Menu
Luca Tomassini

Luca Tomassini

URL del sito web:

Vecchio Occhio di Falco 1, recensione: La vendetta di Clint Barton

 MNOWI057ISBN 0

Il primo decennio degli anni 2000 è stato un periodo di grande rinnovamento in casa Marvel, fortemente voluto dalla coppia Bill Jemas/Joe Quesada (rispettivamente nuovi presidente e editor-in-chief) per dare una scossa ad una casa editrice che era rimasta impantanata nella crisi che aveva investito il settore negli anni '90. Pantano finanziario, sfociato nel fallimento, e soprattutto creativo, con una linea editoriale autoreferenziale e ripetitiva che non aveva saputo aprirsi a nuove suggestioni narrative provenienti tanto dalle realtà più coraggiose dell’editoria indipendente quanto dagli altri media. Al contrario, Jemas e Quesada lavorarono proprio in quella direzione, dando carta bianca ad autori considerati fino a quel momento “di culto”, che avrebbero portato una visione fresca ed inedita delle vecchie icone dell’editore. Fra tutti i nomi coinvolti in quel periodo, quelli che rimangono nella storia della casa editrice sono senz’altro Brian Micheal Bendis e Mark Millar. Se Bendis ha legato il suo nome alla Marvel per ben 18 anni, prima di passare alla DC nel corso dello scorso anno, l’apporto di Millar, oggi conosciuto anche presso il pubblico generalista per le versioni cinematografiche di sue creazioni come Kick-Ass, Wanted e Kingsmen, fu più breve ma altrettanto significativo.

old-man-h 1

Tanti i successi inanellati dallo scrittore scozzese in quel periodo: The Ultimates, la versione “definitiva” degli Avengers che ne ha ispirato anche la versione cinematografica, Civil War, evento spartiacque per la storia dell’editore, e Old Man Logan, una versione invecchiata e spezzata nell’anima di Wolverine che si aggira in uno scenario post-apocalittico alla Mad Max in cui i criminali sono al potere, dopo aver massacrato tutti i principali eroi. La saga conobbe un ottimo successo di critica e di pubblico, tanto da diventare un classico istantaneo ed ispirare Logan, l’ultima sortita cinematografica di Hugh Jackman nei panni del mutante artigliato.

Il personaggio di Vecchio Logan avrebbe conosciuto un revival in seguito, tanto da sostituire per qualche anno il momentaneamente defunto Wolverine nell’universo Marvel regolare, come conseguenza dell’evento Secret Wars. Il concept ideato da Millar e reso graficamente da Steve McNiven aveva ormai fatto breccia nelle preferenze dei lettori, e non ha stupito più di tanto l’annuncio, fatto lo scorso anno, dell’uscita del prequel della storia originale. Ma come è evidente già dal titolo, in Old Man Hawkwye non è l’anziano Wolverine ad essere il protagonista, ma il vecchio e ormai non vedente Clint Barton, l’ex Vendicatore noto come Occhio di Falco, che nella serie originale accompagnava Logan nel suo viaggio.

old-man-h 2

Ethan Sacks, giornalista alla prima prova importante come soggettista, firma i testi della miniserie, mentre la parte grafica è affidata al nostro Marco Checchetto, ormai un habitué in Marvel che lo ha inserito nel gruppo degli Young Guns, giovani promesse che saranno al centro dei progetti futuri dell’editore. Facciamo così ritorno nelle Terre Desolate alcuni anni prima delle vicende di Old Man Logan, dove ritroviamo un Occhio di Falco non ancora affetto da cecità. È il Clint Barton di sempre, il simpatico spaccone di tante formazioni degli Avengers, ma non è più l’arciere di una volta: la sua mira non è più infallibile a causa di un glaucoma che a breve gli farà perdere la vista. Stanco di una vita dimessa e piena di rimpianti, primo su tutti il dolore per il ricordo degli amici e compagni caduti tra cui la sua amata Natasha Romanoff, Clint decide di chiudere i conti finché ne è in grado. Si imbarca così in un viaggio on the road alla caccia dei responsabili del massacro degli eroi di tanti anni prima, armato solamente del suo arco: inutile dire che lungo la strada incontrerà molte delle sue vecchie conoscenze, alcune amiche, altre decise a fermarlo a tutti i costi. Tra questi Bullseye, lo spietato sicario avversario di Daredevil, riciclatosi come “tutore” di una legge corrotta dalla presidenza del Teschio Rosso.

