Umbrella academy - Hotel Oblivion, recensione: il ritorno dell'acclamata serie di Gerard Way e Gabriel Bá
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Bao Publishing ha recentemente fatto arrivare in fumetteria l’edizione italiana di Hotel Oblivion, terzo capitolo di Umbrella Academy, la pluripremiata serie di Gerard Way e Gabriel Bá, la cui realizzazione era stata annunciata circa dieci anni fa, ma che, a causa di altri impegni presi nel frattempo dai due autori, ha cominciato a uscire negli USA (sotto forma di miniserie, come i due capitoli precedenti) solo a ottobre 2018. A dir la verità, tra Way e Bá, il più impegnato è stato probabilmente il primo che, oltre a proseguire la sua carriera canora (prima come frontman dei My Chemical Romance e poi come solista), ha, nel frattempo, scritto un’altra serie per la Dark Horse, The True Lives of the Fabulous Killjoys (pubblicata in Italia da Panini Comics nel 2014 come I favolosi Killjoys) e, soprattutto, ha contribuito a sviluppare la linea Young Animal per la DC Comics, per la quale si è anche direttamente occupato dei testi della nuova collana dedicata alla Doom Patrol e, in coppia con Jonathan Rivera, del revival di Cave Carson, un oscuro personaggio degli anni Sessanta, di cui pochi ricordavano l’esistenza.
Sembrava, insomma, che Way avesse quasi perso interesse a proseguire le avventure di quell’anomalo gruppo di supereroi (un’impressione praticamente confermata da lui stesso attraverso un tweet, nel 2013, dove dichiarava di voler abbandonare a tempo indeterminato i fumetti per dedicarsi di più alla musica), con il quale, nel 2007, all’uscita di Apocalypse Suite, il primo arco narrativo della serie, aveva sorpreso un po’ tutti per la maturità e l’intelligenza della sua scrittura (Way era praticamente un esordiente, visto che prima di Umbrella Academy, aveva scritto solo i testi di On Raven’s Wings, dimenticabile opera giovanile di appena due numeri, uscita per la minuscola Boneyard Press), chiaramente ispirata allo stile di Grant Morrison (un’influenza mai smentita dall’autore americano che, in qualche modo, deve avere anche indirizzato il suo interesse verso la Doom Patrol, uno dei primi successi in terra americana dello sceneggiatore scozzese), ma con diverse peculiarità da attribuire al solo Way. Prima di analizzare in maniera dettagliata questo aspetto, però, occorre accennare alla trama di questi nuovi episodi. Un’impresa tutt’altro che facile, visto il continuo intrecciarsi dei tanti fili narrativi imbastiti dal cantante/scrittore, che solo nel finale sembrano arrivare a una soluzione. Oltretutto, in questa terza avventura di Numero 5 e soci vengono introdotti parecchi nuovi personaggi, spesso appena abbozzati, con il risultato di rendere ancora meno comprensibile il susseguirsi degli eventi. Possiamo dire, tuttavia, che la storia ruota attorno all’hotel del titolo, che, di fatto, è una sorta di prigione extra-dimensionale, dove Sir Reginald Hargreeves ha confinato i nemici sconfitti dai suoi figli adottivi. Questi, dopo gli eventi raccontati in Dallas, il secondo capitolo della serie, sono tutto fuorché una famiglia unita, ma, senza volerlo, alla fine si troveranno di nuovo assieme a fronteggiare i pericolosi ospiti dell’hotel-prigione, tornati, nel frattempo, sulla Terra. Non solo, a differenza delle prime due miniserie, la vicenda narrata non si chiude con l’ultimo episodio, ma viene interrotta nelle pagine finali da un inaspettato colpo di scena. Hotel Oblivion, quindi, in realtà è da considerare solo la prima parte di una storia che, presumiamo, continuerà nella quarta miniserie, già annunciata per il 2020 (una scadenza su cui non scommetteremmo, visti i precedenti).
