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Luca Tomassini

Luca Tomassini

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Star Wars: l'Impero a pezzi 1

Cresce l’attesa per l’arrivo nei cinema di tutto il mondo di Star Wars: Il Risveglio della Forza (in Italia dal 16 dicembre), il settimo capitolo della saga creata da George Lucas che vede alla regia J.J. Abrams (Lost e Star Trek). Fra le varie iniziative multimediali che ci accompagneranno fino all’uscita del film, la più significativa è senza dubbio la miniserie in 4 capitoli Journey to Star Wars: The Force Awakens – Shattered Empire, edita negli Usa da Marvel Comics e pubblicata per il mercato italiano da Panini Comics col titolo Star Wars: L’Impero a Pezzi.

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La recente cessione del marchio Lucasfilm alla Disney da parte del suo stesso fondatore ha consentito la realizzazione di una proficua collaborazione con la Marvel, acquistata anch’essa pochi anni fa dalla casa di Topolino e Co., rendendo possibile un’interessante e proficua sinergia tra cinema e fumetto. Subito dopo aver rilevato la licenza per la pubblicazione di fumetti ispirati alla saga di Lucas, detenuta dalla Dark Horse per più di 20 anni, la Marvel ha inondato il mercato di titoli ispirati alle Guerre Stellari: oltre alle serie ammiraglie Star Wars e Darth Vader, sono state pubblicate numerose miniserie dedicate a Princess Leia, Lando Carlissian, Chewbacca e ad altri. Ma il titolo più interessante e più atteso è senza dubbio questo Star Wars: L’Impero a Pezzi, che ha l’importante compito di collegare la trilogia classica col nuovo capitolo, mostrandoci cos’è successo dopo la conclusione de Il Ritorno dello Jedi e gli eventi che ci hanno portato a Il Risveglio della Forza.

L’albo si apre con la conclusione della Battaglia di Endor, con le forze ribelli che sferrano l’ultimo e decisivo attacco contro le forze Imperiali; mentre sulla Luna di Endor Han Solo, Leia e Chewbacca, con l’aiuto degli indigeni Ewoks affrontano le truppe imperiali allo scopo di distruggere lo scudo energetico che protegge la seconda Morte Nera, su quest’ultima Luke Skywalker sta affontando per l’ultima volta Darth Vader e l’Imperatore Palpatine: lo Jedi riuscirà ad avere la meglio sul malvagio Imperatore e a porre fino al suo regno di terrore solo grazie al ravvedimento di Vader, in realtà suo padre, che abbandona il Lato Oscuro della Forza, uccidendo l’Imperatore e riconciliandosi col figlio, subito prima di morire. Nello stesso momento i ribelli, guidati da Leia e Han sbaragliano le forze imperiali. La lunga guerra contro il malvagio Impero è terminata: le forze ribelli, esauste, possono tirare un sospiro di sollievo. Durante i festeggiamenti sulla luna ribella facciamo la conoscenza di Shara Bey, un’abile pilota di X-Wing che ha dato un contributo decisivo alla distruzione della seconda Morte Nera, e di Kes Dameron, soldato della squadra d’assalto di Han Solo, che ha partecipato alla battaglia di Endor: i due sono sposati e sognano un futuro di pace da vivere con la propria famiglia e il figlio Poe, affidato provvisoriamente ai nonni. Questo è il primo, importantissimo accenno a Poe Dameron, uno dei personaggi centrali de Il Risveglio della Forza, interpretato nel film da Oscar Isaacs. Purtroppo la pace dovrà attendere: quando Han Solo scopre che ci sono ancora delle sacche di resistenza Imperiale sull’altro lato della luna di Endor, Kes parte nuovamente in missione; a Shara nel frattempo viene assegnato l’incarico di scortare la Principessa Leia in missione diplomatica su Naboo, senza immaginare che il pianeta natale della Principessa sta per essere attaccato da uno Star Destroyer Imperiale, su ordine – postumo – dell’ormai defunto Imperatore.

