La Belgica 1-2, recensione: il viaggio inaspettato ma necessario
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La Belgica fu un veliero realmente esistito che, sul finire del ‘800, intraprese uno straordinario e pericoloso viaggio verso l’Antartide. Fu un’impresa difficile che mise a dura prova l’equipaggio e l’imbarcazione stessa, espressione del massimo spirito pionieristico dell’epoca, capace di essere tuttora materia di studio per comprendere le sollecitazioni di un gruppo di persone in situazioni estreme.
Chi erano questi marinai? Chi era il loro capitano? Quali erano i nomi dell’equipaggio formato da 19 membri?
Toni Bruno (Da quassù la Terra è bellissima) ha trovato per il lettore queste risposte. Eppure, per l’autore, sono risposte poco soddisfacenti. La Belgica non è solo una nave, è simbolo delle aspirazioni, del coraggio, dell’intraprendenza dell’uomo, ma allo stesso tempo metafora di contraddizioni emotive ed identitarie. Per questa ragione Bruno ha potuto inserire nel suo racconto un ventesimo membro dell’equipaggio, che si facesse portavoce di queste tensioni narrative: Jean, un ragazzo che vive come può nella lugubre città di Ostenda, in Belgio. Convinto, da alcuni sodali, a depredare La Belgica ormeggiata al porto, per un fortuito caso, egli rimarrà a bordo mentre questa ha intrapreso il suo viaggio verso i ghiacci dell’Antartide. La sua vita da clandestino ha breve vita e Jean diventa presto un mozzo. Ma il ragazzo non ha lasciato ad Ostenda solo una vita di difficoltà, ha lasciato Claire, la donna che ama e che lo aspetta.
Ciò che costruisce Bruno non è un mero racconto dal sapore avventuroso e dai risvolti romantici: tali elementi ne sono la fascinosa impalcatura narrativa. L’autore, difatti, ponendo Jean come un ottocentesco Ulisse – e Claire la sua Penelope – ne approfitta per raccontare un viaggio emotivo, una dolorosa, lenta e colpevolizzata comprensione di se stessi.
Nel primo volume – non a caso omericamente intitolato “Il canto delle sirene” – come i classici eroi d’avventura, i due protagonisti, affrontano un viaggio fatto di tappe, sono costantemente costretti a superare delle soglie. La “soglia”, nel sapiente racconto di Bruno, diventa lo strumento per scandire il tempo, lo spazio e le prove emotive ed identitarie dei personaggi.
La Belgica traghetta Jean a cavallo di due secoli, traversando mari e costeggiando continenti, lo costringe a superare limiti fisici e a oltrepassare le proprie contraddizione identitarie. Il ragazzo è il cardine attorno a cui l'autore costruisce l’impianto di tutti gli altri personaggi, dal cane Sno agli amici che lo cercano, ai vari membri dell’equipaggio. Ma è senz’altro con Claire che Bruno imbastisce le scene maggiormente poetiche ed evocative: un rapporto non vissuto, un dialogo a distanza dove, però, manca comunicazione, un amore messo alle strette dagli eventi e dal tempo.
Non è la sola strutturazione dei personaggi ad accogliere il lettore su La Belgica. Toni Bruno esprime nei volumi tutto il suo amore per la veridicità storica. Pochi accenni grafici, poche battute e immediatamente si viene catapultati a più di un secolo fa, in un contesto sociale e culturale tanto distante. Eppure, la straordinaria capacità narrativa dell’autore risiede nell’abilità di mostrare come determinate traiettorie emotive superino anche i confini temporali e geografici. E anche il lettore si ritrova a superare delle soglie, a viaggiare nella propria identità insieme a Jean e Claire, anch’egli sulla Belgica.
La nave, difatti, si mostra non tanto come vascello fisico, quanto scrigno dei più diversificati sentimenti dell’uomo a cui tutti i personaggi a modo loro sono legati. Dopotutto, e Jean e Claire ne sono portavoce, la costante ricerca nel migliorarsi, parte sempre dalla stratificazione di emozioni che costituiscono l’identità di chiunque: desiderio, paura, amore, bisogno di riscatto, speranza.
Chiaramente, come la vista spesso e drammaticamente non smette di ricordare, non tutti i tasselli andranno sempre al proprio posto. Ma con i due straordinari volumi de La Belgica, Toni Bruno richiama il lettore all’importanza fondamentale di superare le diverse soglie che troverà sul proprio cammino e per farlo avrà bisogno della propria Belgica, una nave capace di traghettare verso l’ignoto – e il nome del secondo volume “La melodia dei ghiacci” ha quel sentore lovecraftiano legato all’ignoto – perché è lì che troverà le risposte. Parafrasando il sociologo Joseph Campbell, è lo stesso autore a palesare tale intento: il tesoro che stai cercando è proprio nella caverna dove non vuoi entrare.
Un lungo racconto di tale intensità non poteva che essere raccontato con grande raffinatezza grafica. Bruno ha scelto delle mezzetinte: acquerellando con un inchiostro scuro restituisce il lungo inverno emotivo dei personaggi, restituendo contemporaneamente quell’aura di “antichità” che accompagna i diari autografi di fine ottocento. Il tratto grafico sintetico, lontano da un altrimenti inutile fotorealismo, non è di certo caricaturale, ma si pone giusto a metà: i personaggi e gli ambienti vivono di una trattazione essenziale e delicata estremamente evocativa e potente nei momenti drammatici, ma che si abbandona a qualche leggera deformazione per le situazioni più leggere. Le tavole si presentano con una griglia che non si concede a particolari o ardite composizioni. Bruno serra i momenti e il ritmo con una misurata cadenza di tempi, dilatandoli e sviluppando la narrazione come frame cinematografici.
La veste editoriale proposta da Bao Publishing fa da perfetto scrigno ai volumi de La Belgica: cartonati di grande pregio sono corredate da dietro le quinte scritte dall’autore, schizzi preparatori, schede dei personaggi e, soprattutto, dalle numerose suggestioni che hanno portato Bruno alla stesura del suo racconto.
Postilla di grande fascino: accostate le copertine dei due volumi, Jean e Claire, in un contesto differente, descritti da un colore differente, si guardano, lui ha una busta di lettere in mano, lei la lettere aperta. Tra loro non parlano, eppure, il dialogo tanto cercato potrebbe avere inizio.