Daredevil Collection 5 – Battlin’ Jack Murdock
- Scritto da Giorgio Parma
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Carmine Di Giandomenico è uno degli artisti italiani più apprezzati all’estero e in patria e di certo non ha bisogno di presentazioni tanto quanto non ne ha bisogno Daredevil, una delle figure più iconiche delle proprietà Marvel, recentemente sotto i riflettori anche al di fuori del panorama fumettistico per via dell’adattamento live-action realizzato dai Marvel Studios in collaborazione con Netflix, di cui è appena uscita la seconda stagione. Sull’onda di celebrazione di questo personaggio, Panini Comics ha dato vita a una delle collane da collezione più belle della recente storia editoriale di Marvel Italia, la Daredevil Collection per l’appunto, una serie di cartonati morbidi, formato eccellente che Panini tende fortunatamente a proporre sempre più spesso, che raccolgono le migliori storie del Diavolo di Hell’s Kitchen, ospitando nomi del fumetto di altissimo livello, da Frank Miller a Joe Quesada, da Kevin Smith a David Lapham, passando proprio per Di Giandomenico, presente nel volume che andiamo ad analizzare, Daredevil Collection 5 – Battlin’ Jack Murdock.
Si tratta di una delle storie più intense e chiarificatrici della figura del Diavolo Custode, che colma gli spazi del background del personaggio lasciati da Frank Miller con The Man Without Fear e di Quesada con Father, prevalentemente. Ma Matt Murdock qui compare solo sporadicamente perché non è il vero protagonista dell’opera: è suo padre, “Battling” Jack Murdock, ad essere al centro della storia.
Zeb Wells, su soggetto di Di Giandomenico, infatti decide di dedicare a questo personaggio, figura chiave fondamentale nello sviluppo psicologico di Matt, una storia intensa e di carattere che ci presenta per la prima volta un Jack Murdock non filtrato dalla visione del figlio (a differenza di Father per esempio), protagonista della sua sfortunata vita, indagandone lo spirito, la natura, la forza d’animo e mostrandoci un “umano troppo umano” che tra mille debolezze e sofferenze, tra errori e sconfitte, riesce a crescere da solo un ragazzo in uno dei quartieri meno nobili di New York, trasmettendogli quanto in suo possesso, facendo di tutto pur di proteggere l’unica cosa preziosa che il mondo non gli aveva ancora sottratto, arrivando a compiere il sacrificio finale pur di impartirgli un’ultima, fatale quanto significativa lezione.
Perché il protagonista, che viene esplorato mediante dei flashback che alternano i round dell’ultimo incontro della sua carriera di pugile al Madison Square Garden, quello che gli costerà la vita, non è di certo una figura esemplare, non è per nulla un padre perfetto, è quanto di più lontano ci sia da esso. È un ubriacone che minaccia i negozianti del quartiere per riscuotere il pizzo per conto di Fixer, un boss malavitoso locale, e che ha perso l’amore della sua vita, una persona violenta per necessità e che ha sempre risolto tutto con la forza. Ma è profondamente umano, è una persona buona che ha smarrito la retta via, soverchiato dalle difficoltà della vita e dagli ostacoli che si sono succeduti nel corso della sua esistenza e a cui non ha potuto far fronte in quanto incapace di gestirle se non facendo parlare i suoi pugni. Una figura tragica e sola che si trova di punto in bianco a dover badare ad un figlio non previsto, frutto del rapporto con Maggie, la madre di Matt, che tuttavia non può più occuparsi del bambino essendosi ritirata in convento.
Eppure quello che può inizialmente sembrare un’ulteriore fardello, l’ennesima sfortuna, si rivela essere l’embrione di una catarsi espiatoria che con una pseudo epifania joyciana fa comprendere al protagonista che un modo per redimersi c’è, e consiste nel far crescere nel migliore dei modi suo figlio, concedergli ciò che lui non ha potuto avere, farlo studiare per ergersi dalla mediocre condizione in cui versava il nucleo familiare agli inizi, farlo allontanare da quel posto doloroso che lo ha forgiato nel peggiore dei modi. E dovrà imparare come relazionarsi col figlio, come nascondere le azioni riprovevoli che è costretto a compiere per poter sfamarlo e permettergli di studiare, come impedirgli di diventare come lui, di cedere alla facile strada della violenza fisica, del rancore, per spingerlo ad essere sempre migliore del suo vecchio.
