Ant-Man & The Wasp: Persi e ritrovati, recensione: a spasso nel Microverso
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Ogni Marvel fan che si rispetti sa bene che Stan Lee e Jack Kirby cominciarono presto a recuperare nelle loro storie parecchi personaggi o concetti provenienti dal passato della Casa delle Idee, quando questa si chiamava ancora Timely. Capitan America e Namor sono due dei ripescaggi più noti, ma in pochissimi sanno che anche il Microverso, reintrodotto da Lee e Kirby su Fantastic Four 16 (vi aveva trovato rifugio il Dottor Destino, dopo essere apparentemente scomparso nel nulla qualche mese prima, per effetto di un raggio miniaturizzante), è in realtà una creazione degli anni Quaranta. Per la precisione, questo universo microscopico apparve per la prima volta sulle pagine di Captain America Comics 26, albo in cui gli autori Ray Cummings e Syd Shores trasportarono il futuro vendicatore a stelle e strisce e il suo fedele alleato Bucky Barnes, fino a quel momento impegnati a difendere gli Stati Uniti dalle forze dell’Asse, nel microscopico mondo di Mita a combattere contro il malvagio despota Togaro.
Successivamente, nelle abili mani di Lee e Kirby, il Microverso divenne lo scenario di storie memorabili, soprattutto non appena i Fantastici Quattro dovettero scontrarsi con uno degli abitanti di quell’universo, il temibile Psycho-Man. Furono poi Harlan Ellison e Roy Thomas a proseguire brillantemente le vicende del Microverso, quando nel giugno del 1971, su Incredible Hulk 140, il Golia Verde, esposto a un raggio miniaturizzante (tanto per cambiare!), si ritrovò sul mondo di K’ai, dove conobbe e si innamorò della principessa Jarella. Ma, per quanto, grazie a quelle storie, il Microverso sia diventato un luogo immaginario ben noto agli appassionati, esso sarebbe rimasto praticamente sconosciuto al grande pubblico, se non fosse stato introdotto, con il nome di Regno Quantico, anche nel Marvel Cinematic Universe. È lì, infatti, che scompare la Janet van Dyne cinematografica, ed è sempre lì che rimane intrappolato Paul Rudd, nelle vesti di Scott Lang, alla fine di Ant-Man & the Wasp, suggerendo in maniera sibillina, che il Regno Quantico giocherà un ruolo importante nella rivincita degli Avengers contro Thanos, che vedremo nei cinema alla fine di aprile. Ed è proprio con l’obiettivo di sfruttare il più possibile l’interesse mediatico che un film di successo porta con sé, che la Marvel Comics ha fatto uscire nella seconda metà del 2018 una miniserie con Scott Lang e Nadia van Dyne come protagonisti, recentemente pubblicata da Panini Comics in un bel volumetto cartonato da fumetteria (impeccabile per confezione e stampa), che è ormai diventato il formato abituale della casa editrice modenese per le serie recenti di un certo rilievo.
L’intenzione della Marvel non è evidente solo dal titolo della miniserie, che ricalca alla lettera quello del secondo film dedicato all’"Uomo Formica", ma anche dal tono leggero e scanzonato dell’intera opera, una caratteristica ben presente anche nelle due pellicole dirette da Peyton Reed. Senza considerare che l’azione si svolge quasi per intero proprio nel Microverso. Inoltre, sempre per rimarcare il legame tra cinema e fumetto, è bene ricordare che il personaggio di Nadia van Dyne (conosciuta all’esordio come Nadia Pym) è stato introdotto sulle pagine degli Avengers, solo per dare una versione cartacea alla Hope van Dyne vista nei film. Non essendoci, infatti, un modo plausibile per inserire nella continuity marvelliana una figlia di Hank Pym e Janet van Dyne, Mark Waid, in quel momento alle redini della testata degli Eroi più potenti della Terra, è riuscito, attraverso un’abile operazione di ret-con, a presentare ai lettori la figlia, mai menzionata prima, che il “papà” di Ultron ha avuto (senza saperlo) dalla prima moglie Maria Trovaya. Lo stesso Waid, evidentemente desideroso di tornare a una delle sue creazioni, è anche l’autore dei testi di questa miniserie, dove la sua verve ironica (ammirata anche in altre sue opere passate, ma spesso controbilanciata da una buona dose di drammaticità: basti pensare, per esempio, alla lunga run di Daredevil di qualche anno fa) trova libero sfogo in un susseguirsi di situazioni paradossali, colpi di scena a ripetizione, battibecchi continui tra i due protagonisti e personaggi di contorno al limite del demenziale.
