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Luca Tomassini

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Lucca Comics & Games 2024: un bilancio

  • Pubblicato in Focus

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Si è conclusa l’edizione del 2024 di Lucca Comics & Games, la regina delle kermesse italiane dedicate al mondo dell’intrattenimento a 360°. L’ennesima edizione contrassegnata da un alto numero di presenze – si parla di oltre 275.000 biglietti staccati, un calo rispetto ai 314.000 dello scorso anno – che ne fanno comunque la terza in assoluto più visitata di sempre (senza contare il gran numero – non calcolabile – dei visitatori delle numerose aree gratuite o di quanti hanno deciso di farsi una passeggiata lungo le mura del centro storico per ammirare l’abituale e colorata parata di coloratissimi cosplayer).
La terza edizione (per fortuna baciata dal sole) per numero di partecipanti, dicono i numeri, ma comunque gargantuesca nella percezione di chi scrive per la gran folla (almeno nella giornata festiva del 1 novembre e del giorno successivo, ma ne parliamo tra poche righe) che si è riversata nelle strade e nelle piazze del centro storico di Lucca, uno dei più belli della Toscana e del nostro paese. E gargantuesca anche per l’offerta clamorosa di contenuti - tra padiglioni di editori e rivenditori e firmacopie di autori, mostre, proiezioni speciali di anteprime di film e serie tv nei cinema del centro, conferenze ed altri eventi multimediali – da far girare la testa. Una partecipazione che ha travalicato anche i  limiti della partecipazione fisica, con dirette streaming a cui si sono collegati oltre 150.000 utenti Twitch con oltre 400.000 visualizzazioni. Numeri a cui si aggiungono quelli dei 16.000 professionisti registratisi per l’evento, 900 ospiti, 1585 appuntamenti tra laboratori, workshop, incontri, dibattiti, showcase e sessioni di gioco.

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Al netto dei numeri snocciolati – tutti importantissimi, ci mancherebbe – e dei commenti istituzionali, ci piace pensare che il successo costante di Lucca Comics & Games sia dovuto essenzialmente alla partecipazione di legioni di visitatori che, in nome di una grande passione, sopportano una serie di criticità di non poco conto. E di una schiera di operatori sul campo – eroici – che lavorano in modo sovraumano per rendere più tollerabili queste criticità. Criticità che a nostro avviso sono alla base di un numero più basso di visitatori rispetto agli ultimi anni.
La prima di queste – di cui la manifestazione non è responsabile, ma che nasce dalla  fortissima richiesta di partecipazione ad essa – è quella dei prezzi delle strutture ricettive. Un'impennata di prezzi di stanze, appartamenti, hotel e b&B – sia dentro che fuori le mura del centro storico – che assume i connotati di una insopportabile speculazione. Non è esagerato dire che, con quanto speso per un pernotto per tutta la durata della manifestazione, si potrebbe parzialmente finanziare una trasferta al San Diego Comic-Con con volo, se non di prima classe, quantomeno in una dignitosa Premium Economy. Una situazione che peggiora di anno in anno e che, di fatto, taglia fuori chi vorrebbe partecipare ma non può permettersi di spendere certe cifre, per non parlare poi dei rincari di biglietti per l'ingresso giornaliero e degli abbonamenti, un aumento non indifferente per le tasche di tanti visitatori.

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Il pubblico probabilmente comincia ad avvertire anche una certa stanchezza dovuta al fatto di dover affrontare lunghissime file per fare qualsiasi cosa, come guadagnare l’ingresso a padiglioni di editori che mettono in vendita volumi che, nella maggioranza dei casi, si possono tranquillamente trovare in qualsiasi fumetteria o libreria di varia. Senza la possibilità di ottenere il classico “sconto fiera”, l’appassionato programma l’acquisto del volume nella sua fumetteria di fiducia, evitando di caricare il suo zaino di peso eccessivo. Una differenza la farebbe la possibilità di ottenere facilmente una firma o uno sketch del proprio autore preferito, ma qui veniamo ad una nota dolente: il sistema di prenotazione di eventi e firmacopie adottato per la manifestazione. Quello scelto per questa (e per la precedente) edizione di Lucca Comics si è rivelato assolutamente fallimentare, con ticket andati esauriti in poche frazioni di secondo successive all’apertura delle prenotazioni nei giorni precedenti alla fiera, anche per autori non particolarmente richiesti. Molti di questi ticket sono poi finiti in vendita online, una pratica deprecabile che dovrebbe già di per sé sentenziare la fine di questo modello e la ricerca di un’altra soluzione per le prossime edizioni. Ci rendiamo conto che non è facile gestire eventi con una partecipazione massiccia come questa e speriamo che questi nostri rilievi vengano interpretati per quello che sono: una critica costruttiva operata da chi, di Lucca e Lucca Comics, è innamorato fin da quando era ragazzino.

