Memorie dal sottosuolo, la recensione di Plume di AkaB
- Scritto da Emanuele Amato
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Ci sono… cose che un uomo ha paura di dire anche a se stesso, ed ogni uomo decente ha un certo numero di queste cose nascoste nella sua mente.
(Fëdor Dostoevskij)
Porto in me un individuo irrivelato. Mi conosce, ma non so niente di lui, eccetto che la mia persona è la sua ombra con i suoi appetiti inconfessabili e il suo bisogno di segreto.
(Joë Bousquet)
Durante Napoli Comicon 2017 la Douglas edizioni ha presentato un’antologia di racconti brevi del visionario AkaB dal titolo Plume che raccoglie lavori già noti e due inediti: "Niente da bruciare” e “Se”.
I lavori di AkaB sono sempre di matrice introspettiva e questa opera non è da meno. Le tematiche affrontate dall’artista sono introdotte in maniera egregia da Marco Taddei in una splendida prefazione. La celebrazione della vita avviene attraverso quella della morte, così come la bestemmia è essa stessa una preghiera disperata di chi cerca aiuto nel divino, non sapendo più a chi affidarsi. Un velo di disillusione e tristezza copre una forte rabbia che viene ritrovata in maniere più o meno manifesta in ogni storia. Dalla religione alla violenza, dal sesso alla solitudine, ogni storia ha in se i semi rabbiosi che faticano ad esprimersi se non in maniera sublimata dell’arte. Akab è un modellatore di pathos grazie ad uno storytelling non lineare perlopiù, con dialoghi criptici in alcune storie e immagini ermetiche, che creano una sensazione di angoscia che punta dritta alle emozioni più nascoste.
Il tipo di narrazione utilizzato dall’autore, come detto poco più su, differisce da storia a storia. L'esempio più forte è "Aquarietto", con tavole prettamente visive, con assenza di didascalie e senza nessun dialogo. Solo tramite le immagini di una vaschetta con un pesciolino che nuota avanti e indietro, racconta lo scorrere del tempo e della vita in stato di reclusione. La monotonia, la ripetizione e la solitudine sono una delle chiavi interpretative, dove si aggiungono forti e spietate quelle della vita e della morte.
Il linguaggio però è un tema importante per AkaB. Il racconto "Abaddon", in cui si parla della fine del mondo e di pulsioni sessuali, è ambientato in uno studio psicologico. Il protagonista non ama le frasi fatte ma nel linguaggio comune ormai quasi tutto quello che diciamo lo sembra. Molte volte capita che dobbiamo sottolineare che è il nostro reale pensiero, al di là dell’espressione linguistica di uso comune. L’autore quindi crea un meta discorso sulla linguistica in poche battute, lasciando il lettore in pieno flusso di coscienza.
AkaB parla di pulsioni e si rivolge direttamente ad esse. Pulsioni sessuali, pulsioni di morte, pulsioni di vita ma le mescola in una narrazione sempre nuova, dai toni angoscianti. Il linguaggio è ricercato ma sempre diretto. L’uso di metafore è utilizzato in alcuni casi in modo opposto alle immagini associate così da creare un’allegoria visivo/linguistica che in alcuni casi risulta una nera ironia sul tema. Esempio lampante è la storia “Era de Maggio”, dove il suo tratto angosciante e distorto rappresenta una realtà completamente opposta al testo della poesia di Salvatore di Giacomo, resa nota dall’adattamento musicale di Mario Pasquale Costa.
Non manca la religione tra gli argomenti trattati. Due in particolare hanno come focus il credo e l’istituzione religiosa con i suoi paradossi. “Plume – Untitled” e “Il Cristo di Carne” sono due storie opposte per tematica e per concettualizzazione. La prima è un discorso sulla contrapposizione tra la razionalità e la fede che si evolve in una riflessione sul viaggio verso noi stessi. L’ultima vignetta riassume la volontà di scelta con il bambino che mangia la mela (simbolo del peccato originale ma fondamentalmente della volontà di libero arbitrio). La seconda invece riflette lo sfruttamento della religione sia in senso commerciale che ideologico/interpretativo. La figura del cristo in croce come simbolo/icona/gadget potente che piace alle persone e che rappresenta la sofferenza verso di noi per noi. Mentre a noi cosa importa realmente?
Altro filo conduttore di alcune storie è la solitudine. Stesso discorso di “Era de maggio”, Akab crea come un moodbord di un videoclip della famosa canzone “Are you lonesome Tonight” di Roy Turk. Il senso di isolamento si evolve vignetta dopo vignetta e tavola dopo tavola fino ad un epilogo spiazzante dove il verso finale “Dimmi cara, ti senti sola stasera?” anche in questo caso è in netta contrapposizione con l’apparato visivo e visionario. “Apocalypse pending” è una solitudine oscura di un uomo che vuole andar via. In attesa del treno che non arriva, riflette sul viaggio e sulla sua vita. Dove andare? Forse l’ultima vignetta è illuminante ma si scenderebbe in questo caso forse in una forma interpretativa che il maestro Umberto Eco definirebbe “Intentio Lectoris” aprendo quindi mondi interi su cui disquisire.
L’apparato visivo è diverso da storia a storia, ricoprendo infatti quasi 17 anni di lavori. Resta inconfondibile lo stile decadente che persiste al tempo.
Un titolo da avere assolutamente per profondità e per stile. Personale e diretto, a volte da qualcuno criticato, ma che non è mai sceso a compromessi perché rispecchia l’espressione e la creatività dell’autore pura e cruda.
Dati del volume
- Editore: Douglas Edizioni
- Autori: Testi e disegni di Akab
- Genere: Antologico
- Formato: 28x20cm, 152 pp., B., col.
- Prezzo: 20€
- ISBN: 978-88-941627-1-4
- Voto della redazione: 8,5