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Luca Tomassini

Luca Tomassini

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Guerra bianca

La Guerra Bianca è un episodio poco conosciuto dei tragici eventi accaduti sul versante italiano della Prima Guerra Mondiale, la catastrofe umanitaria passata alla storia come Grande Guerra che è costata la vita ad un’intera generazione di giovani. Un conflitto crudo e spietato tra Italia e Impero Austro-Ungarico si consumò sulle innevate montagne del Trentino, nei territori di confine reclamati con forza dal governo italiano. La strategia bellica utilizzata assomigliava a tutti gli effetti alla guerra di trincea, con un’unica, crudele variante fornita dall’opportunità di trovarsi sulle ghiacciate cime del Trentino e delle Dolomiti: il ricorso a valanghe di neve deliberatamente provocate da esplosivi allo scopo di seppellire gli eserciti nemici. Si stima che sul fronte italiano abbiano perso la vita tra i 60.000 e i 100.000 soldati travolti da valanghe provocate dal nemico, che riuscì così a sfruttare in modo implacabile l’innata crudeltà della natura. È merito di Robbie Morrison e Charlie Adlard, autori di questo Guerra Bianca, quello di aver riportato alla luce una pagina non sufficientemente approfondita dai libri di storia.

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Morrison (da non confondere col più illustre Grant) si è costruito una reputazione nel mercato inglese con le storie del personaggio di sua creazione Nikolai Dante, pubblicate sulla prestigiosa rivista 2000 AD; in Italia è stato pubblicato qualche suo lavoro sparso tra Marvel e DC e un non esaltante ciclo dell’Authority post – Mark Millar. Lo scrittore venne ispirato dalla visione di un documentario sulla Prima Guerra Mondiale e iniziò la stesura dello script proprio mentre si trovava in vacanza in Italia, a Frascati: il monumento dedicato ai caduti della Grande Guerra che si trova nei pressi del Belvedere della graziosa cittadina laziale gli suggerì i nomi dei protagonisti. A chiudere il cerchio di fortunate coincidenze arrivò la telefonata di Charlie Adlard, che stava sperimentando una nuova tecnica, a suo dire perfetta per un fumetto di ambientazione bellica, e chiese a Morrison se fosse interessato a collaborare con lui. Siamo alla fine degli anni’90 e Adlard non è ancora il disegnatore delle fortunatissima The Walking Dead; è appena uscito da un lungo ciclo di X-Files realizzato per la Topps, grande successo di vendite ma insoddisfacente dal punto di vista artistico. L’artista sente il bisogno di cercare nuove sfide e di addentrarsi in territori più autoriali, svincolati dalle scadenze di un impegno seriale. Come spiega a Morrison, sta sperimentando una nuova tecnica, una combinazione di carboncino e gesso su carta grigia, grazie alla quale riesce ad evocare l’atmosfera malinconica di un racconto di guerra. L’artista mette l’anima nella realizzazione del progetto e, allo scopo di avere il final cut, fonda con alcuni amici un collettivo per autoprodursi e lo chiama Les Cartoonistes Dangereux, richiamo francofono alla grande tradizione del fumetto europeo: l’opera che nasce dagli sforzi di Morrison e Adlard si rifà infatti ai classici del fumetto di guerra italiano e francese.

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Guerra Bianca ci racconta la storia di Pietro Acquasanta, italiano d’Istria di stanza nell’esercito austriaco che, dopo essere stato catturato dal nemico, si unisce alle truppe italiane pur di aver salva la vita. Siamo sull’altopiano Alighieri, Trentino, fronte italiano. Pietro conosce bene quelle valli perché è li che è nato e cresciuto, prima del trasferimento in Austria. Suo padre comandava una squadra di soccorso alpino e gli ha insegnato tutto sulle montagne, compresi i punti fragili… e come provocare delle valanghe. Abilità che gli torna utile quando se ne serve per salvare se stesso e i suoi commilitoni da un attacco al gas lanciato dagli austriaci. Il crudele Capitano Orsini coglie subito al balzo la nuova opportunità che gli si presenta e nomina Pietro caporale, mettendolo a capo di una pattuglia di ricognizione che dovrà individuare quei punti strategici dove sia possibile provocare valanghe allo scopo di distruggere l’esercito nemico. La Morte Bianca, come recita il titolo originale dell’opera.