old-man-h 3

Se era lecito provare in partenza un pregiudizio nei confronti di Vecchio Occhio di Falco, considerandolo come semplice sfruttamento di un concept di successo, quel pregiudizio cade completamente dopo la lettura: nonostante la poca esperienza nel settore, Sacks imbastisce una trama scoppiettante e avvincente, staccandosi dal predecessore Millar e non disdegnando di giocare con la vasta continuity dell’universo Marvel. Un western distopico che stupisce e diverte, straordinariamente messo in scena da un Marco Checchetto alle prese con una prova decisiva della sua carriera, forse quella che segna la sua definitiva maturazione. Il disegnatore veneto si scatena letteralmente, tra splash-page di straordinario impatto visivo e vignette widescreen di profondo respiro cinematografico, senza contare gli azzeccati restyling di personaggi classici come Venom e Bullseye, quest’ultimo modellato per sua stessa ammissione sulle fattezze di un’ icona dello spaghetti western come Lee Van Cleef. Le spettacolari tavole di Checchetto trovano un abbellimento ideale nei colori di Andres Mossa, perfettamente calibrati per esaltare l’ambiente sporco e arido delle Terre Desolate.

Panini Comics presenta Vecchio Occhio di Falco in un cartonato dall’ormai consueto formato soft-touch[, con  preziosi extra rappresentati da un’intervista a Checchetto e dai suoi studi sui personaggi.

I grandi maestri. John Byrne, recensione: il tributo al re dei comics degli anni '80

71x-bdUFfGL

Nel pensiero comune gli anni ’80 sono un decennio associato al disimpegno e al divertimento. Nominandoli si pensa subito ad emittenti televisive private, telefilm americani, film per ragazzi, canzonette di successo usa e getta. Neanche un regista impegnato come Luca Guadagnino, dovendo ambientare il suo splendido Chiamami col tuo nome in quel periodo, ha resistito alla tentazione di inserire nella colonna sonora un inno tamarro di quegli anni, Paris Latino dei Bandolero. Completamente diverso è il rapporto tra i lettori di fumetti, soprattutto a stelle e strisce, e quella decade tanto bistrattata. Parlare di anni ’80 per un consumatore di comics significa gonfiare il petto di orgoglio e snocciolare al proprio interlocutore una serie infinita di traguardi conseguiti, sia per la maturità raggiunta dal mezzo fumetto, sia per la considerazione guadagnata presso la pubblica opinione. Mentre il resto del mondo balla al ritmo di motivetti dance che verranno presto dimenticati, nel mondo del fumetto angloamericano si fa dannatamente sul serio.

Sono gli anni in cui un giovane inglese di nome Alan Moore fa a pezzi la figura del supereroe, inaugurando un non-movimento che verrà ricordato col nome di revisionismo. Gli anni in cui un ragazzo del Vermont di nome Frank Miller porta il linguaggio della scuola dei duri alla Mickey Spillane nel fumetto, suscitando l’attenzione di una bibbia della cultura pop come Rolling Stone all’indomani del successo di The Dark Knight Returns. Ma sono anche gli anni in cui il fumetto americano attraversa una riscossa estetica, rappresentata dalla definitiva affermazione di giovani illustratori che avevano debuttato durante il decennio precedente. Si va dalla minuziosa matita di George Pérez, capace di cesellare un’infinita schiera di personaggi in un’unica tavola, alla forza esplosiva del tratto di Walter Simonson, passando per il talento avanguardistico di Bill Sienkiewicz. Eppure, senza nulla togliere a questi grandi artisti, se c’è stato un disegnatore per eccellenza in quegli anni capace di suscitare ammirazione per la bellezza e l’eleganza dei suoi disegni, per i suoi eroi e le sue eroine dotate di un’avvenenza impossibile, quasi neoclassica, quel disegnatore risponde al nome di John Byrne.