Ma questa ardua impresa, come sappiamo tutti, sarà aggravata dalla perdita della vista di Matt a seguito di un incidente coinvolgente delle sostanze radioattive che gli doneranno dei sensi ipersviluppati, privandolo della possibilità di rivedere il mondo con i suoi occhi. Ma come far fronte a questa nuova privazione? Questo è uno dei punti cruciali attorno a cui si sviluppa la trama di questo Battlin’ Jack Murdock, tra un round e l’altro sul ring che segnerà la fine del personaggio. Molto intensa la parte finale del volume, in cui il protagonista realizza che il figlio cieco non è per nulla debole come pensava fosse, ma che è ben più preparato ad affrontare la vita di quanto potesse sperare di insegnargli, e quindi decide di lasciargli come testamento un’ultima lezione, una dimostrazione di affetto sublime quanto amara, che ricorderà per sempre al giovane Matt di non arrendersi mai, di combattere fino all’ultimo e di ergersi con tutte le forze contro qualunque ostacolo, per quanto insormontabile esso appaia. Tra l’altro, la bellissima tavola di mash up di vignette già presentate durante la storia che mostra il collegamento dei diversi pezzi che portano Jack a comprendere la natura del figlio, ricorda una analoga epifania visiva di Oudeis, che presto potrete leggere nella nuova edizione Saldapress.
La narrazione di Wells è efficace e concisa, non si perde in fronzoli e spesso si affida alla narrazione interna didascalica del personaggio, scelta che ci fa apprezzare ancora di più la sfera emotiva e personale di Jack, permettendoci di comprenderlo al meglio, al di là dell’armatura che indossa nella vita di tutti i giorni per proteggersi e per proteggere chi ama. Molto ben gestita è anche l’interazione interpersonale con gli altri personaggi della storia, soprattutto con Josie, la barista che crede in lui, che lo supporta, che lo ama, che ne comprende l’umanità e la complessità.
La struttura narrativa fa spesso uso della ripetizione di alcune frasi che servono più da autoconvincimento per lo stesso Murdock, da mantra disperato ripetuto ininterrottamente sul ring per spronarsi ad essere forte nel suo mostrarsi debole pur di proteggere il figlio.
Passando al comparto grafico, c’è ben poco da dire, in quanto i disegni di Di Giandomenico parlano da soli. Il suo stile univocamente identificativo, con un tratto unico che si alterna tra spigoloso e morbido a seconda della scena rappresentata, sempre molto dettagliato, con un layout di pagina vario e mai banale e con diversi elogi agli altri grandi autori che hanno portato a vette altissime Daredevil, come Miller, David Mazzucchelli e John Romita Jr. Ma una delle più grandi doti dell’artista teramano è quella di rendere evocativi e splendidamente espressivi i suoi personaggi, trasmettendo la sua passione direttamente in ogni vignetta e facendo emergere la loro emotività e la loro stessa natura con una delicatezza eccezionale, donandoci scene di impagabile intimità in questo fumetto.
Se a questo si aggiunge l’ottima scelta da parte dell'artista di una paletta cromatica totalmente autunnale, con marroni, rossi e arancioni e tutte le possibili gradazioni degli stessi, che incrementano la sensazione di tragicità, di titanismo e di tramonto di una leggenda, perfettamente in sintonia anche con la figura di Devil, non si può far altro che constatare l’aumento della forza espressiva e comunicativa dei disegni stessi, trasmettendo tutto l’amore dell’artista per il personaggio, che ha avuto come padre un “Grand’uomo” baglioniano, quell’”uno che sa vendersi la pelle”, che “la morte porta a spasso”, che “fa impallidire il fato”, cercando di “essere qualcuno”, cercando di insegnare al figlio che la vita “è più una lotta che una danza in cui girare”, e che al termine della canzone, così come della storia qui narrata, dice al figlio “almeno cerca tu di essere un grand'uomo”, riconoscendo di non essere riuscito a vivere una vita esemplare, affidando al proprio figlio la sua ultima speranza.
L’unica significativa pecca che possiamo riscontrare in questa storia è il non aver affidato tutto il progetto a Di Giandomenico, che come forse non tutti sanno, ha dato prova di essere un abile autore completo, anche a livello di sceneggiatura. Questa riflessione scaturisce soprattutto dall’apparato redazionale presente a fine volume, che comprende una postfazione di Di Giandomenico e una breve intervista all’autore. Queste numerose pagine conclusive, oltre a rappresentare un bel extra per l’edizione, mostrano anche quelli che erano i bozzetti delle pagine inizialmente ideate dal fumettista per la mini, molte delle quali sono state bocciate dagli editor alla Marvel. In esse vediamo un diverso approccio alla storia, molto più intimo di quanto visto nella versione finale, come confermatoci dallo stesso disegnatore a Cartoomics, che avrebbe intrecciato ancora di più quanto fatto dai precedenti artisti, da Miller a Quesada, solo per citarne alcuni, completando e infittendo il mosaico narrativo del background dell’eroe. La curiosità di vedere quel che avrebbe potuto essere questo fumetto, se alla Casa delle Idee avessero dato maggiore libertà espressiva all’artista, è davvero grande.
Edizione Panini che rasenta la perfezione come tutta la linea Daredevil Collection.
Dati del volume
- Editore: Panini Comics
- Autori: Soggetto e disegni di Carmine Di Giandomenico, testi di Zeb Wells
- Formato: 17x26 cm, cartonato, 112 pp, col
- Prezzo: 13€
- Voto della redazione: 8