette, richiama e ricorda lo stile di autori come Eduardo Risso o il già citato Mignola. Anche nel suo caso, però, la personalità del lavoro è evidente così come la passione e l’impegno profuso in ogni singola vignetta.

Umbrella Academy vale la fama conquistata ed è l’editor della Dark Horse Scott Allie a spiegarcene il motivo nella postfazione del volume.

Gerard Way, nell’offrire la sua creazione ai lettori, non scende a compromessi e mette tutto se stesso ed il suo lavoro a disposizione del pubblico, senza nascondersi.
 
Senza dubbio il fatto che Allie abbia creduto al progetto fin dall’inizio ha sicuramente aiutato, ma questa miniserie è stata frutto di un lavoro d’equipe dove tutti hanno dato il loro massimo, a partire dallo sceneggiatore, passando per il disegnatore ed il colorista Dave Stewart, che ha saputo donare le giuste tonalità ed atmosfere, fino alle bellissime copertine di James Jean.
La Dark Horse ha saputo promuovere la miniserie in maniera adeguata, sfruttando internet ed il Free Comic Book Day per offrire al pubblico i primi assaggi gratuiti dell’opera in due short stories, raccolte alla fine di questo volume, in modo da alimentare ed aumentare le aspettative dei lettori.

Non possiamo che dare il benvenuto a Gerard Way e alla sua creazione, ed attendiamo con ansia sia la seconda miniserie The Umbrella Academy: Dallas che la terza, annunciata come imminente alla San Diego Comic Con da poco terminata.

Dragonero

La nuova scommessa della Bonelli si chiama “Romanzi a fumetti”: esce annualmente, nel periodo estivo, e presenta storie complete, slegate dai classici personaggi della casa editrice.

Nel primo numero entriamo nel mondo fantasy di Dragonero:
“Al di là delle terre dell’Impero, l’Antico Divieto, il sigillo che incatena i terribili Abomini nel loro mondo oscuro, sta per cedere..
Toccherà al classico gruppo di eroi combattere tale minaccia: il protagonista Ian, guerriero appartenente alla famiglia degli ‘uccisori di draghi’; il suo amico orco Gmor; il vecchio mago Alben; la monaca guerriera Ecuba; la tecnocrate Myrva e l’elfa dei boschi Sera”.

Gli autori, Luca Enoch e Stefano Vietti ai testi e Giuseppe Matteoni ai disegni, hanno impiegato più di tre anni per portare a compimento questo progetto, ed il lavoro fatto per costruire il mondo immaginario di Dragonero è estremamente accurato.
Nulla è stato lasciato al caso: le varie ambientazioni, pur essendo parecchio diverse tra loro, si amalgamano perfettamente rendendone credibile l’esistenza, e i personaggi hanno un notevole spessore, arricchito anche dai numerosi flashback che ne aumentano il background.
Dopo poche pagine dall’inizio non si può fare a meno di immergersi completamente in questa fantastica ambientazione che sembrerà subito familiare, proprio perché, nella fase di creazione, si è pescato a piene mani da quello che è la letteratura popolare fantasy.

Ogni capitolo è introdotto da una bella ed articolata mappa, che funge anche da pausa narrativa, tra un evento e l’altro della trama.
Proprio nella storia, risiede, però, la principale pecca del volume.
Alcuni personaggi, specie Ecuba, non sono utilizzati adeguatamente e la trama non riserva mai grandi sorprese, ricalcando invece strutture già viste in mille altre saghe fantastiche.
Manca la voglia di “osare” di più, lasciando da parte i soliti sentieri percorsi già innumerevoli volte da altri, per inoltrarsi in nuove strade e nuove storie.

Non si può, però, parlare di ennesima occasione mancata.

Ci troviamo di fronte ad un volume Bonelli, sicuramente pensato per essere il più popolare possibile; già l’aver puntato sul fantasy per il “varo” di un nuovo formato editoriale, è una decisione che comporta un certo rischio, specie considerando che, questo genere, non ha mai avuto fortuna nel mercato editoriale fumettistico nostrano.

Il mondo creato dai tre autori ha solide fondamenta, e le basi per future e nuove avventure ci sono: peccato non si siano sviluppate in maniera migliore già da ora!

Se siete a caccia di assolute novità, quindi, rimarrete delusi; se però non ne avete mai abbastanza di draghi, guerrieri, maghi et similia, e siete disposti a sorvolare sull’originalità della trama a favore di un paio d’ore di sano intrattenimento… allora comprate Dragonero ed entrate nel mondo di “Ian figlio di Aràn, della casata degli Uccisori di Draghi”.

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