Ma i motivi per partecipare a Lucca Comics sono sempre tanti, a partire dal gran numero di eventi proposti: tra questi la nostra attenzione è stata catturata dai talk targati Panini Comics. Davvero interessante “Scrivere l’America 2”, moderato da Marco Rizzo, che ha proposto un parallelo tra comics e contemporaneità di assoluta attualità visto l’avvicinarsi della data del voto USA. Preziosa la partecipazione di Jeph Loeb, grandissimo sceneggiatore ospite Panini e di Gene Luen Yang, ospite Tunué, che ha fornito la sua preziosa testimonianza di figlio di immigrati cinesi negli States. All’altro panel Panini, dedicato al nuovo Ultimate Universe della Marvel moderato da Nicola Peruzzi, hanno partecipato gli autori alle prese con questa nuova iterazione di grande successo di classici personaggi della Casa delle Idee. Alla presenza di C.B. Cebulski, editor in chief Marvel, hanno sfilato Peach Momoko, idolo dei lettori più giovani, e gli italianissimi Marco Checchetto, David Messina, Alessandro Cappuccio e Stefano Caselli. Se forse è mancato il “grande disegnatore americano” di comics che potesse succedere a John Romita Jr. (2022) e Jim Lee (2023), è altrettanto vero che altri editori hanno portato ospiti di tutto rispetto. Senza perderci in un lunghissimo elenco, vogliamo citare star del calibro di Daniel Clowes (Coconino) e Craig Thompson (RizzoliLizard), due autentiche colonne del fumetto indipendente statunitense, ma anche Scott Snyder, Sean & Jacob Phillips (Saldapress), Paco Roca (Tunué) e Simon Bisley (Mirage Comics).
Massiccia la presenza di autori asiatici come, oltre alla già citata Momoko, maestri giapponesi come Baron Yoshimoto (uno dei padri del movimento gekiga), Gou Tanabe, Usamaru Furuya. Spazio anche alla Corea (con Gendry-Kim presso Bao) e a Taiwan (Toshokan).

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Di altissimo profilo le mostre allestite nella strepitosa cornice di Palazzo Ducale: da giramento di testa le personali dedicate al sensei Yoshitaka Amano, autore del manifesto di questa edizione di Lucca Comics & Games (“The Butterfly Effect”, ispirato dalla ricorrenza dei cento anno dalla morte del lucchese Giacomo Puccini) e a Carmine Di Giandomenico, artista eccellente e mai abbastanza celebrato che è ormai da tanti anni penciler di fama internazionale. Davvero notevoli le mostre dedicate ai cinquanta anni di Dungeons & Dragons e di Les Humanoids Associés, con la mitica rivista Métal Hurlant, che festeggia anch’essa le cinque decadi alla presenza del mitico co-fondatore Jean-Pierre Dionnet.

Al netto di qualche criticità, si spera affrontabili e risolvibili in tempo per le prossime edizioni, Lucca Comics & Games si conferma come sempre un’ esperienza “totale” e irrinunciabile per qualsiasi appassionato che si rispetti, una meravigliosa parentesi di pochi giorni necessaria per staccarsi brevemente dalle tristezze della vita quotidiana, per riunirsi con amici lontani ma sempre vicini con il cuore, e per respirare un po' quella bellezza che se fosse patrimonio comune dell’umanità potrebbe davvero salvare il mondo.