Parlare dell’importanza di John Byrne nella storia del fumetto americano è quasi ridondante se si ha familiarità col genere. Il suo stile, inarrivabile sintesi tra la potenza di John Buscema e la raffinatezza di Neal Adams, colpisce subito per modernità i lettori, che lo eleggono loro beniamino. Tutto quello che Byrne tocca diventa oro e viene baciato dal successo: d’altronde è impossibile non soccombere alla plasticità e alla presenza scenica delle sue figure, nonché al taglio cinematografico e a una costruzione della tavola avanti anni luce rispetto ai molti mestieranti e faticatori del tavolo da disegno al lavoro in Marvel in quel periodo. La sua stella attraversa il comicdom statunitense come una supernova, brillando con maggiore intensità tra la fine degli anni ’70, in cui inaugura la celeberrima collaborazione su Uncanny X-Men con Chris Claremont, regalando ai lettori gemme come La Saga di Fenice Nera e Giorni di un futuro passato, e gli anni ’80, il periodo della definitiva affermazione come autore completo con un ciclo quinquennale di Fantastic Four che rivaleggia con quello storico di Stan Lee e Jack Kirby, prima del litigio con Jim Shooter che lo porta ad abbandonare la Marvel e a trasferire armi e bagagli alla DC Comics.

Presso la Distinta Concorrenza il fumettista inanella una nuova serie di successi, tra cui spiccano ovviamente il rilancio di Superman, di cui ricrea la mitologia aggiornandola ai tempi moderni con la miniserie Man of Steel, e Legends, altra mini propedeutica alla formazione della prima Justice League post – Crisis. Ma Byrne negli anni a seguire avrebbe fornito altri contributi alla mitologia del DC Universe, non altrettanto celebri e fortunati come le opere citate ma meritevoli di una riscoperta. A questo proposito ci viene in soccorso l’ultimo volume della collana I Grandi Maestri, edita da RW Lion, dedicata proprio al grande artista anglo-canadese.

In questa ricca antologia troviamo raccolti excursus minori di “Big John”, a zonzo negli angoli più disparati del cosmo DC, che fotografano momenti diversi nella carriera dell’autore. Il volume si apre con un interessante “annual” dei New Teen Titans, che nei primi anni ’80 era la serie di punta della DC Comics, l’unica capace di rivaleggiare in termini di popolarità con gli X-Men della Marvel. Per quanto lo script imbastito dallo sceneggiatore Marv Wolfman non sia particolarmente degno di nota, la storia fornisce a Byrne l’occasione per disegnare alcuni beniamini del pubblico come Nightwing, Starfire, Wonder Girl e Cyborg, e per vedere le sue matite chinate da una leggenda DC come José Luis García-López.

c186a4aa4a0492a04c5cd2b9fc5dd94a. SX1280 QL80 TTD

Dopo un paio di storie brevi per Outsiders, Green Lantern Annual e lo special natalizio Christmas with the Super – Heroes, per il quale realizza una bella storia muta con protagonista l’aviatore Enemy Ace, inchiostrata da un giovane Andy Kubert, il primo squillo del volume è rappresentata dal notevole Secret Origins Annual 1 del 1987 in cui, su testi di Paul Kupperberg, Byrne riportò in scena la mitica Doom Patrol, bizzarro gruppo di reietti creato da Bob Haney e Arnold Drake nel 1963. Simili nel concept agli X-Men della Marvel, con i quali condividono l’anno di debutto, i membri della Doom Patrol sono emarginati dalla società a causa del loro aspetto, frutto di incidenti che gli hanno comunque donato poteri incredibili. Riuniti e guidati dal Professor Niles Caulder, anch’egli vittima di un incidente che lo ha costretto su una sedia a rotelle, Cliff Steele (Robotman), Rita Farr (Elasti-Girl) e Larry Trainor (Negative Man) affrontano avversari di volta in volta più bizzarri. In questo numero di Secret Origins, un malinconico e solitario Cliff Steele ripercorre col pensiero la storia della Doom Patrol e gli eventi che hanno portato allo scioglimento del gruppo. Non sa che è osservato da una sua ex-collega e che una reunion della squadra è alle porte. Storia piacevolissima, di stampo classico, disegnata da un Byrne in formissima che cura anche le chine. L’albo darà il via ad una nuova serie della Pattuglia, che dopo pochi mesi ne ospiterà la celebre versione surrealista di Grant Morrison passata alla storia del fumetto. 

