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Avengers: Senza Ritorno 1/6, recensione: il prosieguo di Senza Tregua

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L'anno scorso, il trio di sceneggiatori composto da Al Ewing, Jim Zub e Mark Waid ha sfruttato il rilancio editoriale del Marvel Legacy congegnato dall'ormai ex Editor-in-Chief della Casa delle Idee Axel Alonso per proporre una saga "blockbuster" chiamata Avengers: Senza Tregua, che è servita da trampolino di lancio non solo per due miniserie spin-off incentrate su Quicksilver (di Saladin Ahmed ed Eric Nguyen) e sull'Ordine Nero (di Derek Landy e Philip Tan), ma anche per una sorta di sequel spirituale intitolato Avengers: No Road Home, da noi adattato come Avengers: Senza Ritorno. Quest'ultima saga, pubblicata sotto le insegne di Panini Comics da luglio a settembre sulle pagine di sei spillati quindicinali disponibili sia per le edicole che per le fumetterie, vede all'opera gli stessi autori che ci hanno precedentemente presentato i fatti di Senza Tregua, ossia i già citati Ewing, Zub e Waid e l'artista Paco Medina, stavolta spalleggiato nel comparto grafico anche dal talentuoso Sean Izaakse, che ben presto vedremo all'opera sui Fantastici Quattro di Dan Slott.

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Il racconto in oggetto della nostra recensione non verte su un pericoloso gioco di proporzioni cosmiche con in ballo il destino della Terra come visto nel precedente Senza Tregua, di cui vengono peraltro ripresi alcuni fili lasciati in sospeso, ma decide invece di contrapporre i protagonisti a minacce inedite che affondano le loro radici nella mitologia greca. Stiamo parlando della Regina della Notte Nyx e delle sue quattro letali progenie, vale a dire il Dio del Sonno Hypnos, i gemelli Apate e Dolos, che rappresentano rispettivamente la frode e l'inganno, e Oizys, un'incarnazione di puro odio e sofferenza. L'obiettivo primario di questi antagonisti consiste nel ripristinare quell'Universo oscuro e silenzioso che imperava ancor prima che insorgessero le fulgide divinità dell'Olimpo e, per riuscirci, necessitano di ricomporre l'anima perduta di Nyx che è stata suddivisa da Zeus in tre frammenti d'ebano, che in qualche modo fungono da MacGuffin per l'intera esposizione. A doverli recuperare in questa specie di "caccia al tesoro" troveremo ovviamente anche un insolito manipolo di Avengers selezionato da Va Nee Gast - ovvero la figlia teleporta del Gran Maestro altrimenti nota come Voyager - una supereroina cruciale che ha esordito come fondatrice fittizia dei Vendicatori proprio in Senza Tregua.

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Protagonisti di questa vicenda sono membri iconici del team quali Occhio di Falco, Scarlet Witch, Visione, Ercole, Spectrum e Hulk, ma anche nuovi arrivati come l'ex componente dei Guardiani della Galassia Rocket Raccoon e, a gran sorpresa, Conan il Barbaro. Proveniente con furore dall'Era Hyboriana, il Cimmero uscito dalla penna di Robert E. Howard nel 1932 viene qui inserito a tutti gli effetti nell'estesissimo contesto dell'Universo Marvel e ha pure modo di confrontarsi più e più volte con differenti supereroi della suddetta casa editrice newyorkese. La sua inclusione nel racconto, pur risultando effettivamente un po' forzata, ha il pregio di fortificare maggiormente la componente fantasy dell'opera e fornire ai fan del personaggio un motivo più che valido per acquistarla. Oltretutto, le diverse peripezie che gli Avengers affrontano nel corso di No Road Home spingono gli scrittori a scavare a fondo nella continuity della Casa delle Idee e a riutilizzare creazioni che arricchiscono ulteriormente l'affresco da loro narratoci. Si tratta quindi di un fumetto ben orchestrato e farcito di rilevanti colpi di scena che, pur essendo perfettamente leggibile a sé - anche grazie alle note redatte dall'editor Aurelio Pasini e a gustosi contenuti extra - riuscirebbe a farsi godere appieno soprattutto se si dispone già dalla partenza di una buona infarinatura generale del mondo Marvel.