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Se lo scopo di Guerra Bianca era dimostrare la crudeltà e la futilità della guerra di ogni epoca, l’obiettivo è stato centrato pienamente. Le tavole ammantate di bianco e griglio di Charlie Adlard trasformano le valli del Trentino da regno di avventure di ragazzo in cupi scenari di morte. Il griglio delle uniformi e delle maschere a gas fanno da triste contraltare al bianco sporco della neve, simbolo di un’innocenza perduta che non si può più recuperare. Come perduta per sempre è l’innocenza di Pietro Acquasanta, che le circostanze hanno portato a diventare assassino, “portatore di morte bianca”, ruolo per il quale non può evitare di provare una vergogna profonda. Non c’è nulla di epico in questa guerra, a dispetto della maestosità dello scenario: solo le miserie degli esseri umani che si trucidano l’un l’altro nell’inferno delle trincee, lo squallore degli ospedali da campo dove ci si chiede se sia meglio curare i mutilati o dargli il colpo di grazia, la possibilità di aprire il proprio cuore offerta dal fugace incontro con una prostituta in un bordello. C’è anche tanta pietas e compassione nell’ispirato script di Robbie Morrison, che fa dissolvere in un istante il secolo che ci separa dalle vicende di Pietro Acquasanta e dei suoi commilitoni. Che rivivono purtroppo in tutti gli scenari di guerra di cui ci arrivano le tristi immagini quotidianamente, a cominciare dalla Siria.

Imperium

La Valiant Comics è una bella realtà del fumetto statunitense, valida alternativa al classico duopolio Marvel/DC. Fondata nel 1989 da Jim Shooter, vulcanico ex redattore capo della Marvel all’indomani dal suo licenziamento dalla guida della Casa delle Idee, la Valiant ha conosciuto il suo periodo di maggior successo nella prima metà degli anni ’90, periodo d’oro per il mercato americano in cui, sull’onda del successo della Image degli enfant prodige Todd McFarlane, Jim Lee, Rob Liefeld e soci, il debutto di un nuovo consorzio editoriale era all’ordine del giorno. X-0 Manowar, Bloodshot, Turok, Shadowman, Ninjak, Harbinger, Archer & Armstrong, sono solo alcuni dei titoli che hanno brillato della luce di un momento prima di essere inceneriti dalla grande bolla speculativa che ha investito come una supernova il mercato del fumetto nella metà di quel decennio. Dopo aver visto la chiusura di tutta la sua linea editoriale, la Valiant ha provato per quasi venti anni a rimettersi in carreggiata, e dopo un paio di passi falsi ha finalmente centrato il bersaglio con il rilancio del 2012.

Passata attraverso due cambi di proprietà, la travagliata casa editrice ha beneficiato dell’eccellente lavoro del nuovo staff editoriale, che ha saputo radunare un gruppo assortito di ottimi e sottovalutati artigiani del fumetto come Christos Gage, Fred Van Lente, Clayton Henry, Roberto De La Torre, Trevor Haisine ed alcune eccellenze del settore come Jeff Lemire, Peter Milligan e Paolo Rivera. Il risultato è stato molto apprezzato sia dai lettori che dalla critica, tanto da far guadagnare all’editore ben 50 nomination agli Harvey Awards del 2016. Oltre ad infondere nuova linfa vitale alle sue testate storiche, la Valiant ha saputo anche lanciare sul mercato alcune novità decisamente interessanti. È il caso di Imperium, firmata da Joshua Dysart per i testi e Doug Braithwaite per i disegni.

