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Luca Tomassini

Luca Tomassini

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Fellini - Viaggio a Tulum e altre storie

Torna disponibile nelle librerie a 26 anni dalla prima pubblicazione Viaggio a Tulum, opera che ha segnato l’incontro artistico tra due maestri assoluti dell’immaginario, Federico Fellini e Milo Manara. Nata come sceneggiatura per un film da realizzare e apparsa a puntate sul Corriere della Sera nel 1986, la storia appartiene ai grandi progetti irrealizzati di Fellini, come il celebre Viaggio di G. Mastorna. Successivamente rimaneggiata dal grande regista, viene tradotta in immagini dalla matita sublime di Manara, legato a Fellini da profonda stima reciproca ed amicizia.

I due si erano conosciuti nel 1985, anno in cui Manara realizza una storia breve come omaggio al regista di Rimini, Senza Titolo. A Fellini la storia (contenuta anch’essa nello splendido volume della Panini Comics) piacque molto, tanto da voler conoscere l’autore. Così, grazie alla complicità di Vincenzo Mollica, amico intimo del Maestro ed esperto di fumetti, avvenne il fatidico incontro. Tra i due nasce una simpatia e una stima istantanea, che diverrà più forte col passare degli anni: Fellini è da sempre una delle influenze maggiori di Manara, nel cui lavoro ritroviamo spesso quella dimensione visionaria e surreale tipica di opere come 8 e ½. Il cineasta, per contro, è un grande estimatore del tratto sensuale dell’illustratore. I presupposti per una collaborazione ci sono tutti e l’occasione si presenta sul finire degli anni ’80 quando Fellini, visti i costi proibitivi e la difficoltà di reperire i fondi necessari, decide di trasformare Viaggio a Tulum in un racconto a fumetti per i disegni di Manara. Il risultato finale vede la luce sulla rivista Corto Maltese, a partire dal luglio 1989, come storia a puntate dal titolo Viaggio a Tulum da un soggetto di Federico Fellini per un film da fare.

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La trama è volutamente poco più che abbozzata, in modo che il lettore possa immergersi fin dalla prima pagina nell’immaginario felliniano. Un Vincenzo Mollica dalla connotazione fortemente caricaturale arriva in una Cinecittà onirica, popolata solo dalle suggestioni dei film di Fellini: c’è la bambina demoniaca di Toby Dammit da Tre Passi nel Delirio, la Giulietta Masina de La Strada, la troupe di 8 e ½, la Ekberg de La Dolce Vita, etc. Accompagnato da una bionda misteriosa incontrata poco prima, Mollica trova Fellini addormentato in riva ad un laghetto. All’improvviso un soffio di vento fa volare in acqua il cappello del regista: la bionda si tuffa per recuperarlo, e sott'acqua si trova davanti una inaspettata meraviglia: sul fondale giacciono, come relitti, i film mai realizzati dal regista. La donna non ha problemi a respirare sott’acqua e entra nella carlinga di un enorme aereo, arrestandosi davanti al corpo immobile di MastroianniSnàporaz (il nomignolo fumettistico scelto dal cineasta per il suo alter – ego cinematografico e amico fedele). A questo punto fa il suo ingresso Fellini, che poggia il cappello sulla testa dell’inanimato Snàporaz – Mastroianni, dandogli vita: da questo momento sarà lui il protagonista della storia. Nel frattempo sopraggiungono anche Mollica e la ragazza bionda, e l’aereo inabissato improvvisamente riavvia i motori e decolla, giusto il tempo di concedere il tempo a Fellini e alla ragazza di uscire dal velivolo e guadagnare la superficie dello stagno.
 
L’aereo atterra a Los Angeles, dove Snàporaz e Mollica devono incontrare Maurizio, un produttore cinematografico interessato a produrre un film sulle antiche culture del centro America, in particolare quella tolteca. Da qui inizia un racconto, a metà tra il mistico e il surreale, popolato da misteri e strani incontri. Dopo varie peripezie e dopo aver accolto tra le proprie fila Helen, la bionda misteriosa che era apparsa nel prologo di Cinecittà, e un professore esperto conoscitore della civiltà tolteca, i nostri eroi giungeranno nel cuore della giungla nana, dove apprenderanno i segreti degli antichi stregoni aztechi.

