Dylan Dog 280: Mater Morbi
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Se il precedente “Il Giardino delle Illusioni” ha segnato il ritorno di uno dei migliori autori di sempre sulla testata, Paola Barbato, "Mater Morbi" è appunto il frutto (al momento più maturo) di ben due nuove leve dylaniane: Roberto Recchioni e Massimo Carnevale.
Alla sua seconda prova sulla serie regolare, Recchioni compie un gran balzo in avanti e ci regala una storia intensa e profonda in cui è difficile scindere le sue vicende personali dalla finzione, in cui chiede al lettore di andare oltre il suo semplice ruolo e di subire quasi la storia.
Si potrebbe dire che l’autore ci abbia messo l’anima in questo racconto, se non fosse che l’affermazione risulterebbe alquanto inesatta: Recchioni ci ha messo il corpo.
Mater Morbi è la madre delle malattie, una donna bellissima ma tristemente sola perché, come dice lo stesso Dylan, anche la morte e la sofferenza hanno i suoi estimatori, ma non la malattia, tutti cercano di fuggire da lei. Per questo Mater Morbi ha bisogno di trattenere i suoi figli in lunga agonia, per non lasciarli sfuggire, giocarci fin quanto non si stanca di loro e lasciarli poi morire. Una sorta di desiderio d’amore impossibile da ricambiare.
L’abilità narrativa di Recchioni è evidente, la storia è un continuo crescendo di situazioni e riflessioni che, in modo coerente e intelligente, toccano punti sempre più alti, passando di livello in livello di pari passo alla vicenda clinica di Dylan Dog. Le riflessioni e le conseguenze degli sviluppi sono sempre acuti, per un albo che fa riflettere e che non può lasciare indifferenti. Tra l’altro, difficilmente si è visto un personaggio tanto sofferente e malato come il Dylan di questa storia, dimostrazione di come il fumetto popolare sia più vivo e interessante che mai. Una storia che in certo senso è un compendio alla precedete, e già citata, della Barbato, disegnata da Marco Soldi: lì la sofferenza di Dylan era tutta psicologia, l’indagatore dell’incubo ha dovuto affrontare la sua mente. In "Mater Morbi" la sua sofferenza è tutta fisica, è il corpo ad essere minato.
La storia, drammatica e struggente, non poteva trovare tratto migliore che quello di Massimo Carnevale che riesce ad esaltare con il giusto tono la sceneggiatura di Recchioni dando il massimo nelle sequenze passate, realizzate in mezze tinte. L’intesa fra i due è elevata e tutto è a supporto di una fra le migliori storie del personaggio, sicuramente (almeno) per quanto riguarda gli anni zero.