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La differenza sostanziale tra Senza Tregua e Senza Ritorno è di certo il numero di protagonisti messo in scena dai loro tre autori: se la prima delle due storie operava con un insieme di individui quasi impossibile da gestire, la seconda ha fortunatamente avuto modo di concentrarsi su un cast corale molto più ridotto e ben sfaccettato. Eppure, la struttura generale degli episodi è la stessa adottata per entrambe le saghe, dato che tutti gli albi tentano a poco a poco di approfondire i pensieri e i punti di vista di quanti più personaggi possibili, mettendo così in evidenza la voglia di riscatto di Ercole, l'ambiguità dell'Immortale Hulk, l'inadeguatezza di Occhio di Falco nel ritrovarsi faccia a faccia con divinità ultraterrene e, soprattutto, il dramma dell'essere umano condiviso da Visione e Spectrum: il sintezoide creato da Ultron dà significato alla sua esistenza "umana" attraverso i gravi danneggiamenti che lentamente lo condurranno alla morte, mentre l'alter ego di Monica Rambeau si ritrova alle prese con la convinzione di non essere più una persona comune ma con la possibilità di dover vivere in eterno a causa delle sue sempre più crescenti abilità superumane. Il tutto conduce poi a una conclusione metafumettistica che riesce a emozionare i grandi fan della Marvel, celebrando gli otto decenni compiuti esattamente quest'anno dall'editore. Proprio in questa sequenza finale, Izaakse riesce a dare il meglio di sé e a disegnare svariate versioni di popolari personaggi provenienti da ogni era. L'artista alterna tavole dalla struttura accademica ad altre ben più originali e ricercate e si fa notare per un grande estro e una notevole classicità, accentuata da un tratto morbido che definisce perfettamente le fattezze e le anatomie dei protagonisti.

Per ciò che concerne Paco Medina, il disegnatore si mantiene fedele alla propria riconoscibile impronta stilistica e, attraverso sinuosità di forme e ottime coreografie di scene movimentate, riesce a far apparire valente la propria prova al tavolo da disegno. Degne di nota sono anche le scene illustrate dal messicano Carlo Barberi per l'ottavo numero di No Road Home, dove - sebbene ricopra un ruolo da fill-inner - è comunque in grado di non spezzare la continuità artistica dell'intera storia e di trainare il lettore con uno storytelling piacevolmente scorrevole.

Insomma, Avengers: Senza Ritorno si dimostra un seguito più che valido di Avengers: Senza Tregua e ci consegna una trama complessiva che vanta perfino il pregio di aver rilanciato in grande un personaggio che soltanto negli ultimi anni è riuscito a tornare in carreggiata, Ercole, aprendo le porte a numerose storyline che verranno senz'altro trattate in futuro.

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Quattro ragazzini entrano in una banca, recensione: Heist comic a regola d’arte

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Partiamo dalla fine: vale la pena prendere questo fumetto? La risposta è: assolutamente sì. Eliminato l’elefante dalla stanza, possiamo adesso spendere due parole sul volume con tutta tranquillità.
Kieron Gillen ha sintetizzato nel miglior modo possibile Quattro ragazzini entrano in una banca: “Immaginate che Tarantino scriva e diriga I Goonies. E che lo faccia in maniera eccellente.”. Niente di più vero. Non parleremo della scia (già affrontata più volte) di opere che richiamano gli anni '80 e '90, esplosa da un po’ a questa parte, possiamo però dire che anch’essa si inserisce in quel filone. Cos’ha quindi questa storia da essere così bella? Ci arriviamo subito.

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I protagonisti sono un gruppo di ragazzini amanti dei giochi di ruolo in stile D&D, di videogiochi alla Double Dragon e giocattoli come He-Man o Power Rangers. Il padre di uno di essi, però, ha un conto in sospeso con una banda di criminali appena usciti da galera. L’incontro tra queste due fazioni genererà una serie di eventi che porterà ad avere una cosa in comune: una rapina in banca. Potremmo tranquillamente dire che non ci sia nulla di nuovo in queste premesse, opere recenti come Stranger Things o Paper Girls si basano su eventi di ragazzini che devono affrontare cose al di là della loro portata, eppure negli USA la critica non ha dubbi: questa è una delle migliori produzioni del 2017. Senza spoilerare possiamo dire che da queste premesse Matthew Rosenberg e Tyler Boss dipanano una vicenda ricca pathos e dalla grande freschezza narrativa.