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Pur contenendo non pochi riferimenti allo sciamanesimo e ai libri di Carlos Castaneda in particolare, Viaggio a Tulum è un’opera perfettamente inserita nel corpus felliniano. Già in film come La Dolce Vita, ad esempio, era chiara la malinconica constatazione dell’innocenza perduta e la denuncia di un mondo diventato ostile all’uomo a causa della corruzione dilagante. La ricerca di una dimensione più autentica, sottratta all’essere umano dalla modernità, non avveniva però con i modi del cronista, del polemista nostalgico, ma dell’artista che grazie alla sua sensibilità tende a cercare rifugio nella fantasia, nel sogno, nel ricordo, non sottraendosi comunque ad un inevitabile confronto col male di vivere della società attuale. Questa poetica, che trova  piena compiutezza nei film della maturità come 8 e ½ e Amarcord, anima anche le pagine di Viaggio a Tulum: il mito di un’età dell’oro ormai perduta, tipico dell’opera felliniana, viene qui incarnato dall’antica civiltà tolteca, i cui sacerdoti custodiscono una saggezza ormai irraggiungibile dall’uomo moderno. Come nelle sue opere migliori, la trama è un gracile supporto al susseguirsi di immagini di sfolgorante bellezza e camei d’eccezione (significativa la presenza di Jodorowsky e Moebius nella sequenza della conferenza stampa), una carrellata di episodi dai significati reconditi che vengono lasciati sedimentare nell’inconscio del lettore.

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L’atmosfera onirica e sognante della sceneggiatura di Fellini viene tradotta in tavole di seducente  splendore dalla matita incantata di Milo Manara. L’artista di Luson realizza scene di grande impatto visivo, degne di un kolossal cinematografico: lasciano di stucco sequenze come il prologo a Cinecittà e l’arrivo alla Babel Tower. Morbido e sensuale come sempre, il suo stile ricco di dettagli regala luminosità ad un soggetto non privo di elementi inquietanti ed oscuri, che vengono smussati dalla grazia e dall’eleganza di un tratto in grado di combinare spontaneamente erotismo ed ironia come nessun altro.

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Il pregevole volume proposto da Panini Comics presenta come bonus due storie brevi, la Senza Titolo di cui abbiamo parlato in apertura e Reclame, apparsa per la prima volta nel 1986 su Il Messaggero Supplemento Estate, sferzante critica a quella tv commerciale che negli anni '80 cominciava la sua rapida ascesa dagli esiti oggi ben noti e già vaticinati dallo stesso Fellini in Ginger & Fred. Rileggere oggi queste storie è utile per comprendere quanto un artista come Fellini manchi non solo al cinema italiano, ma al dibattito intellettuale del nostro Paese.

Star Wars: l'Impero a pezzi 1

Cresce l’attesa per l’arrivo nei cinema di tutto il mondo di Star Wars: Il Risveglio della Forza (in Italia dal 16 dicembre), il settimo capitolo della saga creata da George Lucas che vede alla regia J.J. Abrams (Lost e Star Trek). Fra le varie iniziative multimediali che ci accompagneranno fino all’uscita del film, la più significativa è senza dubbio la miniserie in 4 capitoli Journey to Star Wars: The Force Awakens – Shattered Empire, edita negli Usa da Marvel Comics e pubblicata per il mercato italiano da Panini Comics col titolo Star Wars: L’Impero a Pezzi.