tumblr nuxkhxIXJ11s2u4wdo1 1280

In un volume pieno di chicche, una in particolari spicca più delle altre. Si tratta di Batman: Ego-Trip, graphic novel in bianco e nero originariamente pensata per la pubblicazione in 3D, uscita nel 1990 nel pieno della bat-mania causata dal successo a livello planetario del lungometraggio di Tim Burton dell’anno precedente. Si tratta di una storia di classico stampo poliziesco. Il Cavaliere Oscuro indaga sull’omicidio di un milionario, di cui sono sospettati quattro dei suoi principali antagonisti: Joker, il Pinguino, l’Enigmista e Due-Facce. Solo uno è il responsabile, mentre il coinvolgimento degli altri è uno specchietto per le allodole. Batman ovviamente riuscirà a sbrogliare la matassa.
Ego-Trip si segnala per molteplici motivi d’interesse: innanzitutto è l’unica prova di Byrne come scrittore/artista sul Batman della continuity principale (l’autore aveva solamente scritto un breve ciclo di Batman per i disegni di Jim Aparo, mentre sia lo strepitoso team-up Batman/Captain America che la saga di Superman/Batman: Generations sono ufficialmente inseriti nella collana Elseworlds), ed è una prova notevole soprattutto dal punto di vista visivo. La storia viene proposta in uno splendido bianco e nero, ma essendo stata concepita per la pubblicazione in 3D, abbonda di splash-page e tavole mozzafiato in cui Byrne scatena tutta la potenza del suo tratto. Come in altri suoi lavori dello stesso periodo, il disegnatore usa la tecnica del duo-shade: si trattava di una procedura grazie alla quale l’artista disegnava e inchiostrava direttamente su cartoncino Bristol, trattato poi con un agente chimico che rilasciava sul disegno linee e punti d’ombra, a formare un piacevole effetto di chiaroscuro. Byrne fece un grande uso della duo-shade in questa fase della sua carriera, salvo poi abbandonarla con l’avvento della colorazione digitale. La resa finale mantiene comunque un certo fascino ancora oggi.

lv-byrne

Il volume propone altri lavori interessanti dell’artista, a partire da Green Lantern: Ganthet’s Tale, one-shot del 1992 realizzato insieme allo scrittore di fantascienza Larry Niven. La storia introduce un personaggio che diventerà fondamentale nel canone di Lanterna Verde, il guardiano Ganthet, che chiede l’aiuto di Hal Jordan per debellare la minaccia di un guardiano rinnegato. Basata su un cliché tipico dell’intrattenimento di fantascienza come il viaggio nel tempo, Ganthet’s Tale è l’ultimo opera presente nel volume ad appartenere al “periodo d’oro” della carriera di Byrne. Siamo nel 1992, l’anno del debutto della Image Comics di Todd McFarlane, Jim Lee, Marc Silvestri, Erik Larsen e Rob Liefeld. In un mercato ormai dominato dai nerboruti e violenti antieroi del nuovo editore e dallo stile muscolare ed ipertrofico di questo nuovo e aggressivo consorzio di artisti, che pure conta Byrne tra i suoi numi tutelari, l’acclamato disegnatore di X-Men, Fantastici 4 e Superman sembra perdere per la prima volta il contatto con un pubblico che fino a quel momento lo ha seguito in ogni sua avventura professionale.

RCO038

Nonostante sia stato un innovatore del fumetto mainstream, sia nello stile che nei contenuti, Byrne viene improvvisamente giudicato come un autore superato, nel contesto di un mercato drogato da mode che termineranno invece da li a breve. Ecco quindi i lavori contenute nell’ultima parte del volume, in cui non a caso l’autore produce delle storie volutamente demodé, recuperando personaggi e atmosfere vintage come il Flash degli anni ’40 o Hawkman, in una storia-tributo al mitico editor DC degli anni ’60 Julius Schwartz. L’artista che era stato un profondo innovatore del fumetto anni ’80 (basti pensare alla dignità conferita per la prima volta ai personaggi femminili, come la Susan Storm di Fantastic Four), seppure al motto di Back to the Basics, appare ora come un custode della classicità. Riletto col senno di poi, il suo è l’atteggiamento di un autore che non si sente più a suo agio in un settore che lo ha visto protagonista indiscusso fino a poco tempo prima, e le sue scelte artistiche di allora appaiono come il manifesto programmatico di un orgoglioso diniego a qualsiasi compromesso con le mode imperanti, anche se il risultato sarà la nascita di opere controverse (Spider-Man: Chapter One, X-Men: The Hidden Years e tutto l’ultimo periodo in DC).