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Ai testi di Star Wars: L’Impero a Pezzi troviamo il veterano Greg Rucka, con un curriculum importante sia presso Dc (Gotham Central, Wonder Woman) che Marvel (Punisher): lontano anni luce dalle atmosfere noir di Gotham Central e Punisher, Rucka mette il suo lavoro al servizio di una trama di più ampio respiro non limitandosi, però, a realizzare un lavoro di mero servizio ma  costruendo anzi una storia ricca di ritmo e pathos. Il tocco dello scrittore, particolarmente abile nel tratteggiare figure femminili (Renée Montoya in Gotham Central, Rachel Cole – Alves in Punisher) è evidente nella caratterizzazione del personaggio di Shara Bey: figura di soldato donna divisa tra dovere e famiglia, desiderio di pace e necessità di combattere, il Sergente Bey non potrà non diventare un beniamino del pubblico di Star Wars.

Rucka è coadiuvato ai disegni dall’italiano Marco Checchetto, che lo aveva già affiancato alle matite del suo acclamato ciclo di Punisher: Checchetto è a suo agio con spade laser e X-Wings tanto quanto lo era con le avventure urbane di Frank Castle, ed è abile sia nel coreografare combattimenti stellari tra caccia ribelli ed imperiali, sia nel tratteggiare situazioni più intime come le scene tra Kes e Shara sulla luna di Endor. Con tavole sempre più ricche di dettagli, Star Wars: L’Impero a Pezzi è un ulteriore passo avanti nel processo di maturazione del disegnatore italiano e probabilmente la sua consacrazione definitiva nello stardom del fumetto statunitense. La partecipazione alle matite di Angel Unzueta e Emilio Laiso nel secondo capitolo non compromettono la qualità generale e il risultato finale rimane piuttosto omogeneo.

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Star Wars: L’Impero a Pezzi viene presentato da Panini Comics in 2 albi brossurati prestige da 48 pagine, formato riservato alle produzioni di qualità che ha riservato non poche soddisfazioni alla casa editrice modenese.
L’appuntamento con il capitolo finale della saga è previsto per il mese prossimo, in tempo per arrivare preparati all’appuntamento con Il Risveglio della Forza.

RoboCop versus Terminator

Primavera 1992, Lucca Comics. Ho 15 anni e mi aggiro per gli stand della Fiera, a quel tempo ancora ospitata dal Palazzetto dello Sport, finché mi imbatto in un chiosco di comics in lingua originale. Neanche il tempo di mettermi a scartabellare tra gli albi che la mia attenzione viene colpita dal gigantesco poster che campeggia alle spalle del titolare dello stand: Robocop Vs Terminator. Frank Miller. Walter Simonson. Summer 1992. Nell’immagine promozionale un Robocop armato di pistola sferrava un gancio ben assestato ad un Terminator, subito prima di essere attaccato da un nugolo di altri robot assassini. Il giorno dopo, a chiusura fiera, chiedo al titolare del banco di poter acquistare il poster: con mia grande sorpresa me lo regala, aggiungendolo così al bottino di quella spedizione lucchese. Il poster raffigurante la potente illustrazione di Simonson avrebbe abbellito la mia stanza per un decennio… ma non sapevo che avrei letto quel fumetto così atteso solo 23 anni dopo! La miniserie di 4 numeri pubblicata dalla Dark Horse rimase infatti inedita per il mercato italiano nonostante il prestigio dei due autori coinvolti, e vede la luce solamente ora grazie al prezioso recupero della Magic Press.

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Sfogliare le pagine del volume significa riportare le lancette dell’orologio indietro ai primi anni ’90, contraddistinti da una situazione del mercato dei comics completamente diversa da quella attuale. Marvel e Dc versano in una grave crisi finanziaria e creativa, della quale approfittano piccole e agguerrite case editrici. Una di queste è la Dark Horse Comics, che in quegli anni sta ottenendo un inaspettato successo grazie alla sue trasposizioni a fumetti di celebri marchi cinematografici: al botto di Aliens Vs Predator del 1990 fa seguito l’anno successivo Star Wars: Dark Empire, la prima miniserie che la casa editrice dedica alla saga creata da George Lucas: la storia ottiene un consenso di pubblico clamoroso, tanto da dare vita al cosiddetto Expanded Universe, che amplia ed approfondisce su carta l’universo cinematografico di Luke Skywalker e soci.