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La recente cessione del marchio Lucasfilm alla Disney da parte del suo stesso fondatore ha consentito la realizzazione di una proficua collaborazione con la Marvel, acquistata anch’essa pochi anni fa dalla casa di Topolino e Co., rendendo possibile un’interessante e proficua sinergia tra cinema e fumetto. Subito dopo aver rilevato la licenza per la pubblicazione di fumetti ispirati alla saga di Lucas, detenuta dalla Dark Horse per più di 20 anni, la Marvel ha inondato il mercato di titoli ispirati alle Guerre Stellari: oltre alle serie ammiraglie Star Wars e Darth Vader, sono state pubblicate numerose miniserie dedicate a Princess Leia, Lando Carlissian, Chewbacca e ad altri. Ma il titolo più interessante e più atteso è senza dubbio questo Star Wars: L’Impero a Pezzi, che ha l’importante compito di collegare la trilogia classica col nuovo capitolo, mostrandoci cos’è successo dopo la conclusione de Il Ritorno dello Jedi e gli eventi che ci hanno portato a Il Risveglio della Forza.

L’albo si apre con la conclusione della Battaglia di Endor, con le forze ribelli che sferrano l’ultimo e decisivo attacco contro le forze Imperiali; mentre sulla Luna di Endor Han Solo, Leia e Chewbacca, con l’aiuto degli indigeni Ewoks affrontano le truppe imperiali allo scopo di distruggere lo scudo energetico che protegge la seconda Morte Nera, su quest’ultima Luke Skywalker sta affontando per l’ultima volta Darth Vader e l’Imperatore Palpatine: lo Jedi riuscirà ad avere la meglio sul malvagio Imperatore e a porre fino al suo regno di terrore solo grazie al ravvedimento di Vader, in realtà suo padre, che abbandona il Lato Oscuro della Forza, uccidendo l’Imperatore e riconciliandosi col figlio, subito prima di morire. Nello stesso momento i ribelli, guidati da Leia e Han sbaragliano le forze imperiali. La lunga guerra contro il malvagio Impero è terminata: le forze ribelli, esauste, possono tirare un sospiro di sollievo. Durante i festeggiamenti sulla luna ribella facciamo la conoscenza di Shara Bey, un’abile pilota di X-Wing che ha dato un contributo decisivo alla distruzione della seconda Morte Nera, e di Kes Dameron, soldato della squadra d’assalto di Han Solo, che ha partecipato alla battaglia di Endor: i due sono sposati e sognano un futuro di pace da vivere con la propria famiglia e il figlio Poe, affidato provvisoriamente ai nonni. Questo è il primo, importantissimo accenno a Poe Dameron, uno dei personaggi centrali de Il Risveglio della Forza, interpretato nel film da Oscar Isaacs. Purtroppo la pace dovrà attendere: quando Han Solo scopre che ci sono ancora delle sacche di resistenza Imperiale sull’altro lato della luna di Endor, Kes parte nuovamente in missione; a Shara nel frattempo viene assegnato l’incarico di scortare la Principessa Leia in missione diplomatica su Naboo, senza immaginare che il pianeta natale della Principessa sta per essere attaccato da uno Star Destroyer Imperiale, su ordine – postumo – dell’ormai defunto Imperatore.

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Ai testi di Star Wars: L’Impero a Pezzi troviamo il veterano Greg Rucka, con un curriculum importante sia presso Dc (Gotham Central, Wonder Woman) che Marvel (Punisher): lontano anni luce dalle atmosfere noir di Gotham Central e Punisher, Rucka mette il suo lavoro al servizio di una trama di più ampio respiro non limitandosi, però, a realizzare un lavoro di mero servizio ma  costruendo anzi una storia ricca di ritmo e pathos. Il tocco dello scrittore, particolarmente abile nel tratteggiare figure femminili (Renée Montoya in Gotham Central, Rachel Cole – Alves in Punisher) è evidente nella caratterizzazione del personaggio di Shara Bey: figura di soldato donna divisa tra dovere e famiglia, desiderio di pace e necessità di combattere, il Sergente Bey non potrà non diventare un beniamino del pubblico di Star Wars.