Rimandando l’analisi della figura e delle opere di John Byrne a futuri approfondimenti, ci sentiamo di consigliare l’acquisto del volume de I Grandi Maestri a lui dedicato per conoscere alcuni passaggi meno noti, ma comunque significativi, della carriera di un autore fondamentale per la storia del fumetto americano moderno. E nel farlo, confidiamo nella buona volontà di RW Lion nel pubblicare finalmente nel nostro paese gli inediti di Byrne targati DC, prima tra tutti la sua lunga run di Wonder Woman: la prossima uscita del secondo film dedicato all’Amazzone ci sembra l’occasione perfetta.

Noi ci congediamo con le parole del collega e grande amico di John Byrne, Frank Miller, che nell’introduzione alla raccolta in volume dell’opus magnum byrniano, Next Men, scrisse: “Quando Hollywood e certi avvoltoi e parassiti decideranno che non c’è più sangue da succhiare, noi (artisti) rinasceremo. Il fumetto ha visto tempi anche peggiori di questo, e di fronte ha solo tempi migliori. Tempi migliori e fumetti migliori, realizzati da artisti veri, come John. Uno che rifugge le mode e va incontro ai classici.”

Seven to Eternity 2, recensione: Le scelte definiscono l'uomo

 MSEET002ISBN 0

All’inizio degli anni 2010, Rick Remender è uno degli sceneggiatori più quotati in casa Marvel. Con un passato alle spalle come inchiostratore e autore indie, Remender conquista pubblico e critica con un ciclo al fulmicotone di Uncanny X-Force, ultima grande serie mutante insieme al Wolverine & the X-Men di Jason Aaron, prima del ridimensionamento del “brand X” autoindotto da una Marvel che aspettava di rientrare in possesso dei diritti di sfruttamento cinematografico dei personaggi, circostanza verificatasi, come è noto, solo di recente. Subito dopo aggiunge al suo ricco curriculum anche una fortunata sequenza di Secret Avengers in cui, tra l’altro, crea i presupposti per la trasformazione di Carol Danvers, Ms. Marvel, nel nuovo Capitan Marvel che vedremo presto al cinema, e lancia Uncanny Avengers, testata campione di vendite che vede riuniti in un solo gruppo alcuni tra i membri più amati di Avengers e X-Men.

A questo punto la consacrazione di Remender come “architetto” Marvel al fianco di scrittori come Aaron, Bendis e Hickman è cosa ormai fatta. Nel 2014 esce Axis, evento che coinvolge i principali eroi Marvel ma il successo non è quello sperato. Inoltre, la sua proposta di rilancio per Uncanny X-Men non viene accettata dall’editore. Qualcosa nel rapporto tra scrittore e casa editrice si incrina. Remender lascia la Casa delle Idee e trova un porto sicuro presso la Image Comics, dove in pochi mesi lancia numerosi titoli di sua ideazione, tutti baciati da un grande successo di pubblico e critica. Siamo davanti ad un autore eclettico, capace di misurarsi su diversi terreni: si va dalla fantascienza di Black Science alla variante post-apocalittica di Low, fino all’azione pulp di Deadly Class, già tradotta in serie tv e al fantasy di Seven to Eternity. Di quest’ultima serie è appena uscito per Panini Comics il secondo volume, che fa immergere nuovamente il lettore nel fantastico mondo di Zhal: un pianeta prospero e incontaminato, protetto dall’ordine dei Cavalieri di Mosak, potenti guerrieri capaci di connettersi al piano spirituale. Un dono di cui il più potente tra loro, Garlis Sulm, abuserà per ottenere il potere assoluto.

ster2-1

Dopo essersi autonominato “Dio dei Sussurri”, Garlis approfitterà della sua abilità di Mosak per lusingare la popolazione di Zhal, promettendogli ricompense e benefici. Il tiranno riesce così a corrompere l’anima della maggior parte degli abitanti e il nome di chi non vuole sottomettersi viene marchiato a fuoco con menzogne ed infamia. Nome come quello di Zebediah Osidis, cavaliere Mosak che non aveva mai voluto piegarsi a nessun compromesso, condannando così la sua famiglia alla disgrazia e ad una vita di stenti che era costata la vita al figlio Peter. Alla morte di Zeb la responsabilità della casata degli Osidis era ricaduta sul primogenito Adam, che vive dilaniato dal dubbio: cedere alle lusinghe del Dio dei Sussurri, assicurandosi la salvezza della sua famiglia, o proseguire sulla strada improntata allo stoicismo inaugurata dal padre? Nel primo volume avevamo visto Adam unirsi ai restanti Cavalieri Mosak, con i quali era riuscito a sconfiggere Garlis Sulm in battaglia. L’eterogeneo gruppo decide quindi di intraprendere un lungo viaggio per portare il prigioniero al cospetto del mago Torgga, l’unico che possa scollegare la mente di Garlis dal resto degli abitanti di Zhal, liberando così il pianeta dall’influenza del malvagio. Ma con grande sorpresa dei Mosak e dei lettori, Sulm rivela che il suo piano era proprio quello di farsi catturare. Cosa nasconde il Dio dei Sussurri?