Con questa nuova opera, Way conferma, ancora una volta, di essere un’autentica fucina di idee (oltre che un abilissimo omogeneizzatore di generi e un brillante dialoghista), ma a dispetto delle sue dichiarazioni sul volersi dedicare più alla musica che ai fumetti, che abbiamo riportato in precedenza (già smentite dai suoi lavori per la DC), negli anni intercorsi tra l’uscita di Dallas e quella di Hotel Oblivion, deve aver immaginato così tanti sviluppi narrativi per la serie, che arrivato il momento di metterli su carta, pare avere avuto serie difficoltà a limitarsi a quelli davvero meritevoli di essere raccontati. O meglio: dire che qualche sotto-trama poteva essere scartata, potrebbe non rendere giustizia alla grande inventiva di Way. Egli avrebbe dovuto, semplicemente, accantonarle momentaneamente, per, poi, mostrarle con il giusto spazio nelle miniserie a venire (che non mancheranno, visto il successo di critica e di pubblico raccolto dalla trasposizione televisiva prodotta da Netflix). Già dover dividere la storia in due parti (sempre che siano solo due), nonostante l’aggiunta di un episodio in più rispetto ai capitoli precedenti, deve essergli costato parecchio, ma il vero problema è, come detto, che la trama soffre per lunghi tratti di una complessità eccessiva, figlia proprio di una prevedibile voglia dell’autore di volere in qualche modo ripagare gli appassionati per la lunga attesa. In poche parole, questa volta Way sembra peccare di un difetto che, in alcuni casi, viene attribuito anche alle sceneggiature del suo mentore scozzese, il quale, di tanto in tanto, si lascia andare a momenti di scarsa coerenza narrativa, per privilegiare una particolare trovata a effetto. Crediamo, però, che per l’autore americano, quello ottenuto con Hotel Oblivion sia più il risultato della sua esuberanza creativa, che un problema di autoreferenzialità come per Morrison.
Per quanto riguarda i disegni, anche in questi nuovi episodi Gabriel Bá dimostra di essere la controparte ideale per dare forma a ogni sorta di stravaganza concepita dalla mente di Way. Rispetto a dieci anni fa, l’artista brasiliano sembra mostrare più attenzione alla cura dei dettagli, una caratteristica di cui beneficiano gli sfondi delle sue tavole, che guadagnano notevolmente in profondità e dinamicità. Pare essersi accentuata anche la sua tendenza al grottesco, che, unita alla caricaturalità con cui vengono ritratti alcuni personaggi, rende ancora più forte l’ironia di fondo dei testi di Way. Inoltre, l’utilizzo, da parte di quest’ultimo, di soluzioni al limite del surreale, viene ulteriormente rafforzato da sequenze vagamente psichedeliche (che permettono al lettore di apprezzare anche l’ottimo lavoro ai colori di Nick Filardi) che, se da un lato non aiutano ad alleggerire la complessità della trama, accrescono, però, di parecchio la componente visionaria di questo terzo capitolo.
Da citare, infine, la divertente galleria di bizzarri criminali (tanto curiosi quanto improbabili) immaginata dai due autori, allo stesso tempo un omaggio e una parodia dei più noti villain che imperversano sulle pagine delle collane supereroistiche tradizionali.
Un suggerimento prima di chiudere: cercate di recuperare i primi due capitoli, prima di immergervi nella lettura di Hotel Oblivion, altrimenti la vostra capacità di comprensione verrà messa ancora di più a dura prova. E, soprattutto, non pensate che avere visto la bella serie trasmessa da Netflix possa aiutarvi in qualche modo a fare la conoscenza dei personaggi. Lo show televisivo, infatti, deve essere inteso, semplicemente, come un libero adattamento del fumetto, non come una sua trasposizione fedele. D’altra parte, le suggestioni dell’opera di Way e Bá sarebbero state davvero difficili da trasferire sul piccolo schermo, senza perdere gran parte di quei tratti distintivi, che hanno reso Umbrella Academy, quell’affascinante risultato editoriale che continua a entusiasmare così tanti lettori, su entrambe le sponde dell’Oceano Atlantico.