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La serie è il sequel della classica Harbinger, testata che vedeva tra i protagonisti Toyo Harada, filantropo e capo della Fondazione Harbinger. Harada è uno psiota, termine che nell’universo Valiant indica gli individui dotati di super-poteri: è un potente telecineta, telepate e può controllare le menti. Convinto che il mondo stia andando alla deriva per la cupidigia degli stati nazionali e per le sempre crescenti disparità sociali, Harada decide di gettare la maschera e di intervenire direttamente sulla scena politica e militare internazionale: se finora si era servito dei suoi Harbingers per agire nell’ombra, il milionario decide di rivelare al mondo la sua natura di essere potenziato e di perseguire con ogni mezzo, anche sanguinario, la sua visione di un mondo unito dove il benessere sia alla portata di tutti.
Grazie ad un flashforward iniziale sappiamo che nel futuro questa utopia si è realizzata: ma il cammino per Harada non sarà privo di ostacoli, morte e tradimenti.

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Imperium si domanda cosa accadrebbe se i superumani esistessero nel mondo reale. La risposta, sul solco di illustri predecessori come Miracleman, Watchmen e The Authority, è semplice: cambierebbero drasticamente la storia del mondo e il destino dell’umanità. Non provando alcun interesse a descrivere una comunità di individui potenziati che passano le giornate a inseguirsi in sterili caroselli, Joshua Dysart propone un intrigante mix di fumetto supereroistico, thriller geo-politico e horror fantascientifico. Lo script dello sceneggiatore di Violent Messiahs è un avvincente tour de force tra salti nel futuro, campi di battaglia, e complotti orditi dietro le quinte, che riesce allo stesso tempo a non trascurare la caratterizzazione psicologica dei personaggi. Esempio emblematico è Toyo Harada, personaggio shakespeariano considerato un benefattore da alcuni, un terrorista da altri.

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I disegni del veterano Dougie Braithwaite fanno da compendio perfetto allo script di Dysart, conferendogli solennità e spessore: una prova importante, seconda solo a quella sfoderata sul Justice della DC, valorizzata anche dai colori dell’ottimo team formato da Brian Reber, Dave McCaig e Ulises Areola. L’edizione italiana è proposta dalla Star Comics in un bel brossurato che si segnala per un ottimo rapporto qualità - prezzo. Un debutto solido e degno di considerazione, che testimonia la maturità ormai raggiunta dalle testate Valiant.

Moon Knight 1: Lunatico

Jeff Lemire è senza dubbio una delle rivelazioni del comicdom degli ultimi anni. Fattosi notare con l’intimista Essex County, si è costruito una reputazione in casa DC Comics dove ha scritto apprezzate run di Animal Man, Green Arrow e Justice League Dark, senza disdegnare il fumetto indie con il grande successo di Descender per la Image. Il passo verso un contratto in esclusiva con la Marvel è stato breve, e la Casa delle Idee lo ha subito messo a lavorare su alcuni dei suoi progetti più attesi: l’ennesimo rilancio della saga mutante con Extraordinary X-Men. il sequel di Hawkeye dopo i fasti della serie di Matt Fraction, le avventure di un anziano Wolverine dislocato temporalmente nel nostro tempo in Old Man Logan e la nuova serie di Moon Knight. Dopo aver parzialmente fallito nel raccogliere l’eredità di Fraction sulle pagine di Occhio Di Falco, la versione di Lemire del Cavaliere della Luna era attesa al varco, considerando il fatto che gli echi dell’apprezzatissima versione di Warren Ellis e Declan Shalvey, datata 2014, non si erano ancora spenti.