Confortata dagli eccellenti dati di vendita, la Dark Horse pensa bene di proseguire sul solco già tracciato e acquisisce anche i diritti di altre due mitiche properties del cinema americano di quegli anni, decidendo di farli scontrare in una serie evento: Robocop Vs Terminator, appunto. La casa editrice di Portland decide di fare le cose in grande, coinvolgendo due numi tutelari assoluti del fumetto americano: Frank Miller ai testi e Walter Simonson ai disegni. Miller si è appena lasciato alle spalle un decennio, gli anni ’80,  per lui ricco di trionfi: Daredevil, Ronin, Dark Knight Returns, Elektra. Il nuovo decennio lo vede cimentarsi con opere ancora più sperimentali, sempre pubblicate dalla Dark Horse: è il momento di Give Me Liberty, Hard Boiled, e di una storia noir in bianco e nero pubblicata a puntate sull’antologico Dark Horse Presents, Sin City. Cosa spinge un autore alle prese con la fase più autoriale della sua carriera ad accettare un progetto così sfacciatamente commerciale come Robocop Vs Terminator? La voglia di rivincita, probabilmente. Come molti fan dell’epoca ricorderanno, Miller era stato ingaggiato per scrivere la sceneggiatura di Robocop 2 del 1990 ma il suo script era stato rimaneggiato da altri, finendo per dare vita ad un film mediocre, diretto dal poco ispirato Irvin Kershner. Deluso e amareggiato da questa esperienza, Miller giurò che non avrebbe mai più lavorato per Hollywood, salvo cambiare idea 15 anni dopo per la trasposizione cinematografica del suo Sin City.

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Miller coglie le analogie presenti nelle mitologie di Robocop e Terminator e le usa per costruire la trama. La storia comincia nel futuro dispotico della saga di Terminator, dove la resistenza umana guidata da John Connor ha fatto un’importante scoperta: Skynet, il sistema di difesa militare che si è rivoltato contro l’umanità sterminandola, ha sviluppato un’autocoscienza nel momento in cui è apparsa la prima sintesi di intelligenza umana e organismo cibernetico: il poliziotto Alex Murphy, alias Robocop. Una guerriera donna, Flo, viene incaricata da Connor di tornare indietro nel tempo per distruggere Robocop prima che questi, inavvertitamente, dia vita all’autoconsapevolezza di Skynet. Inutile dire che il piano verrà scoperto dai Terminator, che invieranno tre di loro nel passato per proteggere Robocop, considerato dai robot come una vera e propria divinità, il loro creatore. Robocop non sarà della stessa idea e comincerà una battaglia senza quartiere su più piani temporali.

Nonostante sia considerato un episodio minore nella carriera di Frank Miller, Robocop Vs Terminator è comunque una lettura interessante: abbandonata momentaneamente l’ambientazione noir tipica delle sue storie, lo scrittore del Maryland dimostra di considerarsi a suo agio anche con lo sci – fi e con i viaggi nel tempo, d’altronde già frequentati ai tempi di Ronin. Completamento ideale allo script di Miller sono i disegni di un Simonson in grandissimo spolvero, non lontano dai livelli della sua mitica run su The Mighy Thor: vero erede della lezione di Jack Kirby, Simonson stravolge i canoni tradizionali del disegno e realizza tavole che sono contraddistinte volutamente più da potenza e dinamismo che dal rispetto delle proporzioni, anticipando le estremizzazioni anatomiche della generazione successiva, quella di Todd McFarlane e Jim Lee. In Robocop Vs Terminator il disegnatore partecipa con gusto all’atmosfera da b-movie che pervade la saga, mostrandoci una serie di risse e scazzottate tra robot che raggiungono il culmine nella splash page dell’ultimo numero, raffigurante uno spettacolare scontro tra legioni di Robocop e Terminator.

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La Magic Press raccoglie i quattro capitoli della serie originale in un agile volumetto brossurato, con carta patinata che esalta i colori “rimasterizzati” da Steve Oliff. Il volume è corredato da una piacevole introduzione di Steven Grant, autore di Punisher per la Marvel, e da una carrellata di schizzi e pin-ups promozionali dell’epoca ad opera dei due autori.
Quindi perché leggere Robocop Vs Terminator? Perché oggi? Ve lo dirò senza tanti giri di parole: perché, come tutti i b-movies, è dannatamente divertente.

