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Justice League: la recensione del film

Nel 2012 Avengers frantumava ogni record al botteghino, diventando il terzo maggior successo della storia del cinema. I Marvel Studios passavano all’incasso dopo aver preparato la strada verso il film evento fin dalla famosa sequenza post-credit del primo Iron Man datato 2008, quella in cui Nick Fury appariva a sorpresa nel salotto di un incredulo Tony Stark proponendogli l’idea del Progetto Vendicatori. La scena introduceva per la prima volta in un cinecomic l’idea di un universo condiviso, che sarebbe poi diventata lo standard per questo genere di prodotto. Idea che nel frattempo non poteva essere ancora sviluppata dalla DC / Warner, impegnata nella conclusione della trilogia dedicata a Batman da Christopher Nolan e scottata dal flop del Green Lantern interpretato da Ryan Reynolds l’anno prima. Solo con Batman V Superman: Dawn of Justice del 2016, la casa di produzione cinematografica si imbarcava finalmente nella realizzazione del primo crossover tra i suoi personaggi. La regia venne affidata a Zack Snyder, reduce dal buon esito di Man of Steel, ma il suo approccio troppo dark divise, e a distanza di anni ancora divide, i fan. Il pubblico che era accorso in sala per assistere al primo incontro sul grande schermo tra le due più grandi icone del fumetto americano, si ritrovò davanti a un mattone dalla durata di quasi 3 ore, più interessato a disquisizioni teologiche sulla figura del supereroe e sulla natura cristologica di Superman che a raccontare una storia. Un collage di immagini spesso potenti, ma avulso da ogni logica narrativa. La realizzazione del successivo Justice League per mano del confermato ma contestatissimo Snyder non partiva sotto i migliori auspici, e la situazione si è fatta critica quando il regista ha dovuto abbandonare il progetto subito dopo la fine delle riprese a causa di un terribile lutto familiare, lasciando il lavoro di post-produzione a Joss Whedon. Viste le premesse, era lecito attendersi il peggio.

A dispetto dei pronostici, Justice League è invece un riuscito carrozzone che non si vergogna delle sue origini pop come il precedente BvS (chi cerca un trattato sull’esistenzialismo non perda tempo e si legga un libro di Jean-Paul Sartre), tappando sul nascere falle congenite che ne avrebbero potuto causare il naufragio e riuscendo addirittura a far convivere felicemente l’estetica di due autori lontani anni luce tra loro.

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Andrè Bazin, celebre critico cinematografico, fondatore dei prestigiosi Cahiers du Cinema e ispiratore della Nouvelle Vague, sosteneva nei suoi saggi la centralità del montaggio nella realizzazione di una pellicola. Il montaggio è “l’organizzazione delle immagini nel tempo” (cit.) e tra tutti i mezzi espressivi di cui il cinema dispone è il più importante, perché ha la funzione di generare senso. Tralasciando il gusto personale di ciascun spettatore nell’approcciare lo stile dark, monumentale e funereo di Snyder, i ralenty volti ad aumentare la dimensione epica delle sue pellicole, il gusto per singole immagini iperrealiste fortemente evocative e suggestive che faticano però a comporre un racconto, il problema di cui soffriva maggiormente BvS era proprio il montaggio. Il sospetto diventò una certezza dopo la visione della versione estesa del film, tre ore complessive in cui venivano recuperate sequenze fondamentali per la comprensione della trama. Nella versione destinata alle sale, non si capiva nulla del piano di Luthor fino allo "spiegone" finale del medesimo, né si comprendeva perché Clark Kent ce l’avesse tanto con Batman, visto che tutta la sequenza della sua inchiesta nei bassifondi di Gotham con relativi personaggi di contorno era stata tagliata. Per aumentare la comprensibilità della pellicola, sarebbe bastato tagliare cinque minuti di scazzottate nel prolisso finale e inserire qualcuna delle sequenza sopracitate. La notizia positiva di Justice League è che non ha nessuno di questi problemi. Il film è assolutamente godibile, con una piacevolissima fluidità narrativa, considerando la mole di avvenimenti che racconta e il discreto numero di personaggi nuovi che deve introdurre. E qui si vede la mano di Whedon, che ha una maggiore propensione al racconto rispetto al collega.