Deadpool & Wolverine, recensione: un buddy movie quasi perfetto immerso nella nostalgia

  • Pubblicato in Screen

Molta acqua è passata sotto i ponti tra Deadpool & Wolverine e la precedente avventura cinematografica del mercenario chiacchierone interpretato da Ryan Reynolds. Nel secondo capitolo della saga, datato 2018, Wade Wilson viaggiava ancora a vele spiegate sotto il vessillo della 20th Century Fox e con lui tutto il catalogo di personaggi Marvel appartenenti al "sottobosco" mutante. I motivi della "diaspora" cinematografica ultra ventennale degli X-Men e i personaggi ad essi collegati dal resto del Marvel Cinematic Universe sono cosa ben nota e non ci torneremo sopra in questa recensione. L'acquisizione della Fox da parte della Disney nel 2019 apre le porte a una serie di conseguenze per lungo tempo inimmaginabili tra cui quella più desiderata dai fan: il "ritorno a casa" dei mutanti Marvel che ora possono finalmente confluire nel MCU e riunirsi, come accade da sempre negli albi a fumetti, con Avengers e soci. In realtà questa reunion non si mette in moto immediatamente: tra pandemie, false ripartenze e una serie di flop del MCU impensabili fino ad Avengers: Endgame, i mutanti cominciano a fare capolino solo adesso nell'Universo Cinematografico Marvel, prima con l'acclamatissima serie animata X-Men '97 e ora proprio con Deadpool & Wolverine.

Le vicende aziendali sopra raccontate sono un piatto succulento per la verve meta-narrariva strabordante di Deadpool, personaggio di un cinecomic che sa di essere un personaggio dei cinecomic, e che è cosciente di avere l'occasione irripetibile della sua vita, fornitagli dal mellifluo Paradox. Questo subdolo agente della Time Variance Authority (ente che gli spettatori di Loki conoscono bene) propone a Wade l'upgrade della sua vita: lasciare il moribondo universo Fox prossimo alla fine per diventare icona e colonna del Marvel Cinematic Universe. Ma Wade è un mercenario con il cuore grande, e in un tripudio di violenza a metà tra cartoon e Tarantino (con buona pace di chi temeva che il passaggio alla Disney potesse "ammorbidire" le vicende cinematografiche di Deadpool) rifiuterà l'offerta per cercare di salvare i suoi amici (tra cui l'amata Vanessa) e il suo mondo condannato all'oblio. E chi (tentare di) coinvolgere nell'impresa se non Wolverine, il mutante più amato? E visto che il Logan del suo mondo è morto nell'omonimo film del 2017, Wade dovrà perlustrare il Multiverso per trovare una "variante" dell'irsuto canadese disposto ad aiutarlo.

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Non vogliamo aggiungere altro al racconto della trama di Deadpool & Wolverine, limitandoci al racconto di quanto già visto nei trailer e nel materiale promozionale uscito in questi mesi. Meglio non rischiare di spoilerare il gran numero di sorprese presenti nel film, tra camei e omaggi a cinecomic del passato e alla storia fumettistica di Logan, alcuni davvero inaspettati, che manderanno in un brodo di giuggiole gli spettatori "iniziati".
Queste apparizioni sono il piatto forte del film: alcune annunciate, altre inattese e sorprendenti (vorremmo dirvi quelle che ci hanno fatto sobbalzare sulla poltrona ma ovviamente non possiamo)... e altre lungamente suggerite e molto attese che invece non sono presenti nel film, rivelandosi parte di un'abile strategie di marketing e null'altro. Camei che non sono da derubricare a semplice "fan service", termine spesso usato in modo dispregiativo da chi dimentica che questi film vengono fatti essenzialmente per i fan.

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Vecchi lettori di fumetti o spettatori "millennial" che sono invecchiati da quel primo X-Men del 2000 targato Fox e dagli altri film Marvel prodotti da questo studio, e Deadpool & Wolverine, tra azione, sangue, battute irriverenti e gite nel Multiverso, racconta anche e soprattutto di questo. Invecchiando si diventa malinconici, e attraverso l'inserimento di hit musicali dell'epoca (e ritorni clamorosi) il film strizza l'occhio a chi in fondo ha amato quelle pellicole Fox che nei primi anni del secolo hanno avuto il merito di rilanciare con una visione moderna (seppure con qualche inciampo) il genere degli adattamenti cinematografici dei comics, anticipando la nascita dei Marvel Studios. Ed è evidente l'affetto che proprio il demiurgo del MCU, Kevin Feige, prova per l'era Fox (dove iniziò la sua carriera come giovane assistente produttore di X-Men), tributando un giusto omaggio a quelle pellicole prima che spariscano nel "vuoto" in cui si svolge il secondo e terzo atto del film. Una metafora, sempre per restare in ambito meta-narrativo, della natura consumistica della cultura pop di massa, dove tutto si divora velocemente e i resti vengono gettati via quando non vengono più considerati utili.