ster2-2

Nel secondo volume il viaggio della Compagnia viene interrotto da un evento imprevisto, che dividerà il gruppo in due tronconi: da una parte Adam e Garlis, che procederanno da soli verso la loro meta, dall’altra i cavalieri Mosak che cercheranno di raggiungere il villaggio di Jevalia, una loro amica ferita, per farla curare.
Come in ogni fantasy che si rispetti, anche in Seven to Eternity riecheggiano tematiche ancestrali come la lotta tra bene e male e la perdita dell’innocenza che si annida in ogni compromesso, facendone un moderno racconto morale. In questo secondo tomo, però, la tensione narrativa risulta compromessa dalla lunga digressione nella terra dei Gliff che occupa circa la metà del volume, spezzando di fatto il racconto che non offre molte sorprese, almeno fino all’inaspettata scelta fatta da Adam nell’ultimo capitolo che costituirà, molto probabilmente, uno dei motivi d’interesse principali della prossima uscita.

ster2-3

Tornano anche le straordinarie illustrazioni di Jerome Opeña, il penciler filippino fidato collaboratore di Remender, che propone una sofisticata sintesi tra la spettacolarità del fumetto statunitense e l’autorialità di quello europeo (Moebius e Sergio Toppi le influenze più evidenti). Compendio indispensabile alle splendide tavole di Opeña sono i colori sgargianti della tavolozza di Matt Hollingsworth, che traducono con brillanti scelte cromatiche le magie dei Mosak. L’unità stilistica del volume viene però interrotta dalla presenza come disegnatore ospite in due capitoli di James Harren, artista più a suo agio con le atmosfere grottesche della sua serie personale Rumble, ma che qui non può fare a meno di perdere il confronto con l’inarrivabile Opeña.

Benché costituisca una piacevole lettura questo secondo volume di Seven to Eternity, pubblicato da Panini con la formula ormai vincente del cartonato soft-touch, si propone come un capitolo interlocutorio della saga concepita da Rick Remender & Jerome Opeña, rinviando gli sviluppi narrativi più interessanti alle prossime uscite.

Il sangue dei codardi 1 e 2: recensione: quando la Storia fa rima con "Polar" d'autore

1528905606COPHISTORICA69 L

La scoperta del Nuovo Mondo sul finire del XV secolo e la conseguente nascita di nuove rotte commerciali nei due secoli successivi fornisce alla storia dell’umanità l’impulso decisivo per spingersi definitivamente fuori dai secoli bui del Medioevo e lanciarsi verso l’orizzonte della modernità. Imponenti bastimenti iniziarono a fare la spola tra Vecchio e Nuovo Continente, carichi di merci. Le monarchie europee cominciarono ben presto a rivolgere il loro interesse verso le Indie, soprattutto per le spezie di gran pregio di cui queste terre erano ricche. Ad una iniziale egemonia di Portogallo e Spagna nella regione seguì un dominio di Inghilterra e soprattutto Olanda. Qui il commercio di beni aveva assunto una tale importanza nell’economia della nazione che nel 1602 era stata fondata la VOC, abbreviazione di Compagnia delle Indie Orientali, società per azioni indipendente dalla Corona a cui era stato concesso il monopolio dei traffici olandesi nella regione asiatica, nonché la facoltà di stipulare trattati, edificare fortilizi nelle colonie e addirittura dichiarare guerra. Un colosso commerciale più potente di una moderna multinazionale, la cui esistenza sanciva di fatto, già allora, il primato dell’economia nella vita politica dell’epoca.

