Nel panorama fumettistico contemporaneo, Giulio Rincione, ha saputo ritagliarsi uno spazio estremamente riconoscibile grazie al suo tratto peculiare, intenso e, spesso, disturbante, al servizio di un racconto denso di significati, stratificato e dal grande impatto emotivo. Paranoiae e Paperi sono esemplificati per l’arte, sia grafica che narrativa, di Rincione: quale artista raffinato, gioca con il disegno e con le immagini attraverso un tratto nervoso ed inquietante, dalla grande potenza visiva, in cui un uso sapiente del colore è fondamenta espressiva e figurazione di temi socialmente ed emotivamente che in pochi sanno raccontare con tale sapienza. Editato dalla Shockdom, ha pubblicato lavori come Noumeno, Paranoiae e Paperi ma la deformazione grottesca, quasi caricaturale, delle sue figure si è adattata perfettamente anche ai personaggi della Bonelli, disegnando sulla serie di Dylan Dog (Color Fest, in uscita a maggio), Orfani e 4Hoods (in uscita ad autunno).
Sabato 1 aprile, abbiamo avuto modo di intervistarlo, ospite alla fumetteria Stregomics di Benevento.
Ciao, Giulio. Come nasce Rincione fumettista?
Rincione fumettista nasce a 15 anni quando ho cominciato a fare fumetti per i miei compagni di classe in cui prendevo in giro i professori, inventavo delle storie. Li ho capito che volevo raccontare tramite il fumetto e farlo come lavoro nella vita. In seguito ho frequentato la Scuola del Fumetto di Palermo dal 2009 al 2012 e li mi sono formato come disegnatore. Ma il vero Giulio Rincione disegnatore nasce nel 2013 quando, assieme a Francesco Chiappara e Lucio Passalacqua, fondo il collettivo indipendente Pee Show e mi affermo col mio stile, cercando di studiare e di esplorare una nuova strada e di trovare un mio percorso personale.
Come mai avete deciso di fondare il collettivo di Pee Show?
Perché dopo un anno in cui abbiamo girato per le fiere con il book in cerca di un editore, le cose non erano andate benissimo. Quindi abbiamo preferito dire la nostra senza cercare un editore, creando qualcosa che avesse l’obiettivo principale di essere “diverso”, di essere “sperimentale”, di essere “alternativo” e abbiamo cominciato con l’autoproduzione. E, da lì, le cose sono cambiate: non eravamo noi a muoverci, ma gli altri a venirci a cercare.
Il tuo tratto e la composizione visiva delle tavole sono elementi di grande riconoscibilità della tua produzione. Come nasce tale tecnica espressiva?
La mia tecnica non è mai arrivata a maturazione e non arriverà mai a un punto in cui sarò soddisfatto, e viene da tutta una serie di elementi, autori che mi piacciano e che vengono mischiati col mio stile, col mio modo di intendere la linea e il segno. Io ho continuato a sperimentare: per ciò che riguarda la deformazione delle figure, delle prospettive, del colore, partendo da quello che è un mio gusto grafico, che vado scoprendo e maturando nel tempo. Ma è qualcosa che non posso spiegare passo passo. È qualcosa che continua a cambiare e dipende dall’esperienza.
Dave McKeane, tra i tuoi autori d’ispirazione, viene definito “collagista digitale”. Ti ritroveresti anche tu in tale definizione?
In realtà, molto è basato sull’improvvisazione mentre lavoro. Spesso mi ritrovo a fare delle parti in collage, ma che non avevo previsto all’inizio. Oppure, mi metto a dipingere e mi accorgo che sto virando verso un segno più grafico, quindi… Io sono molto istintivo in quello che faccio: ho delle conoscenze tecniche che sicuramente metto in atto e delle lezioni che cerco di ricordare, ma non ho mai studiato abbastanza per poter risolvere qualunque problema mi si presenti. Direi che sono un istintivo perché, forse, “collagista digitale” è un po' limitante, perché questa tecnica non è costante nella mia produzione.
Mi piacerebbe diventare un “jazzista del disegno”. Non posso darmi da solo questa etichetta, ma mi piacerebbe diventarlo.
Paranoie è un intenso viaggio introspettivo nelle ansie e nelle paure del protagonista, costretto a scendere a patti con la propria identità. Com’è nato questo progetto?