Ma se la dimensione "meta" è l'aspetto che più la contraddistingue, Deadpool & Wolverine è comunque una pellicola ben diretta e ben interpretata, caratterizzata da una chimica straordinaria tra i due protagonisti. Ha fatto bene Ryan Reynolds a "corteggiare" per anni Hugh Jackman (cosa che non manca di sottolineare in più di una scena), convincendolo a tornare nei panni di Wolverine. Un personaggio che interpretata da 24 anni (record assoluto), e di cui riesce a cogliere ancora sfumature inespresse in precedenza. E che goduria vederlo finalmente nel costume iconico del mutante canadese! Il nero post-Matrix non è più di moda ed i tempi sono ormai maturi per lo "yellow spandex" deriso nella pellicola del 2000. Ryan Reynolds snocciola battute irriverenti a mitraglietta, all'insegna di un sano "politicamente scorretto". I due insieme fanno fuoco e fiamme e tutto fa pensare che li rivedremo insieme.

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Due parole vanno spese per la brava Emma Corrin, che presta le sue sembianze a una Cassandra Nova minacciosa e inquietante come la sua controparte cartacea creata da Grant Morrison. Un'ottima prova dell'attrice britannica, vera sorpresa del film. Shawn Levy, esperto di commedie, ha buon gioco nel dirigere le tante scene esilaranti del film, ma riesce a trovare la giusta sintesi con i momenti drammatici confermandosi come un ottimo artigiano della macchina cinematografica statunitense.

Se proprio bisogna trovare un difetto a Deadpool & Wolverine, "buddy movie" quasi perfetto, è la sua natura di pellicola che guarda molto al passato del genere "cinecomic", mentre ci saremmo aspettati novità importanti per il futuro del MCU (come suggerito in più occasioni da Feige stesso).
Dovremo aspettare ancora per capire se l'avventura di Wade e Logan avrà conseguenze nel grande (e un po' tormentato) arazzo della Saga del Multiverso attualmente in corso nei prodotti targati Marvel Studios.

Batman: Terra Uno - Edizione Deluxe, recensione: gli inizi del Cavaliere Oscuro

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Agli inizi degli anni 2000 le due major del fumetto statunitense, Marvel e DC, vennero attraversate da un’ importante ondata di rinnovamento, declinato però dai due editori in modo diverso.
Mentre in Marvel iniziava la nuova era Bill Jemas/Joe Quesada, contraddistinta da una violenta rottura col passato caratterizzata dall’arrivo di sceneggiatori da altri medium e dalla ricerca di “maggior realismo” (per quanto possibile parlando di eroi immaginari), la DC batteva territori supereroistici più classici, rimpolpando però il suo roster di autori con star del calibro di Jim Lee, Jeph Loeb, Geoff Johns ed altri che, pur rimanendo ancorati alla tradizione, fornivano una visione più moderna e al passo dei tempi delle classiche icone dell’editore. Eccezione fatta per Identity Crisis, drammatica storia scritta dal romanziere Brad Meltzer, la produzione DC dei primi anni 2000 non si spinge sui territori “realisti “ battuti invece con insistenza dalla Marvel con la sua linea “Ultimate”. Certo, si potrebbe obiettare che c’è poco da parlare di realismo in un fumetto di cui i protagonisti sono sempre e comunque divinità scandinave e leggende viventi della II Guerra Mondiale che camminano tra la gente comune, salvo poi precisare che il maggior realismo veniva fornito da un cinismo nel ritrarre questi eroi impensabile allora nelle serie tradizionali, e da considerazioni di carattere politico e geo-politico inedite per i comics americani mainstream.