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Nel ciclo di Ellis, i problemi di salute mentale di Moon Knight sono stati definitivamente chiariti: Marc Spector è realmente un agente del dio egizio Khonshu, che esiste e non è un parto della sua psiche malata, e sfrutta le sue ingenti risorse economiche per proteggere i “viaggiatori notturni” da criminali e psicopatici. Come poteva Lemire succedere al guru britannico della macchina da scrivere, che aveva fornito una delle versioni più apprezzate del personaggio? La ricetta dell’autore canadese è semplice: ribaltare completamente il tavolo da gioco, restando fedele allo stesso tempo al canone del personaggio. Il tipico concetto made in Marvel di supereroe con super-problemi viene qui portato alle estreme conseguenze, perché il super-problema è di natura psichiatrica. In apertura di volume vediamo infatti il buon Marc Spector risvegliarsi in un centro di igiene mentale, di cui è ospite suo malgrado. Folle tra i folli, la sua situazione ricorda quella di Jack Nicholson in Qualcuno volò sul nido del cuculo. Con la differenza che se quest’ultimo aveva solamente cercato una via di fuga ad un aaltrimenti inevitabile spedizione in Vietnam, Spector dubita di quello che si muove davanti ai suoi occhi e di quello che si agita nei suoi pensieri. Medici ed infermieri sostegno che la sua carriera come Moon Knight è frutto della sua psiche malata, così come le innumerevoli avventure dal lui vissute. Ma di notte, la voce di Khonshu chiama ancora a sé il suo figlio prediletto, per avvertirlo di una minaccia incombente. Riuscirà Marc Spector a distinguere la verità dalla pazzia, affrontando allo stesso tempo un’antica piaga che sta per abbattersi sulla città di New York?

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Narratore di rara finezza psicologica, Jeff Lemire mette la sua arte al servizio del più tormentato degli eroi Marvel, accompagnandoci in un labirinto di ambiguità e follia dal quale non sembra esistere salvezza. L’autore di Sweet Tooth eccelle nel costruire una situazione di straniamento dove niente è come sembra e tutto quello che pensavamo di sapere potrebbe rivelarsi sbagliato: le premesse alla base della mitologia di Moon Knight vengono prese e portate alle estreme conseguenze, consegnandoci così un eroe fragile che deve agire nonostante sia privato di ogni certezza.

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La discesa agli inferi di Marc Spector ordita da Lemire viene visualizzata con sbalorditivo talento visivo da Greg Smallwood, che con questo lavoro lascerà probabilmente lo status di “promessa” per  quello di  “rivelazione dell’anno”. Una crescita esponenziale rispetto ai primi lavori su testate antologiche come A+X, che lascia di stucco per la padronanza dello storytelling e la versatilità del tratto, sporco nelle sequenze oniriche dove omaggia senza timori riverenziali l’immenso Bill Sienkiewicz (che proprio su Moon Knight si fece le ossa), mentre cesella tavole minuziosamente dettagliate nelle scene del sanatorio, dove sciorina una composizione della tavola classica e originale allo stesso tempo. Sicuro del proprio talento, Smallwood si concede anche una citazione dei Nighthawks di Edward Hopper, con la Tavola Calda che sembra emergere da una tempesta di sabbia come in un sogno. Completamento ideale al tratto dell’illustratore sono i colori di Jordie Bellaire, ormai certezza assoluta del settore, che con la sensibilità unica della sua palette conferisce stati d’animo diversi a seconda del momento, con colori più slavati all’interno del manicomio e caldi nelle scene d’azione, apporto cromatico fondamentale in una storia in cui il colore si fa paesaggio dell’anima.

Il team creativo riesce nell’intento di allontanarsi dai cliché della classica ed abusata storia di supereroi, costruendo un thriller psicologico che ricorda classici del genere come Il Corridoio della Paura e L’Esercito delle 12 Scimmie. Un debutto solido ed intenso che fa ben sperare per il prosieguo della serie e fa attendere l'uscita del secondo volume con una certa impazienza.