Rucka è coadiuvato ai disegni dall’italiano Marco Checchetto, che lo aveva già affiancato alle matite del suo acclamato ciclo di Punisher: Checchetto è a suo agio con spade laser e X-Wings tanto quanto lo era con le avventure urbane di Frank Castle, ed è abile sia nel coreografare combattimenti stellari tra caccia ribelli ed imperiali, sia nel tratteggiare situazioni più intime come le scene tra Kes e Shara sulla luna di Endor. Con tavole sempre più ricche di dettagli, Star Wars: L’Impero a Pezzi è un ulteriore passo avanti nel processo di maturazione del disegnatore italiano e probabilmente la sua consacrazione definitiva nello stardom del fumetto statunitense. La partecipazione alle matite di Angel Unzueta e Emilio Laiso nel secondo capitolo non compromettono la qualità generale e il risultato finale rimane piuttosto omogeneo.

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Star Wars: L’Impero a Pezzi viene presentato da Panini Comics in 2 albi brossurati prestige da 48 pagine, formato riservato alle produzioni di qualità che ha riservato non poche soddisfazioni alla casa editrice modenese.
L’appuntamento con il capitolo finale della saga è previsto per il mese prossimo, in tempo per arrivare preparati all’appuntamento con Il Risveglio della Forza.

RoboCop versus Terminator

Primavera 1992, Lucca Comics. Ho 15 anni e mi aggiro per gli stand della Fiera, a quel tempo ancora ospitata dal Palazzetto dello Sport, finché mi imbatto in un chiosco di comics in lingua originale. Neanche il tempo di mettermi a scartabellare tra gli albi che la mia attenzione viene colpita dal gigantesco poster che campeggia alle spalle del titolare dello stand: Robocop Vs Terminator. Frank Miller. Walter Simonson. Summer 1992. Nell’immagine promozionale un Robocop armato di pistola sferrava un gancio ben assestato ad un Terminator, subito prima di essere attaccato da un nugolo di altri robot assassini. Il giorno dopo, a chiusura fiera, chiedo al titolare del banco di poter acquistare il poster: con mia grande sorpresa me lo regala, aggiungendolo così al bottino di quella spedizione lucchese. Il poster raffigurante la potente illustrazione di Simonson avrebbe abbellito la mia stanza per un decennio… ma non sapevo che avrei letto quel fumetto così atteso solo 23 anni dopo! La miniserie di 4 numeri pubblicata dalla Dark Horse rimase infatti inedita per il mercato italiano nonostante il prestigio dei due autori coinvolti, e vede la luce solamente ora grazie al prezioso recupero della Magic Press.

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Sfogliare le pagine del volume significa riportare le lancette dell’orologio indietro ai primi anni ’90, contraddistinti da una situazione del mercato dei comics completamente diversa da quella attuale. Marvel e Dc versano in una grave crisi finanziaria e creativa, della quale approfittano piccole e agguerrite case editrici. Una di queste è la Dark Horse Comics, che in quegli anni sta ottenendo un inaspettato successo grazie alla sue trasposizioni a fumetti di celebri marchi cinematografici: al botto di Aliens Vs Predator del 1990 fa seguito l’anno successivo Star Wars: Dark Empire, la prima miniserie che la casa editrice dedica alla saga creata da George Lucas: la storia ottiene un consenso di pubblico clamoroso, tanto da dare vita al cosiddetto Expanded Universe, che amplia ed approfondisce su carta l’universo cinematografico di Luke Skywalker e soci.

Confortata dagli eccellenti dati di vendita, la Dark Horse pensa bene di proseguire sul solco già tracciato e acquisisce anche i diritti di altre due mitiche properties del cinema americano di quegli anni, decidendo di farli scontrare in una serie evento: Robocop Vs Terminator, appunto. La casa editrice di Portland decide di fare le cose in grande, coinvolgendo due numi tutelari assoluti del fumetto americano: Frank Miller ai testi e Walter Simonson ai disegni. Miller si è appena lasciato alle spalle un decennio, gli anni ’80,  per lui ricco di trionfi: Daredevil, Ronin, Dark Knight Returns, Elektra. Il nuovo decennio lo vede cimentarsi con opere ancora più sperimentali, sempre pubblicate dalla Dark Horse: è il momento di Give Me Liberty, Hard Boiled, e di una storia noir in bianco e nero pubblicata a puntate sull’antologico Dark Horse Presents, Sin City. Cosa spinge un autore alle prese con la fase più autoriale della sua carriera ad accettare un progetto così sfacciatamente commerciale come Robocop Vs Terminator? La voglia di rivincita, probabilmente. Come molti fan dell’epoca ricorderanno, Miller era stato ingaggiato per scrivere la sceneggiatura di Robocop 2 del 1990 ma il suo script era stato rimaneggiato da altri, finendo per dare vita ad un film mediocre, diretto dal poco ispirato Irvin Kershner. Deluso e amareggiato da questa esperienza, Miller giurò che non avrebbe mai più lavorato per Hollywood, salvo cambiare idea 15 anni dopo per la trasposizione cinematografica del suo Sin City.