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In realtà in quegli anni una versione realista di un personaggio DC venne effettivamente realizzata, ma non nei fumetti. In Batman Begins del 2005 Christopher Nolan fornì una visione del Cavaliere Oscuro spogliata da tutti gli elementi più fantasiosi del personaggio, mostrando gli anni di training di Bruce Wayne e la sua trasformazione in Batman in un mondo dove non esistono superpoteri e dove un uomo ben allenato e con ingenti capitali a disposizione può trasformarsi in una sorta di James Bond incappucciato. Il film di Nolan, di cui sarebbero apparsi ben due sequel negli anni successivi, fu un grandissimo successo di pubblico e di critica e impose un’idea di Batman a cui neanche i fumetti riuscirono a sottrarsi. Batman Begins rappresentò, in pratica, quell’ “Ultimate Batman” che nei comics ancora non c’era… fino alla creazione della linea Earth One.
Earth One era (o meglio è, essendo ancora in corso) un’iniziativa editoriale con cui la DC, attraverso una serie di graphic novel realizzate da alcuni tra i migliori creativi a sua disposizione, intendeva raccontare nuovamente le origini e i primi anni di attività delle sue icone più celebri, inserendole in un contesto attuale e  adattandole al gusto moderno. La linea debutta nel 2009 con Superman: Earth One, ma l’uscita più attesa è ovviamente quella dedicata al Cavaliere Oscuro, che arriva nel 2012. Così, in concomitanza con l’arrivo nei cinema di The Dark Knight Rises, terzo e ultimo episodio della trilogia nolaniana, Batman: Earth One arriva finalmente sugli scaffali delle fumetterie.

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La versione di Batman raccontata da Nolan al cinema è in quel momento fortemente in auge nella cultura pop e non può fare a meno di influenzare anche gli altri media. Anche in Batman: Terra Uno di Geoff Johns e Gary Frank, nonostante non manchino i richiami a situazioni ed elementi familiari provenienti dalla tradizione dei comics di Batman, la chiave di lettura è decisamente realista dove per realista si intende, visto che si parla pur sempre di un vigilante travestito da Pipistrello, il tentativo di rendere plausibili gli elementi più improbabili della mitologia del Cavaliere Oscuro. Così Alfred non è il maggiordomo di Villa Wayne, ma un militare della marina britannica in congedo che ha conosciuto Thomas Wayne in Medio Oriente, dove entrambi hanno servito durante la Guerra del Golfo stringendo una forte amicizia. Thomas, medico celebrato ora impegnato in una dura campagna elettorale per l’elezione a sindaco, chiama Alfred a Gotham City perché ha motivo di temere per la propria incolumità personale e per quella della sua famiglia, visto che il suo sfidante è Oswald Cobblepot, sindaco uscente che gestisce anche le attività criminali della città. L’intuizione di Thomas si rivelerà giusta, perché poco dopo l’arrivo di Alfred in città verrà assassinato insieme alla moglie Martha da un balordo che voleva rapinarli, lasciando il figlio Bruce orfano. Alfred si troverà costretto ad occuparsi del ragazzo e seppur riluttante per paura dei pericoli in cui potrebbe incorrere, metterà a disposizione la sua esperienza militare per l’addestramento di Bruce, una volta cresciuto e determinato a intraprendere la sua missione. Ma tutte le caratterizzazioni dei tre graphic novel sono all’insegna di un marcato e riuscito realismo: riuscitissime quelle del Pinguino (chiamato in questo modo unicamente per la sua eleganza nel vestire); di Harvey Bullock, poliziotto “divo del cinema” come il personaggio di Kevin Spacey in L.A. Confidential che scioccato dalla violenza di Gotham, cadrà nella spirale dell’alcool avvicinandosi alla versione classica del personaggio; di Killer Croc, reietto che vive nelle fogne il cui look è giustificato da una grave malattia della pelle e così via. Il personaggio di Jessica Dent, invece, ricorda molto la Rachel Dawes dei film di Nolan, e il modo in cui Johns gioca con questo personaggio vi sorprenderà, operando una sintesi tra il personaggio cinematografico e il mito di Two-Face. Da notare come Batman: Terra Uno, che si ispira molto alla trilogia nolaniana, sarà a sua volta la principale fonte di ispirazione per il successivo The Batman di Matt Reeves, che ne riprende alcune idee e una linea di dialogo chiave.