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In un passato recente, cinque persone straordinarie, ciascuna delle quali rappresenta un’eccellenza nel proprio ambito professionale, vengono riunite in un think tank segreto dal governo britannico allo scopo di mantenere viva la fiaccola di un progresso scientifico che sembra essersi esaurito. Personalità forti dai background più disparati: Maria Killbride, fredda e geniale scienziata; Robin Morel, ultimo di una dinastia di sciamani ed esoteristi; Brigid Roth, esperta hacker; Simeon Winters, spietato agente segreto; Vivek Headland, milionario esperto di economia. Ai giorni nostri il gruppo si è sciolto. Maria è ricoverata in un centro di igiene mentale e degli altri quattro si sono perse le tracce. Ma una minaccia imprevista si libera improvvisamente nel mondo, qualcosa capace di minacciare il tessuto stesso della realtà e che sembra connesso ad antiche credenze del folklore britannico ormai dimenticate. Qualcosa che ha a che fare con le attività segrete dei cinque e con il loro peccato più grande, l’Inoculazione. Ma cos’è l’Inoculazione? E una volta riunitisi, riusciranno i cinque ad affrontare le conseguenze della loro superbia?

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I primi numeri di Injection, la nuova serie Image scritta da Warren Ellis e proposta in Italia da SaldaPress, confermano il momento di forma straordinaria vissuto dallo sceneggiatore britannico, capace di dividersi con successo tra la reinvenzione di personaggi di secondo piano (Moon Knight e l’imminente Karnak per la Marvel), reboot di brand storici (James Bond 007 per Dynamite) e serie creator – owned. Il lettore ritroverà in Injection tutti  gli elementi che hanno fatto di Ellis un beniamino del pubblico: la dimensione fantasy, legata alla tradizione del folklore britannico; l’interesse per la scienza e il progresso tecnologico; cospirazioni segrete e atmosfere da thriller fantascientifico, condite da una spruzzata di noir e spy story. Da abile sciamano, Ellis gioca con i generi, li remixa e li ibrida con consumata maestria. Molto di quanto ci mostra è già visto, ma è inserito in un contesto inedito: la trovata intorno a cui ruota tutto il progetto Injection è l’ennesimo coniglio uscito fuori dal cilindro del magico autore inglese, che riesce a rendere concetti pseudoscientifici astrusi e complessi non solo comprensibili al lettore non iniziato, ma a farne addirittura il perno intorno a cui ruota una fiction popolare e di altissima qualità allo stesso tempo. Considerato il progressivo disimpegno di un’icona come Alan Moore dall’industria del fumetto, Ellis appare oggi come l’unico in grado di spingere il tasto flashforward per portare l’intero settore in territori narrativi ancora inesplorati, come un vero futurista della macchina da scrivere.

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Menzione speciale per la caratterizzazione dei personaggi, alcuni dei quali bucano la pagina; è il caso di Robin Morel, lo stregone che sorridendo afferma di non essere un mago mentre la pioggia che cade intorno a lui non lo bagna, un Costantine più dimesso che potrebbe presto occupare un posto importante nella galleria dei personaggi ellisiani, insieme allo Spider Jerusalem di Transmetropolitan o all’ Elijah Snow di Planetary.

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La serie segna la reunion di Ellis con Declan Shalvey e Jordie Bellaire, i suoi complici nella splendida run di Moon Knight. L’irlandese Shalvey conferma di essere uno dei talenti più luminosi dell’industria del fumetto, cesellando tavole minuziose e di grande impatto, sia che ci si trovi dentro un laboratorio segreto, o a spasso col Dottor Morel in un antico sentiero della campagna inglese. I colori della Bellaire, una vera eccellenza del settore, rivestono le illustrazioni di Shalvey con calda o livida magnificenza, a seconda della necessità dello script di Ellis. Il talento combinato dei tre conferisce all’opera un’aurea tipicamente british, come una puntata di Sherlock dai toni felicemente apocalittici, sfoderando una padronanza assoluta del mezzo espressivo che rende Injection un’uscita imperdibile di questa parte finale dell’anno.

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