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Il lavoro di Snyder stesso ha beneficiato dalla rifinitura dell’ideatore di Buffy the Vampire Slayer, che lo ha sottratto all’esuberanza creativa generosa ma spesso fuori contesto del suo autore. Non sapremo mai come sarebbe stato uno Justice League interamente nelle mani di Snyder, ma se avesse avuto un cut confuso come il suo predecessore non è esagerato sostenere che Whedon ha salvato la pellicola, rendendo comunque giustizia al talento visionario del suo collega e arricchendo una tavola già preziosamente imbandita con dei re-shooting mirati ad aumentare l’empatia tra personaggi e pubblico. Volendo sottrarci alla noiosa querelle internettiana circa l'eccessiva ironia di film come questo o il recente Thor: Ragnarok, diremo che l’inserimento di scene condite da una leggerezza tipicamente whedoniane servono a stabilire una felice connessione emotiva che mancava del tutto nel film precedente, e di cui beneficia anche la prestazione degli attori.

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Ben Affleck è convincente tanto nella parte di Bruce Wayne che in quella di Batman, a dispetto delle tante critiche piovutegli addosso negli ultimi anni. Affleck interpreta un Cavaliere Oscuro dalla fisicità impressionante, un calco perfetto di quello disegnato su carta da Jim Lee e riproposto ogni mese da David Finch nella sua collana principale. È il Batman che i lettori aspettavano da sempre. Gal Gadot si conferma una splendida Wonder Woman, e i suoi meriti vanno oltre la sua prestazione in Justice League, peraltro ottima: la Gadot è il sole che illumina l’universo cinematografico DC, affascinante e carismatica, vera forza motrice dell’intero progetto, uno dei casting più azzeccati dell’intera storia dei cinecomic. Nonostante il poco tempo loro concesso per lasciare il segno, si fanno notare Ezra Miller nel ruolo di Flash e Jason Momoa in quello di Aquaman. Miller interpreta un Barry Allen ancora all’inizio del suo percorso e che è ancora lontano dal diventare la rispettata icona che sarà, mentre l’Arthur Curry di Momoa svolge alla perfezione il ruolo del solitario burbero ed irascibile che, contro ogni previsione, scoprirà la bellezza del gioco di squadra. Unica nota stonata il Cyborg di Ray Fisher che, come il celebre MacGuffin hitchcockiano, rappresenta più un elemento di snodo della trama che un personaggio ben caratterizzato. Deludente anche il villain, lo Steppenwolf modellato sulle fattezze dell’attore irlandese Ciaran Hinds, realizzato nella peggiore CGI dai tempi del Beowulf di Zemeckis e che nel 2017 non è accettabile in progetti di queste dimensioni. Sarebbe stato preferibile usare il vero volto di Hinds, il Mance Rayder di Game of Thrones, inquietante come non pochi, ma si tratta di un elemento che non pregiudica il giudizio finale sulla pellicola, che resta comunque positivo.

Segnaliamo con immenso piacere la partitura musicale di Danny Elfman, che torna a lavorare su un film di supereroi dopo aver realizzato l’indimenticabile colonna sonora dei due Batman diretti da Tim Burton, capostipiti dei cinecomic moderni. E quando l’arrivo sullo schermo del Cavaliere Oscuro è annunciato dal Batman Theme del 1989, un vecchio redattore ormai padre di famiglia torna ad essere un ragazzino di 13 anni e la magia ricomincia, a dimostrazione di quella connessione emotiva che rende Justice League sia la chiusura di un cerchio ideale, sia un nuovo e promettente inizio.

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