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I disegni sono appannaggio di una superstar assoluta del fumetto come Gary Frank, che non ha certo bisogno di presentazioni. Johns e Frank sono ormai da molti anni un duo affiatato che ha prodotto alcuni classici moderni della DC Comics come, oltre alla trilogia di Terra Uno, un ottimo ciclo di Action Comics, Shazam e la miniserie evento Doomsday Clock. Chi scrive ha casualmente riletto recentemente alcune storie di The Incredible Hulk disegnate da Frank negli anni ’90 su testi di Peter David, molto influenzate dallo stile muscolare dell’epoca (influenza comunque filtrata dalla naturale eleganza dello stile dell’autore). Confrontare quelle vecchie storie con Batman: Terra Uno significa constatare la crescita di un grande artista, passato dallo status di promessa a quella di maestro. Pagine che uniscono al dinamismo e alla spettacolarità, che hanno sempre caratterizzato l’opera dell’autore, una cura del dettaglio di altissimo livello: un raffinato uso del tratteggio nel delineare look, espressioni e personalità specifiche della vasta galleria di character presenti nei tre graphic novel. Piacevolissimo lo storytelling, che passa con naturalezza da scene di dialogo ad altre di azione concitata. Questo avviene tramite un raffinato montaggio delle vignette utilizzato in ciascuna tavola, abbandonando la tradizionale griglia fissa, fino ad arrivare all’esplosione dell’azione in strepitose splash-page di stampo cinematografico.

Batman: Terra Uno - Edizione Deluxe,  volume con il quale Panini Comics raccoglie i tre graphic novel che compongono la saga, è un tomo davvero imperdibile, tanto per i bat-nerd più affiatati quanto per nuovi ed eventuali lettori che vogliano avvicinarsi a questo immortale personaggio.

Batman / Grendel, recensione: Quando il Pipistrello incontrò il Diavolo

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Come abbiamo già raccontato nella recensione del primo omnibus dedicato a Grendel, il personaggio cult creato da Matt Wagner, all’inizio degli anni ’80 il mondo del fumetto a stelle e strisce viene attraversato dalla rivoluzione del direct market. Un nuovo modo di fruire i comics che consente il lancio di nuove proposte editoriali e di nuovi autori. È un momento di grandissimo e irripetibile fermento creativo: Frank Miller sta rinnovando il fumetto statunitense col suo primo e fondamentale ciclo di Daredevil mentre un giovane inglese di nome Alan Moore ha inaugurato in terra d’Albione con Miracleman un nuovo modo di scrivere i fumetti di supereroi che verrà definito “decostruzionista”. È in questo clima positivo che Matt Wagner lancia il suo Grendel, personaggio indie che trova un suo pubblico fedele nonostante il fallimento del suo primo editore, Comico, sulla falsariga di quanto Dave Sim aveva fatto con Cerebus.

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Il successo di questi nuovi personaggi e la reputazione sempre più consolidata dei loro autori non può fare a meno di attirare l’attenzione dei grandi editori: la Dark Horse Comics si offre di rilevare la pubblicazione di Grendel, mentre la DC propone a Wagner di realizzare un incontro tra la sua creatura e il personaggio bandiera della major, Batman.
A più di 25 anni dalla prima pubblicazione italiana dell’incontro / scontro tra i due personaggi, curata dalla ora defunta Phoenix, Panini Comics riporta in libreria il crossover tra Batman e Grendel in un bel volume cartonato che contiene, oltre alla prima miniserie del 1993, anche il sequel del 1996 sempre realizzato da Matt Wagner. Seppur realizzate dallo stesso autore, si tratta di due opere estremamente diverse da loro, quasi antitetiche, separate da una differenza stilistica che ben riflette i profondi cambiamenti che attraversano il mondo del fumetto americano tra l’uscita della prima e tra quella della seconda.