La rabbia della Pantera Nera

“Le acrobazie al limite dell’assurdo (dei suoi testi) mi entusiasmavano per le allusioni liriche e le immagini che suscitavano di uno scrittore visionario che gettava parole sulla carta come Pollock vi gettava colore. Nonostante il suo nome sia stato quasi del tutto rimosso dalla storia consacrata dell’evoluzione dei fumetti di supereroi, l’influenza di McGregor sulla nuova generazione fu immensa. Crebbi con il desiderio di diventare uno scrittore coerente con se stesso come Don.”  (Grant Morrison).

Lasciamo a Morrison, il geniale autore di Doom Patrol e Arkham Asylum, il compito di introdurre l’opera di uno scrittore quasi dimenticato ma esponente fondamentale di quel pool di talenti della macchina da scrivere che animò i testi dei comics della Marvel nei selvaggi anni ’70, facendo da ponte tra la generazione dei Stan Lee & Jack Kirby e quella dei revisionisti come Alan Moore e Frank Miller: nomi come Jim Starlin, Steve Englehart, Steve Gerber e, appunto, Don McGregor.

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McGregor arriva alla Marvel Comics nei primi anni ’70, quando nella casa editrice di Park Avenue South soffia il vento del rinnovamento. L’era di Lee e Kirby, i padri fondatori dell’universo Marvel di cui avevano tessuto le trame per quasi un decennio, è ormai giunta alla fine: Lee, lasciati gli script delle testate principali nelle mani del pupillo Roy Thomas, si dedica esclusivamente al ruolo di editore capo, mentre Kirby, deluso per il mancato riconoscimento del suo contributo nel successo della casa editrice, cede alle lusinghe della Dc Comics, per la quale firma un contratto in esclusiva e crea la Saga del Quarto Mondo. Tramontata quindi l’era dei padri, è tempo per una nuova generazione di farsi strada. I problemi non tardano ad arrivare per l’ottimo Thomas che, trovatosi a gestire contemporaneamente titoli storici come Amazing Spider-Man, Avengers, Fantastic Four e nuovi arrivati come Conan the Barbarian, si trova costretto a rimpolpare lo staff di autori. L'autore scova nel mondo delle convention e della fanzine un gruppo di giovani ed aspiranti sceneggiatori che, dopo un periodo di praticantato nello staff redazionale, avranno la loro occasione per mettersi in luce: Marv Wolfman, Len Wein e i già citati Englehart, Starlin, Gerber e McGregor.

In un primo momento a McGregor vengono assegnati incarichi da redattore e correttore di bozze, in attesa di un’occasione come sceneggiatore e questa arriva sotto forma di Jungle Action, testata contenitore di ristampe di fumetti anni ’50 ambientati nella giungla e a sfondo imperialistico. Si trattava di materiale dal contenuto datato e piuttosto razzista: venne deciso dunque di eliminarlo dalla rivista e sostituirlo con le nuove avventure della Pantera Nera, il sovrano del regno africano del Wakanda creato da Lee & Kirby sulle pagine di Fantastic Four e reduce da anni di militanza nei Vendicatori. La serie venne affidata a McGregor nello scetticismo generale: lo stesso editore considerava Jungle Action una serie minore, destinata alla chiusura. Fu proprio questa scarsa considerazione da parte delle alte sfere della casa editrice a lasciare grande libertà creativa a McGregor, ben felice di lavorare su un titolo considerato di seconda fascia e, quindi, meno soggetto alle maglie della censura. Jungle Action fu il veicolo perfetto per la personalità colta e anticonformista di McGregor: salito a bordo con il numero 6 della rivista lo scrittore, con la complicità di Rick Buckler e Billy Graham ai disegni, lanciò subito Re T’Challa del Wakanda, la Pantera Nera, in una appassionante saga in 13 parti dal titolo La Rabbia della Pantera, che Panini ristampa in uno splendido volume che raccoglie l’intera run.