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L’accostamento del genere crime e del caper/heist diversificano l’opera da altre donandole una luce differente. La sceneggiatura di Rosenberg è solida e articolata, l'autore gestisce ottimamente i momenti drammatici con quelli divertenti, rendendo il tutto molto equilibrato e mai noioso. I temi trattati sono vari, creando più livelli di lettura e, di conseguenza, più profondità. Si spazia dall’amicizia, al senso della famiglia e del dovere, fino ai concetti di giusto e sbagliato morale (e penale). Il carattere e l’indole di ogni ragazzino è stereotipico del genere ma non stereotipato. C’è la ragazza ribelle, il ragazzo timido e introverso, il combinaguai e quello razionale e giudizioso, tuttavia nessuno di essi appare scontato scontato, anzi, Rosenberg li tratteggia in maniera sottile e li sfuma egregiamente. Il focus è sulle interazioni del gruppetto, come giusto che sia, ma la caratterizzazione dei personaggi secondari non è lasciata al caso o tenuta in maniera superficiale. Il padre di Paige, per esempio, è strutturato perfettamente e prende lo spazio necessario, pur non apparendo spessissimo. Il fulcro drammatico è dato proprio dal rapporto dell’uomo con la figlia. La maestria di uno sceneggiatore è proprio quella di sintonizzare il lettore ad un personaggio, seppur in pochi dialoghi.

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Merito della riuscita del volume va a Tyler Boss, perché senza la strutturazione delle tavole, così particolari e ricercate, probabilmente questo fumetto non avrebbe avuto lo stesso successo e la stessa potenza espressiva. Inquadrature perpendicolari nella stanza, le trovate in stile David Aja in Occhio di Falco, due tavole da 24 vignette l’una per una scena di comunicazione via radio, sono solo alcune delle soluzioni registiche del disegnatore. Alcune scene d’azione ricordano invece il lavoro di Wes Craig in Deadly Class, quando preme l’acceleratore per dare cardiopalma al lettore. Tutto in funzione della narrazione, sfruttando completamente le peculiarità del medium.

Particolarmente interessanti sono gli inizi dei capitoli. Ognuno di esso è ambientato in un “mondo di fantasia” dei ragazzi, ad esempio la partita a D&D dove ognuno di essi è un personaggio (drago, guerriero etc). Mentre giocano, visivamente vediamo vignette con draghi e guerrieri da loro interpretati: litigando nella realtà fanno discutere i loro avatar creando così due livelli di narrazione sovrapposti.

L’edizione della Panini Comics è sublime. Uno splendido cartonato 18x28 che contiene anche tutte le cover variant che riprendono locandine di film come Fargo, Le Iene, Ocean’s Eleven e molte altre ancora, rielaborate con i personaggi del fumetto.

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Marvel Integrale proporrà il ciclo di Amazing Spider-Man di David Michelinie e Todd McFarlane

  • Pubblicato in News

Mentre gli X-Men di Chris Claremont proseguono la sua corsa, con la fine del Daredevil di Frank Miller Panini Comics ha oggi annunciato su Facebook il nuovo ciclo di storie che proporrà nel formato "bonelliano" Marvel Integrale.
Si tratta dell'Amazing Spider-Man di David Michelinie e Todd McFarlane di fine anni '80 con l'Uomo Ragno che indossa il suo costume nero.

Panini Comics ha, qualche anno fa, proposto questo ciclo in formato omnibus. Al momento non abbiamo informazioni sul numero di albi che comporranno la serie, per ulteriori dettagli dovremo attendere Lucca Comics & Games o il prossimo Anteprima.

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Jupiter's Circle, recensione: la Silver Age secondo Mark Millar