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La prima miniserie si sviluppa in due albi di formato “prestige”, L’enigma del diavolo e La Maschera del diavolo. Pur uscendo nel 1993, la storia risente molto di una certa letterarietà e di una costruzione delle tavole tipiche di qualche anno prima quando, a cavallo del passaggio tra gli ’80 e i ’90, l’influenza del lavoro di Frank Miller sui giovani artisti americani raggiunge il suo apice. La realizzazione della storia risale infatti a quel periodo ma il fallimento della Comico, che si sarebbe dovuta occupare della pubblicazione, costringe Wagner a tenere l’opera già terminata nel cassetto finché la stessa DC Comics si offrì di pubblicarla.
La trama è incentrata su un complesso piano ordito da Hunter Rose, che decide di lasciare la sua “comfort zone” newyorkese e di recarsi a Gotham City per sfidare l’unico uomo che, secondo lui, può dargli filo da torcere: Batman. Nella storia i due personaggi condividono lo stesso universo, e si tratta di una sintesi narrativa particolarmente azzeccata perché, in fondo, Grendel non è altro che un riflesso distorto dello stesso Batman. Un uomo segnato da un evento traumatico che ha deciso di affinare i suoi talenti non per combattere il male, ma per votarsi ad esso.
Il piano di Rose gira intorno ad un’audace rapina al Museo di Gotham di un prezioso reperto archeologico, che viene costruito per tutto lo svolgimento della storia. Una sapiente costruzione narrativa che rende necessario l’utilizzo di un vasto numero di comprimari che finiscono per sottrarre la scena ai due protagonisti. In particolare, due personaggi femminili coinvolti da Rose come pedine del suo complesso piano, Rachel King e Hillary Perrington, diventano a tutti gli effetti le vere protagoniste della vicenda, alternandosi come voci narranti a Batman che a Grendel. Il pensiero corre alla marcata dimensione letteraria che caratterizzava la Vertigo delle origini, ai primi albi in terra americana di Neil Gaiman & Co. che la presenza di didascalie ricche di testo trasformava in vere e proprie novelle illustrate . Ma come si diceva poc’anzi, l’influenza maggiore è quella di Frank Miller, dei suoi monologhi e delle sue atmosfere noir. L’opera milleriana che Wagner tiene in maggiore considerazione è sicuramente Batman: Year One, anche per l’evidente richiamo stilistico a David Mazzucchelli, co-autore di quel capolavoro di cui Wagner mutua il tratto essenziale ed elegante, chiaramente ispirato ad Alex Toth. Dal punto della composizione delle tavole, Wagner gioca con la loro sistemazione delle vignette come nella serie principale di Grendel, incastonando le didascalie tra vignette ora più grandi, ora più piccole, prive di quel gusto raffinato ispirato all’art déco che contraddistingueva la serie madre ma che comunque sopravvive nella rappresentazione di Gotham, tipica di un noir urbano d’altri tempi.

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L’autorialità della primi mini segna il passo nel sequel del 1996, che occupa il secondo slot del volume. Stavolta Batman affronta il cyborg Grendel-Prime, il Grendel del futuro, arrivato nella Gotham del presente attirato dalla presenza delle ossa del defunto Hunter Rose nella città del Cavaliere Oscuro. Spetterà a quest’ultimo affrontare l’erede del Diavolo ed evitare che il suo piano per ritornare nella sua epoca metta a repentaglio la vita dei cittadini di Gotham City.
Tra questa storia (sempre suddivisa in due albi one-shot, Le ossa del Diavolo e La danza del Diavolo) e l’avventura precedente, uscita solo tre anni prima, passano tutti i grandi cambiamenti avvenuti nell’editoria a fumetti statunitense dopo il debutto della Image Comics. Il successo degli eroi “dopati” della "Big I" influenza l’intero settore, generando una moda e un gusto per uno stile muscolare ed esagerato, che segnerà quegli anni e che ritroviamo anche in questo secondo incontro tra Batman e Grendel. Qui lo stile di Wagner assorbe le influenze artistiche del momento e, mettendo da parte la raffinata composizione delle tavole che caratterizzava il primo incontro tra i due personaggi, l’artista si scatena con spettacolari splash-page contraddistinte da muscolarità e colori digitali lividi che sembrano uscite da un albo Image del periodo.

Due lavori completamente agli antipodi, uno più autoriale e uno decisamente più commerciale, dal cui confronto emergono interessanti considerazioni su un periodo significativo della storia del fumetto americano che rende questo volume meritevole di considerazione.

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