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Miller coglie le analogie presenti nelle mitologie di Robocop e Terminator e le usa per costruire la trama. La storia comincia nel futuro dispotico della saga di Terminator, dove la resistenza umana guidata da John Connor ha fatto un’importante scoperta: Skynet, il sistema di difesa militare che si è rivoltato contro l’umanità sterminandola, ha sviluppato un’autocoscienza nel momento in cui è apparsa la prima sintesi di intelligenza umana e organismo cibernetico: il poliziotto Alex Murphy, alias Robocop. Una guerriera donna, Flo, viene incaricata da Connor di tornare indietro nel tempo per distruggere Robocop prima che questi, inavvertitamente, dia vita all’autoconsapevolezza di Skynet. Inutile dire che il piano verrà scoperto dai Terminator, che invieranno tre di loro nel passato per proteggere Robocop, considerato dai robot come una vera e propria divinità, il loro creatore. Robocop non sarà della stessa idea e comincerà una battaglia senza quartiere su più piani temporali.

Nonostante sia considerato un episodio minore nella carriera di Frank Miller, Robocop Vs Terminator è comunque una lettura interessante: abbandonata momentaneamente l’ambientazione noir tipica delle sue storie, lo scrittore del Maryland dimostra di considerarsi a suo agio anche con lo sci – fi e con i viaggi nel tempo, d’altronde già frequentati ai tempi di Ronin. Completamento ideale allo script di Miller sono i disegni di un Simonson in grandissimo spolvero, non lontano dai livelli della sua mitica run su The Mighy Thor: vero erede della lezione di Jack Kirby, Simonson stravolge i canoni tradizionali del disegno e realizza tavole che sono contraddistinte volutamente più da potenza e dinamismo che dal rispetto delle proporzioni, anticipando le estremizzazioni anatomiche della generazione successiva, quella di Todd McFarlane e Jim Lee. In Robocop Vs Terminator il disegnatore partecipa con gusto all’atmosfera da b-movie che pervade la saga, mostrandoci una serie di risse e scazzottate tra robot che raggiungono il culmine nella splash page dell’ultimo numero, raffigurante uno spettacolare scontro tra legioni di Robocop e Terminator.

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La Magic Press raccoglie i quattro capitoli della serie originale in un agile volumetto brossurato, con carta patinata che esalta i colori “rimasterizzati” da Steve Oliff. Il volume è corredato da una piacevole introduzione di Steven Grant, autore di Punisher per la Marvel, e da una carrellata di schizzi e pin-ups promozionali dell’epoca ad opera dei due autori.
Quindi perché leggere Robocop Vs Terminator? Perché oggi? Ve lo dirò senza tanti giri di parole: perché, come tutti i b-movies, è dannatamente divertente.

La rabbia della Pantera Nera

“Le acrobazie al limite dell’assurdo (dei suoi testi) mi entusiasmavano per le allusioni liriche e le immagini che suscitavano di uno scrittore visionario che gettava parole sulla carta come Pollock vi gettava colore. Nonostante il suo nome sia stato quasi del tutto rimosso dalla storia consacrata dell’evoluzione dei fumetti di supereroi, l’influenza di McGregor sulla nuova generazione fu immensa. Crebbi con il desiderio di diventare uno scrittore coerente con se stesso come Don.”  (Grant Morrison).