È chiaro che per ottenere un simile risultato, la trama non poteva che essere un semplice pretesto, tanto che possiamo tranquillamente riassumerla in poche righe: dopo aver seguito i Guardiani della Galassia sul pianeta base dei Nova Corps, Scott Lang, al fine di tornare sulla Terra in tempo per festeggiare il compleanno della figlia Cassie, chiede aiuto a Nadia van Dyne, la quale, pur controvoglia, in pochi minuti realizza un mezzo di trasporto subatomico a correlazione quantica, in grado di riportarlo indietro. Scott, però, non segue alla lettera le indicazioni di Nadia e rimane bloccato nel Microverso, costringendo la nuova Wasp a tentare di recuperarlo. L’impresa si rivela più difficile del previsto e solo dopo numerose peripezie (e diversi incontri ravvicinati con gli strani abitanti del Microverso) i due riescono a tornare a casa.
Waid trova un alleato perfetto in Javier Garrón, le cui tavole ricchissime di dettagli (ma mai confuse), si sposano magistralmente al ritmo frenetico imposto alla narrazione dallo sceneggiatore americano. Grazie anche all’ottimo lavoro del colorista Israel Silva, Garrón riesce a creare un Microverso come mai si era visto prima, più simile al Regno Quantico dei due film di Ant-Man, che all’universo in miniatura delle storie a fumetti del passato. Un ambiente perfetto per mettere in mostra un talento visionario fuori dal comune, particolarmente evidente in una sequenza di tre tavole all’inizio del quinto episodio, che definire surreali è poco. Waid asseconda più che volentieri l’irruenza espressiva del disegnatore spagnolo, capace persino di andare con l’immaginazione ben aldilà delle indicazioni generali presenti nella sua sceneggiatura. Questo lo si intuisce dalle parole di Garrón riportate negli extra alla fine del volume: vi si legge, infatti, che Waid, per aumentare l’effetto comico, aveva chiesto che gli esseri rappresentati nel Microverso non fossero degli umanoidi, come visto fino ad allora, ma degli esseri totalmente alieni, già a partire dal loro aspetto esteriore. Lo sceneggiatore americano, da buon filologo dei fumetti Marvel e DC, porta a esempio i mostri dai nomi roboanti e quasi impronunciabili delle classiche storie di fantascienza, che l’Atlas (nome che assunse la Timely negli anni Cinquanta) pubblicava su testate come Tales to Astonish, Journey into Mistery o Strange Tales, prima che queste cominciassero a ospitare le storie dei super-eroi che tutti conosciamo. Ma i buffissimi Saarg ideati da Garrón, sicuramente più in sintonia con il tono farsesco della serie (l’autore spagnolo sostiene di essersi ispirato a delle semplici patate!), sembrano più un omaggio agli stravaganti alieni ideati da Sydney Jordan sulle strisce di Jeff Hawke, che alle creature di Jack Kirby e Steve Ditko. Inoltre, l’espressione un po’ caricaturale che caratterizza i suoi personaggi, che in serie Marvel più tradizionali potrebbe essere visto come un limite, contribuisce ulteriormente a sottolineare l’ironia di fondo della trama. Sarà probabilmente per tutte queste ragioni che, di recente, a Garrón sono state affidate le matite della nuova serie di un personaggio importante come Miles Morales.
Ant-Man & Wasp è, in definitiva, una bella miniserie adatta a passare un’oretta in allegria.