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La storia inizia col ritorno di Pantera Nera nel Wakanda dopo la parentesi americana, e T’Challa si trova a fare i conti con una situazione politica ben diversa da quella che aveva lasciato. Il sovrano si trova costretto ad affrontare un fronte di tensione interno, con l’ostilità dichiarata nei suoi confronti da buona parte del suo popolo, che gli rinfaccia di averlo abbandonato; come se non bastasse deve affrontare la minaccia di Eric Killmonger, un pericoloso criminale che, facendo leva sulla perdita di prestigio di T’Challa agli occhi del suo popolo, scatena una terribile guerra civile allo scopo di rovesciare il regno della Pantera Nera e conquistare il trono. McGregor trascina la Pantera e il lettore in un vero e proprio cuore di tenebra mostrando l’orrore e la futilità della guerra: ma attraverso il resoconto della guerra civile wakandiana lo scrittore ci sta parlando in realtà del dramma della guerra del Vietnam, catastrofe che sta scuotendo in quel momento l’opinione pubblica americana. La posizione di McGregor nei confronti della guerra è netta: è una tragedia senza vincitori né vinti, capace solamente di procurare scempio di vite umane, in una spirale di violenza senza fine. Lo scrittore di Rhode Island anticipa di un decennio quel revisionismo della figura del supereroe di cui Alan Moore e Frank Miller saranno i campioni, mostrandoci un eroe dal costume lacero, incerto sul suo ruolo di sovrano, tormentato da un senso di inadeguatezza verso il suo popolo, dando vita ad un lavoro di decostruzione assolutamente inedito e rivoluzionario per l’epoca.

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McGregor parla per la prima volta in un comic book di argomenti complessi come il ruolo della donna nella società dell’epoca, attraverso la figura di Monica Lynne, la fidanzata americana di T’Challa che il popolo wakandiano guarda con sospetto poiché rappresentante di un’altra cultura; dei meccanismi della politica e del bivio davanti cui si trova un leader diviso tra la necessità dell’apertura al nuovo e tra quella di ottenere il consenso del suo popolo; introduce quelli che sono probabilmente i primi due personaggi gay in un fumetto mainstream, il carceriere Taku e il prigioniero Venomm, tra i quali nasce un sentimento di amicizia e profondo rispetto; ma soprattutto, per la prima volta, un fumetto mainstream propone un cast interamente black, per il rifiuto dell’autore di inserire personaggi o supereroi ospiti che non siano di colore. I testi di McGregor sono animati da una prosa ispiratissima, permeata di un lirismo letterario che non avrà eguali fino all’arrivo dei grandi sceneggiatori inglesi degli anni ‘80 (“Il Wakanda diventa uno sfondo palpabile, una tela che segna il percorso di un sole color rame, una mappa per uno zaffiro di mezzogiorno che flirta con gli alberi. Si tengono per mano, come a confermare l’esistenza concreta dell’altro”).

Lo splendido volume della Panini contiene anche l’altra saga scritta da McGregor, La Pantera contro il Klan, controversa storyline nella quale T’Challa si ritrova ad affrontare il Ku Klux Klan; McGregor, deciso ad affrontare un argomento spinoso come il razzismo radicato nella società americana, si attirò in questo caso le ire della dirigenza Marvel, che riteneva il riferimento diretto al Klan troppo rischioso. Lo scrittore riuscì ugualmente a realizzare episodi memorabili, come quello in cui il suo alter ego, il giornalista Kevin Trublood, si lancia in un’accorata difesa della libertà d’espressione. Purtroppo le scarse vendite, le polemiche sorte per lo scottante argomento razziale e la stanchezza di McGregor, afflitto da problemi di natura personale come la separazione dalla moglie, portarono alla chiusura di Jungle Action e lo scontro tra T’Challa e il Klan vide il suo epilogo solo anni dopo, per mano di altri autori.

Ad accompagnare i testi ispirati di McGregor in questa magnifica avventura della letteratura disegnata che è La Rabbia della Pantera troviamo inizialmente Rick Buckler, autentico jolly della Marvel anni ’70 su serie come Fantastic Four e Deathlok, sostituito dopo pochi episodi da Billy Graham che con le sue matite espressive e nervose riesce a trasmettere alla perfezione la tensione che attraversa tutta la saga lanciandosi anche in esperimenti alla Jim Steranko, unendo titolo delle storia e vignetta in un’unica, innovativa composizione.