sangue-codardi-1

È in questo contesto storico vivace e tumultuoso che è ambientato Il Sangue dei Codardi, l’opera con cui il belga Jean-Yves Delitte iscrive definitivamente il suo nome nell’albo dei grandi del fumetto francofono, e non solo. Personalità eclettica, quella di Delitte: architetto, pittore ufficiale della Marina Belga e membro titolare dell’Accademia Francese delle Arti e delle Scienze del Mare, nonché grande appassionato di navigazione, elemento che si può facilmente dedurre dalla maestria con cui raffigura minuziosamente, nelle sue opere, imponenti imbarcazioni e bastimenti. La collana Historica di Mondadori Comics, che negli ultimi anni ha proposto materiale di qualità eccellente, ha portato sugli scaffali delle librerie italiane i primi due tomi dell’opus magnum del maestro della bd francofona: Le Indie Orientali e Alla Corte di Inghilterra.

Nel primo volume facciamo la conoscenza del protagonista, il maggiore Arthur J. Joyce Byron Pike della polizia del Re, ora di stanza a York dopo anni di onorato servizio a Londra. L’uomo di legge è alle prese col macabro ritrovamento di alcuni cadaveri, orrendamente smembrati, che turba la vita tranquilla degli abitanti dello Yorkshire. Il modus operandi dell’assassino farebbe pensare ad un ritorno de “Il Macellaio”, serial killer che aveva seminato morte a Londra negli anni in cui Pike era in servizio nella capitale. Intanto il figlio del maggiore, William, ritrova nella soffitta della loro abitazione il diario di James Eddington, lontano cugino della moglie di Pike e ufficiale del Re, che vent’anni prima era scomparso misteriosamente nell’isola di Giava. Eddington si era recato su ordine del sovrano a Batavia, roccaforte olandese sull’isola, per indagare sulla sparizione di Sir Francis MacLaury, parente del Re, e sul massacro della sua spedizione da parte degli indigeni. Sir James si troverà ad affrontare una realtà ben più complessa, che chiama in causa anche la potente Compagnia delle Indie, e che cercherà di indagare prima di scomparire anche lui misteriosamente. I due piani temporali e le due inchieste si intrecciano, e quando anche Pike si imbatterà negli interessi della VOC, la soluzione al mistero si avvicinerà sempre di più.

sangue-codardi-2

Nel secondo volume, Il Maggiore Pike viene richiamato a Londra da re Carlo II, da poco asceso al trono dopo la parentesi del governo di Oliver Cromwell. Ufficialmente il compito dell’ispettore è quello di indagare sugli omicidi commessi da un misterioso assassino di prostitute: in realtà dovrà vigilare affinché non venga portato a termine un colpo di stato che prevede l’assassinio del Re e la sua sostituzione. Il tutto ordito da uomini di corte insoddisfatti dalla politica estera di Carlo, che ha lasciato campo libero nelle Indie Orientali ai commerci degli olandesi e della VOC, che ritorna così ad incrociare i passi di Pike.

Capolavoro della bd contemporanea, Il Sangue dei Codardi consacra definitivamente il talento di Delitte, che realizza uno stupefacente connubio tra romanzo storico e poliziesco o polar, come viene chiamato questo genere classico in terra d’oltralpe. L’autore ci suggerisce che lo storico e l’investigatore fanno tutto sommato lo stesso lavoro, ovvero decifrano la realtà nascosta dietro i dati che l’apparenza gli fornisce. Si sfogliano, anzi si divorano le pagine dell’opera ammirando la maestria con cui Delitte sovrappone piani temporali senza pregiudicare la fluidità della narrazione, e con la quale ibrida resoconto storico e thriller: si pensi al magistrale colpo di scena che chiude il primo volume, capace di lasciare di stucco il lettore. Non meno importante, ai fini della riuscita dell’opera, è la sontuosa messa in scena artistica, evidente soprattutto nella magnifiche splash - pages in cui l’autore illustra paesaggi, fortificazioni e soprattutto, porti ed imponenti imbarcazioni. Un’evidente predilezione per il mare e per tutto quello che lo riguarda, quella dell’autore belga che lo avvicina, seppur con diversa sensibilità ed esiti realizzativi, ad un gigante del fumetto come Hugo Pratt.

sangue-codardi-3

Mondadori Comics presenta i primi 4 tomi de Il Sangue dei Codardi in due pregevoli cartonati, standard della collana Historica, corredati da approfondimenti sul periodo storico in cui si svolge l’opera e dalle abituali e preziose introduzioni di Sergio Brancato.

Sottoscrivi questo feed RSS