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A poche settimane dalla pubblicazione italiana di The Magic Order, Mark Millar è tornato in fumetteria con Jupiter’s Circle, un bel volume cartonato di quasi 300 pagine, dove Panini Comics ha raccolto le due, omonime, miniserie, uscite negli USA tra il 2015 e il 2016, in cui l’autore scozzese ha voluto raccontare la giovinezza di quegli eroi invecchiati e disillusi, che avevamo conosciuto nella precedente Jupiter’s Legacy. Per fare questo, Millar reinterpreta a modo suo la Silver Age dei comics, immaginando l’America di fine anni Cinquanta e primi anni Sessanta, non più come un paese preso a modello per i suoi valori e popolato da infallibili eroi senza macchia e senza paura (che erano tornati a riempire le pagine di gran parte dei fumetti dell’epoca), ma piuttosto come una nazione ancora impreparata a diventare la prima potenza mondiale e, per questo, piena di contraddizioni, dove anche i pochi che possiedono super-poteri, sono tutt’altro che privi di difetti. Ancora una volta, l'autore scozzese ci racconta di esseri semi-divini, che invece di elevarsi al di sopra di tutti gli altri, tradiscono, di continuo, la propria umanità. Essere capaci di volare o poter leggere nelle menti altrui non sono qualità che rendono immuni dalle debolezze delle persone comuni e persino lo stesso Utopian (il cui nome è già una dichiarazione di intenti) fallisce proprio per essere la personificazione della perfezione. Ogni aspetto della sua vita viene pianificato per rendere quella del resto della popolazione mondiale la migliore possibile.

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Il motto “da grandi poteri, derivano grandi responsabilità”, che per Spider-Man è un monito continuo a non usare le sue abilità ragnesche per i propri interessi, per Utopian diventa quasi l’unica ragione della sua esistenza. Essere sempre al servizio degli altri e credere di fare in ogni momento la cosa giusta, sono, tuttavia, due atteggiamenti che non gli permettono di ascoltare punti di vista diversi dal suo, edi comprendere le ragioni di chi non la pensa come lui. E più che i primi dissidi con suo fratello Brainwave (solo un preludio alle terribili conseguenze future, già note da Jupiter’s Legacy), è l’evoluzione di Skyfox a evidenziare in maniera chiara le contraddizioni del suo modo di agire. La decisione di rimanere a tutti i costi neutrale rispetto alle decisioni del governo, confidando che queste vengano sempre prese nell’interesse del popolo, è soltanto l’estrema dimostrazione di fedeltà ai suoi ingenui principi. Un’illusoria visione del mondo che lo condiziona a tal punto, da arrivare a far finta di non vedere gli evidenti errori commessi da tutte le nazioni del pianeta. E non è un caso che sia proprio Skyfox a rappresentare il punto di vista opposto. Il suo essere così insofferente alle regole e il suo carattere impulsivo, lo portano rapidamente a contestare gli ideali del suo leader e, complice anche una cocente delusione d’amore, a riconsiderare la sua vita ,schierandosi al fianco delle persone più deboli o in difesa delle vittime delle azioni più discutibili promosse dal governo americano (anche a costo di diventare un fuorilegge).

Sembra, quasi, di rivivere lo scontro tra Iron Man e Capitan America in Civil War (uno dei più grandi successi creativi ed editoriali di Millar). Anzi, a dirla tutta, già in Jupiter’s Legacy era possibile intravedere qualcosa di simile: in quel caso era Utopian il “Capitan America” della situazione, l’eroe fedele ai propri valori, che soccombeva di fronte alla folle presunzione di Brainwave. Mentre in Jupiter’s Circle si ha un totale ribaltamento delle parti: Utopian diventa “Iron Man”, il paladino del governo pronto a dare la caccia a Skyfox/Capitan America, solo perché quest’ultimo ha deciso di contestare platealmente le scelte più opinabili prese dal suo paese. Ma prima di arrivare a questo, che, se vogliamo, è un po’ l’essenza del Millar-pensiero, all’inizio l’autore scozzese si limita semplicemente a mostrare i tanti vizi e le poche virtù di questi presunti paladini della giustizia. Sebbene i membri dell’Unione siano chiaramente ispirati alla Justice League, infatti, a Millar interessa poco descrivere le loro gesta eroiche (che, per questo motivo, rimangono quasi sempre sullo sfondo), ma piuttosto quello che si nasconde dietro di esse: Skyfox è un ubriacone, Flare tradisce la moglie con una diciannovenne e gli altri sono o, banalmente, troppo irascibili, oppure gelosi del successo altrui. Semplici esseri umani, che devono andare a letto presto, perché i loro bambini non li fanno dormire la notte, o che non riescono neppure a resistere a piccoli vizi come il fumo (mai si sono visti tanti super-eroi con in mano una sigaretta).