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Una menzione speciale merita la consueta cura editoriale della Panini, che raccoglie La Rabbia della Pantera e La Pantera contro il Klan in una splendida edizione cartonata, corredata da una preziosa postfazione dello stesso McGregor. L’autore sarebbe tornato a raccontare le avventure della Pantera Nera dopo un decennio, con Panther’s Quest prima e Panther’s Prey dopo: aspettiamo con ansia che la casa editrice di Modena metta a disposizione dei suoi lettori una nuova edizione di questi gioielli perduti.

Incredibili Avengers 1 (25)

Tornano in edicola e in fumetteria le avventure degli Uncanny Avengers, la “Squadra Unione” fondata da Capitan America all’indomani del maxi evento Avengers Vs X-Men del 2012. La nuova stagione della serie, che può ancora contare sulla valida coppia formata da Rick Remender (testi) e Daniel Acuña (disegni), comincia la sua corsa dopo una pausa di 4 mesi, durante i quali i membri della Squadra Unione sono stati pesantemente interessati dagli eventi del crossover estivo Axis, modificandone per sempre lo status quo.

Uncanny Avengers è stata fin dal suo debutto una delle testate ammiraglie dell’Universo Marvel, che non ha tardato ad essere influenzato dalle labirintiche trame di un Remender in grandissimo spolvero. La prima stagione si apriva al termine dell’epico scontro tra Avengers e X-Men, nato da un inconciliabile contrasto fra i due gruppi circa la gestione della Forza Fenice, la forza cosmica primordiale con cui gli Uomini X avevano avuto già a che fare in quella celebre Saga di Fenice che è uno dei caposaldi assoluti della storia dei comics americani. Il conflitto tra Vendicatori e Mutanti reclama purtroppo la vita del fondatore degli X-Men, il Professor Charles Xavier, ma Capitan America decide di portare avanti il sogno di integrazione tra umani e mutanti tanto caro al Professore e a tale scopo crea una nuova squadra di Vendicatori che possa incarnare questo spirito di cooperazione: la cosiddetta “Squadra Unione”, costituita da membri celebri tanto degli Avengers quanto degli X-Men, e guidata dallo stesso Capitano Rogers.

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Troviamo così nello stesso gruppo pezzi da novanta come Thor, Wolverine, Scarlet Witch, Rogue, Wasp, e eroi che grazie alla cura Remender torneranno sotto i riflettori, personaggi cari ai fan di lunga data come Wonder Man, Sole Ardente e Havok, il fratello di Ciclope perennemente perseguitato da complessi di insicurezza che arriverà invece ad assumere la leadership del gruppo. Nonostante le buone intenzioni di partenza il gruppo non avrà vita facile, tra incomprensioni, vecchi risentimenti e nuovi amori. Remender imbastisce trame e sottotrame a lunga gittata, memore della lezione del grande Chris Claremont, e cattura l’attenzione del lettore con caratterizzazioni azzeccate: il risentimento di Rogue verso una Scarlet animata invece da un’insopprimibile ansia di riscatto, l’insicurezza strisciante di Havok, i peccati del passato di Thor e Wolverine che torneranno a perseguitare l’intero gruppo sotto le fattezze dei terribili Gemelli di Apocalisse… I 24 numeri della prima stagione sfociano nel maxi evento Axis, che vede il gruppo, accompagnato dal resto del Marvel Universe, affrontare la minaccia del redivivo Teschio Rosso.