Lasciamo a Morrison, il geniale autore di Doom Patrol e Arkham Asylum, il compito di introdurre l’opera di uno scrittore quasi dimenticato ma esponente fondamentale di quel pool di talenti della macchina da scrivere che animò i testi dei comics della Marvel nei selvaggi anni ’70, facendo da ponte tra la generazione dei Stan Lee & Jack Kirby e quella dei revisionisti come Alan Moore e Frank Miller: nomi come Jim Starlin, Steve Englehart, Steve Gerber e, appunto, Don McGregor.

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McGregor arriva alla Marvel Comics nei primi anni ’70, quando nella casa editrice di Park Avenue South soffia il vento del rinnovamento. L’era di Lee e Kirby, i padri fondatori dell’universo Marvel di cui avevano tessuto le trame per quasi un decennio, è ormai giunta alla fine: Lee, lasciati gli script delle testate principali nelle mani del pupillo Roy Thomas, si dedica esclusivamente al ruolo di editore capo, mentre Kirby, deluso per il mancato riconoscimento del suo contributo nel successo della casa editrice, cede alle lusinghe della Dc Comics, per la quale firma un contratto in esclusiva e crea la Saga del Quarto Mondo. Tramontata quindi l’era dei padri, è tempo per una nuova generazione di farsi strada. I problemi non tardano ad arrivare per l’ottimo Thomas che, trovatosi a gestire contemporaneamente titoli storici come Amazing Spider-Man, Avengers, Fantastic Four e nuovi arrivati come Conan the Barbarian, si trova costretto a rimpolpare lo staff di autori. L'autore scova nel mondo delle convention e della fanzine un gruppo di giovani ed aspiranti sceneggiatori che, dopo un periodo di praticantato nello staff redazionale, avranno la loro occasione per mettersi in luce: Marv Wolfman, Len Wein e i già citati Englehart, Starlin, Gerber e McGregor.

In un primo momento a McGregor vengono assegnati incarichi da redattore e correttore di bozze, in attesa di un’occasione come sceneggiatore e questa arriva sotto forma di Jungle Action, testata contenitore di ristampe di fumetti anni ’50 ambientati nella giungla e a sfondo imperialistico. Si trattava di materiale dal contenuto datato e piuttosto razzista: venne deciso dunque di eliminarlo dalla rivista e sostituirlo con le nuove avventure della Pantera Nera, il sovrano del regno africano del Wakanda creato da Lee & Kirby sulle pagine di Fantastic Four e reduce da anni di militanza nei Vendicatori. La serie venne affidata a McGregor nello scetticismo generale: lo stesso editore considerava Jungle Action una serie minore, destinata alla chiusura. Fu proprio questa scarsa considerazione da parte delle alte sfere della casa editrice a lasciare grande libertà creativa a McGregor, ben felice di lavorare su un titolo considerato di seconda fascia e, quindi, meno soggetto alle maglie della censura. Jungle Action fu il veicolo perfetto per la personalità colta e anticonformista di McGregor: salito a bordo con il numero 6 della rivista lo scrittore, con la complicità di Rick Buckler e Billy Graham ai disegni, lanciò subito Re T’Challa del Wakanda, la Pantera Nera, in una appassionante saga in 13 parti dal titolo La Rabbia della Pantera, che Panini ristampa in uno splendido volume che raccoglie l’intera run.

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La storia inizia col ritorno di Pantera Nera nel Wakanda dopo la parentesi americana, e T’Challa si trova a fare i conti con una situazione politica ben diversa da quella che aveva lasciato. Il sovrano si trova costretto ad affrontare un fronte di tensione interno, con l’ostilità dichiarata nei suoi confronti da buona parte del suo popolo, che gli rinfaccia di averlo abbandonato; come se non bastasse deve affrontare la minaccia di Eric Killmonger, un pericoloso criminale che, facendo leva sulla perdita di prestigio di T’Challa agli occhi del suo popolo, scatena una terribile guerra civile allo scopo di rovesciare il regno della Pantera Nera e conquistare il trono. McGregor trascina la Pantera e il lettore in un vero e proprio cuore di tenebra mostrando l’orrore e la futilità della guerra: ma attraverso il resoconto della guerra civile wakandiana lo scrittore ci sta parlando in realtà del dramma della guerra del Vietnam, catastrofe che sta scuotendo in quel momento l’opinione pubblica americana. La posizione di McGregor nei confronti della guerra è netta: è una tragedia senza vincitori né vinti, capace solamente di procurare scempio di vite umane, in una spirale di violenza senza fine. Lo scrittore di Rhode Island anticipa di un decennio quel revisionismo della figura del supereroe di cui Alan Moore e Frank Miller saranno i campioni, mostrandoci un eroe dal costume lacero, incerto sul suo ruolo di sovrano, tormentato da un senso di inadeguatezza verso il suo popolo, dando vita ad un lavoro di decostruzione assolutamente inedito e rivoluzionario per l’epoca.