È nato dopo un periodo ne troppo semplice ne troppo complicato, un periodo che tutti noi possiamo attraversare, durante il quale ho raccolto informazioni e, sopratutto, emozioni, aspettando il momento in cui avrei potuto sfruttarle per un nuovo libro. La trama è venuta dopo.
La serie Paperi nasce da una sola illustrazione: un triste Paperoga sotto la pioggia, osservato dal suo creatore, un divertito Walt Disney. Per i diversi racconti che compongono Paperi, hai lavorato con tuo fratello Marco, com’è stato collaborare insieme a lui?
Il progetto nasce su internet, grazie ai social network. Sentivo il bisogno di dare un volto ad alcuni pensieri, ad alcune sensazioni, e per contrasto ho voluto dargli l’aspetto di un papero, che riprenda leggermente i tratti disneyani. Nasce, così, l’immaginario del “papero Rincione”. Reduce da Paranoiae non volevo ricominciare a scrivere, volevo dedicarmi al disegno ed è subentrato Marco. Lavorare con lui è stato quasi liberatorio. Siamo gemelli, abbiamo convissuto quasi l’intera vita assieme, ci conosciamo alla perfezione ed è stato come se scrivessi per me stesso, anche meglio. E sopratutto con la sorpresa del “non sapere”, nonostante i soggetti, molto spesso, li decidevamo assieme.
Perché scegliere la simbologia o la metafora del mondo animale, specialmente dei paperi?
Innanzitutto mi piace disegnare paperi. Ed è una cosa fondamentale per un disegnatore, occuparsi di qualcosa che gli fa piacere realizzare, non deve soffrire e basta mentre disegna. L’immaginario Disney e dei suoi paperi, ricorda subito il fumetto umoristico e allegro e, così, noi abbiamo creato un’immagine stridente rispetto al contenuto. Come aggiungere sale e zucchero assieme e sentire le papille gustative impazzire. L’obiettivo era creare un forte contrasto.
Un copertina prima e una storia poi su Dylan Dog, la parte della metanarrazione nella terza stagione di Orfani, un episodio in uscita per 4 Hoods. Che vuol dire lavorare in Bonelli?
È iniziato più di un anno fa ed è stato bello che non si sia più arrestato. Per un motivo o per un altro, ho sempre avuto qualcosa da fare. Lavorare per la Sergio Bonelli è stato come lavorare per me stesso: chiamandomi, loro sapevano di volere quel tipo di stile ed io non mi sono dovuto forzare, non mi son dovuto restringere o adattare. Il senso è questo: essere se stessi ed apprezzare la diversità che può dare un artista rispetto ad un altro.
Hai realizzato i disegni del web comics Il Cuore della Città per i testi di Francesco Savino. Come è nato questo progetto?
Nasce più di un anno fa, quando, Francesco Savino, durante il Cartoomics, mi aveva chiesto se ero disponibile a disegnare per lui una storia destinata al web. La cosa che mi ha fatto dire di si è stato vedere quanto lui tenesse davvero a questa storia, vedere che era particolarmente preso dalle tematiche che raccontava. Quando accetti un lavoro è importante avere la passione e l’entusiasmo di volerla fare.
Cercando di rintracciare un filo conduttore tra i tuoi lavori, che sia grafico o contenutistico, quale tracceresti?
A livello grafico è sempre il binomio tra pennellata, linea forte, grezza, piatta e una voglia volumetrica e tridimensionale che devono alternarsi in maniera del tutto improvvisata e che non posso prevedere. A livello di tematica, per ciò che sento più mio, più che la ricerca di un qualcosa che “c’è”, è la ricerca di un qualcosa che “manca”. E spesso, a mancare è l’allegria, i sentimenti positivi e di intrattenimento. Questo, non perché io sia un depresso cronico o una persona triste, ma perché mi sono reso conto che, dopo una certa età, non ero più in grado di essere divertente per gli altri, ma più propenso a raccontare qualcosa di più peso. Sicuramente se qualcuno volesse leggere qualcosa di Rincione, di certo non si aspetta “rose e fiori”.
E, quindi, il ragazzo di 15 anni che divertiva i compagni di scuola?
Molto spesso me lo chiedo. Sono cresciuto, ho preso le mie delusioni e quindi, probabilmente è rimasto li, bloccato in un limbo, in quella classe. Chissà che un giorno non lo possa rincontrare. Forse, quando farò pace con tutti i miei fantasmi.