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Millar, inoltre, non manca di lanciare le sue consuete stoccate agli aspetti più controversi della società americana: dopo un inizio apparentemente tranquillo, infatti, ci mostra Blue Bolt fare il possibile per apparire come un playboy impenitente, ma solo per celare a tutti la propria omosessualità. Nell’America perbenista di fine anni Cinquanta, una cosa del genere doveva rimanere un segreto e l’autore scozzese è abilissimo ad accomunare la situazione dell’eroe a quella di tanti divi del cinema dell’epoca costretti per anni a nascondere il proprio orientamento sessuale dietro matrimoni di comodo. A Millar, però, non basta trovare un parallelismo con l’ipocrisia di Hollywood per esprimere a chiare lettere il suo messaggio, quindi la vita privata di Blue Bolt diventa anche un escamotage per criticare violentemente un aspetto ancora peggiore degli Stati Uniti di quel periodo: il tentativo di ricatto di Edgar J. Hoover, allora onnipotente direttore dell'FBI, infatti, ricorda tristemente i numerosi tentativi dell’élite al potere di limitare la privacy e la libertà di pensiero dei cittadini americani.

Se le debolezze degli altri, però, possono solo portare a un danno per sé stessi, per Brainwave la situazione è differente. Millar non prova praticamente mai a giustificarlo. Accecato dal suo evidente complesso di inferiorità nei confronti del fratello, ma anche dalle continue mortificazioni che deve subire dall’immaturo e vanesio Skyfox, il personaggio manifesta più di una volta la sua volontà di ergersi al di sopra degli altri, così come non si fa nessuno scrupolo a manipolare le persone per raggiungere i suoi fini. Inoltre, è così forte il desiderio di Millar di dipingerlo come una persona moralmente discutibile, che, a volte, i dialoghi in cui lo coinvolge sono decisamente forzati (si veda, per esempio, il passaggio in cui gli fa esternare i suoi dubbi sull’avere in squadra un omosessuale). Questo eccesso di manicheismo e qualche rappresentazione un po’ troppo stereotipata di personaggi realmente esistiti (su tutti, gli esponenti della Beat Generation) sono, probabilmente, gli unici difetti attribuibili ai suoi testi, per il resto sempre molto convincenti, sia nel tratteggiare l’estrema fragilità dei vari protagonisti, che nella perfetta ricostruzione storica.

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Non si può dire altrettanto del comparto artistico, soprattutto considerando che Jupiter’s Legacy poteva vantare i disegni di un fuoriclasse come Frank Quitely (qui, purtroppo, autore solo delle belle copertine dei primi sei episodi). Sicuramente un’opera del genere sarebbe stata perfetta per il compianto Darwyn Cooke, il cui tratto ben si sarebbe adattato alla rievocazione dell’America dei primi anni Sessanta (basta sfogliare la sua bellissima The New Frontier, per rendersene conto). Invece, i vari Wilfredo Torres, Davide Gianfelice, Chris Sprouse, Ty Templeton e altri ancora, pur cercando di imprimere nei loro disegni l’atmosfera retro voluta da Millar, raramente riescono nell’impresa. Quello che ha sorpreso maggiormente in negativo è stato Chris Sprouse, che altre volte aveva mostrato di essere proprio l’autore giusto per operazioni di questo tipo (ne è un esempio il Tom Strong di Alan Moore). Forse le chine di Walden Wong sono state determinanti al risultato finale, ma sta di fatto, che si fa veramente fatica a riconoscere lo stile lineare e pulito di Sprouse nelle tavole a lui attribuite. Anche un disegnatore meno quotato come Wilfredo Torres ha fatto di meglio in altre occasioni (recentemente lo si è visto all’opera, con esiti ben diversi, su Quantum Age, spin-off di Black Hammer). Tutti i disegnatori coinvolti, insomma, sembrano quasi più interessati a conservare un’omogeneità nel tratto (probabilmente per non confondere i lettori), che a preservare il loro stile. Quello che alla fine ottengono, però, è un insieme di vignette poco dinamiche e povere di dettagli, con l’aggravante di mostrare spesso personaggi un po’ inespressivi.

A ogni modo, disegni a parte, Jupiter’s Circle resta un ottimo fumetto: Millar riesce a scrivere, per l’ennesima volta, una storia di super-eroi imperfetti e problematici, senza dare quasi mai l’impressione di raccontare cose già viste. Speriamo solo di poter leggere, prima o poi, Jupiter’s Requiem, il più volte annunciato finale della saga, di cui al momento, sembrano essersi perse le tracce.

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