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McGregor parla per la prima volta in un comic book di argomenti complessi come il ruolo della donna nella società dell’epoca, attraverso la figura di Monica Lynne, la fidanzata americana di T’Challa che il popolo wakandiano guarda con sospetto poiché rappresentante di un’altra cultura; dei meccanismi della politica e del bivio davanti cui si trova un leader diviso tra la necessità dell’apertura al nuovo e tra quella di ottenere il consenso del suo popolo; introduce quelli che sono probabilmente i primi due personaggi gay in un fumetto mainstream, il carceriere Taku e il prigioniero Venomm, tra i quali nasce un sentimento di amicizia e profondo rispetto; ma soprattutto, per la prima volta, un fumetto mainstream propone un cast interamente black, per il rifiuto dell’autore di inserire personaggi o supereroi ospiti che non siano di colore. I testi di McGregor sono animati da una prosa ispiratissima, permeata di un lirismo letterario che non avrà eguali fino all’arrivo dei grandi sceneggiatori inglesi degli anni ‘80 (“Il Wakanda diventa uno sfondo palpabile, una tela che segna il percorso di un sole color rame, una mappa per uno zaffiro di mezzogiorno che flirta con gli alberi. Si tengono per mano, come a confermare l’esistenza concreta dell’altro”).

Lo splendido volume della Panini contiene anche l’altra saga scritta da McGregor, La Pantera contro il Klan, controversa storyline nella quale T’Challa si ritrova ad affrontare il Ku Klux Klan; McGregor, deciso ad affrontare un argomento spinoso come il razzismo radicato nella società americana, si attirò in questo caso le ire della dirigenza Marvel, che riteneva il riferimento diretto al Klan troppo rischioso. Lo scrittore riuscì ugualmente a realizzare episodi memorabili, come quello in cui il suo alter ego, il giornalista Kevin Trublood, si lancia in un’accorata difesa della libertà d’espressione. Purtroppo le scarse vendite, le polemiche sorte per lo scottante argomento razziale e la stanchezza di McGregor, afflitto da problemi di natura personale come la separazione dalla moglie, portarono alla chiusura di Jungle Action e lo scontro tra T’Challa e il Klan vide il suo epilogo solo anni dopo, per mano di altri autori.

Ad accompagnare i testi ispirati di McGregor in questa magnifica avventura della letteratura disegnata che è La Rabbia della Pantera troviamo inizialmente Rick Buckler, autentico jolly della Marvel anni ’70 su serie come Fantastic Four e Deathlok, sostituito dopo pochi episodi da Billy Graham che con le sue matite espressive e nervose riesce a trasmettere alla perfezione la tensione che attraversa tutta la saga lanciandosi anche in esperimenti alla Jim Steranko, unendo titolo delle storia e vignetta in un’unica, innovativa composizione.

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Una menzione speciale merita la consueta cura editoriale della Panini, che raccoglie La Rabbia della Pantera e La Pantera contro il Klan in una splendida edizione cartonata, corredata da una preziosa postfazione dello stesso McGregor. L’autore sarebbe tornato a raccontare le avventure della Pantera Nera dopo un decennio, con Panther’s Quest prima e Panther’s Prey dopo: aspettiamo con ansia che la casa editrice di Modena metta a disposizione dei suoi lettori una nuova edizione di questi gioielli perduti.

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