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La seconda serie di Uncanny Avengers si apre dopo gli eventi di Axis e la Squadra Unione non è più quella che conoscevamo, segnata da avvenimenti drammatici: Wolverine è morto, Thor non è più degno del suo martello, Havok in seguito agli eventi di Axis ha assunto una personalità malvagia e ha rapito Wasp, scomparendo; come se non bastasse Steve Rogers ha perso il siero che lo rendeva giovane, costringendolo a cedere lo scudo a Falcon, Sam Wilson, che diventa così il nuovo Capitan America. A Scarlet e Rogue, uniche superstiti della squadra originale, si uniscono appunto il nuovo Capitano, Quicksilver, il gemello velocista di Scarlet, l’androide Visione, il mistico Dr. Voodoo e Sabretooth, la nemesi storica di Wolverine che durante Axis ha assunto un’indole benevola. L’albo inizia subito in medias res: la nuova squadra si è appena formata e già si lancia alla ricerca di Scarlet e Quicksilver, che sono scomparsi mentre cercavano la verità sulle loro origini. Sulle pagine di Axis, infatti, i due gemelli hanno fatto un’amara scoperta: non sono figli di Magneto come credevano, e come noi credevamo con loro, e probabilmente non sono nemmeno mutanti. Tutto quello che pensavano di sapere sul loro passato è una menzogna e i due decidono di recarsi sul luogo della loro infanzia, il Monte Wundagore, per cercare la verità. La Squadra Unione li raggiungerà nella loro destinazione finale, la Contro-Terra, e si scontrerà inevitabilmente col creatore di quest’ultima: l’Alto Evoluzionario.

Incredibili Avengers Stagione 2 presenta fin dall’inizio tutti gli elementi che hanno reso la prima serie una delle letture più godibili del parco testate Marvel oltre che un grande successo di pubblico e critica: Remender costruisce un nuovo gruppo nel quale vive però un’altra volta la tensione sotterranea dovuta a conflitti non risolti (vedi i due grandi “ex” Scarlet e Visione) e continua l’ottimo lavoro di caratterizzazione dei personaggi che aveva contraddistinto la prima serie, con i riflettori puntati in particolare su Rogue, diventata una dei leader del gruppo e non più l'anello debole della catena, e Sabretooth, nel ruolo inedito di “buono” suo malgrado. Rick Remender è prima di tutto un grandissimo fan e un attento conoscitore della continuity marvelliana e lo dimostra recuperando elementi classici del Pantheon marvelliano: se nella prima stagione c’era stato il ritorno di un villain classico come Kang il Conquistatore e personaggi di culto come Destino 2099, per la seconda stagione Remender recupera una classica minaccia come l’Alto Evoluzionario e la Contro-Terra, il pianeta artificiale da lui creato e in orbita dalla parte opposta del Sole. Ma la forza delle storie di Remender è nella capacità dello scrittore di imbastire e sviluppare trame e sottotrame, di piantare semi che germoglieranno nelle storie a venire, di sfruttare e padroneggiare tutte le possibilità narrative concesse dalla serialità: in questo lo sceneggiatore è forse uno dei pochi eredi del grande demiurgo delle serie mutanti degli anni 80, Chris Claremont.

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L’assoluta qualità del comparto grafico è garantita dalla conferma ai disegni di Daniel Acuña il talentuoso spagnolo che aveva ereditato le matite della prima serie da John Cassaday: le sue tavole sono dotate di uno stile plastico unico e grazie all’uso particolarmente abile della colorazione digitale l’artista spagnolo confeziona dei veri e propri dipinti.

In appendice all’albo ritroviamo anche le storie di Ms. Marvel di G. Willow Wilson e Adrian Alphona, serie dal successo inaspettato che è già un cult: le vicende di Kamala Khan, erede del titolo di Ms. Marvel appartenuto in precedenza a Carol Danvers e prima supereroina musulmana del Marvel Universe potrebbero anche rappresentare uno spaccato accurato della vita di una famiglia pakistana emigrata in America, se spogliate dall’elemento supereroistico. I testi della Wilson confezionano una serie di rara freschezza e delicatezza, riuscendo a dare vita a un personaggio che non può non fare breccia nelle preferenze dei lettori: le gioie e i dolori dell’adolescenza, il bisogno di trovare il proprio posto nel mondo, il tutto amplificato dalla difficile integrazione in un paese con abitudini diverse, rende Ms. Marvel una scommessa vinta e il miglior aggiornamento possibile ai giorni nostri della formula supereroi con superproblemi  che ha fatto la fortuna della Casa delle Idee. Completamento ideale ai testi della Wilson sono i disegni accurati di Alphona, che riescono a tradurre in immagini sia le vicende domestiche di casa Khan, sia le scene d’azione che non tardano ad arrivare.

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A conti fatti, Incredibili Avengers presenta due fra le serie migliori del panorama supereroistico statunitense ed è un appuntamento mensile che ogni vero Marvel fan non può lasciarsi scappare.

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