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Valerio Coppola

Valerio Coppola

Moving Pictures

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Quando arriva la guerra travolge tutto quello che trova; non c’è brandello della vita umana che venga risparmiato o salvato, ogni cosa è presa in mezzo ai fuochi del conflitto.

Durante la Seconda Guerra Mondiale, Parigi è un trofeo revanscista per i nazisti. L’occupazione della capitale francese è densa di storia e significati, e la sua umiliante punizione passa anche per la spoliazione dell’immensa ricchezza artistica conservata nei suoi musei. In particolare, i nazisti sono interessati a quelle opere che considerano legate alla grandezza del loro popolo, considerando le altre poco più che scarti. A osservare questa allegoria del conflitto che si tiene nelle sale dei musei è Ila Gardner, studentessa canadese giunta in Francia proprio per far pratica sulla cura museale. La ragazza, tuttavia, è tirata in mezzo a questo conflitto anche per via della relazione che instaura con il funzionario tedesco preposto a individuare e recuperare le opere: e per via di questo rapporto, Ila si troverà a dover decidere se fuggire dal mondo e dalla storia come un quadro dimenticato in qualche magazzino, oppure restare ed esistere.

Kathryn Immonen imposta tutto il racconto su una grande allegoria: il racconto della guerra non è mai diretto ed esplicito, ma passa sempre attraverso le vicende delle opere d’arte al centro della disputa. Sono queste opere a rappresentare l’umano sconvolto dalla guerra, catalogato e spostato come si trattasse di semplici pacchi, a dispetto di tutta la profondità che l’arte si porta dietro. D’altra parte, la scelta di far passare tutto il racconto attraverso queste opere si rispecchia nel fatto che i riferimenti alla guerra, al nazismo, alle deportazioni, ecc., non sono mai nominali, rimangono sempre evocati, sullo sfondo.
Altrettanto fa ai disegni Stuart Immonen, evitando di illustrare scene di guerra, divise naziste o svastiche: la guerra si intuisce, ma non è mai nominata o rappresentata. Il dramma del conflitto è tutto condensato nella vicenda di queste immagini e figure spostate da un contendente all’altro, immagazzinate, svilite.

La chiave allegorica torna anche nelle illustrazioni, laddove Immonen adotta un tratto sporco e dettagliato nella raffigurazione delle opere d’arte, a fronte di un segno molto stilizzato quando si tratta di ritrarre le scene e i personaggi della storia: in tal modo, sembra quasi che queste opere siano più reali del loro contesto, e ciò ben si sposa con la scelta di renderle la vera chiave interpretativa del conflitto.
Così, la catalogazione degli oggetti artistici contenuti nel museo, il loro trasferimento e il loro destino più o meno fortunato, diventano metafora delle mille vicissitudini che gli uomini attraversano nella guerra, o anche semplicemente in una vita che spesso dimentica la loro unicità. E posta di fronte a questa consapevolezza, anche Ila dovrà trarne le conseguenze.

Con una narrazione dai ritmi rilassati e senza particolare enfasi, la scrittrice imposta una storia dal sapore quasi onirico, nel suo essere lontana dal clamore della guerra che è pur sempre il suo contesto. I dialoghi rimangono ricchi di sottintesi, di frasi lasciate in sospeso e di silenzi pieni di significato, quasi l’autrice volesse spingere il lettore a integrare la narrazione con le sue sensazioni.
Alle matite, il marito non è da meno, procedendo con uno storytelling lineare e semplice. Il tratto essenziale rende la tavola nel suo complesso molto pulita, ma l’apparente semplicità dell’accostamento di luci e ombre nette è senza dubbio ricavato “per semplificazione” da un lavoro preliminare molto più elaborato e dettagliato.

Moving Pictures è insomma un’opera all’apparenza molto semplice e ai limiti dell’innocuo, ma che nasconde in realtà un potenziale che sta solo al lettore ricavare, strato dopo strato.
Formato compatto e buona qualità di stampa rendono positivo anche il giudizio sulla cura editoriale.

La banale bidimensionalità del 3D

  • Pubblicato in Focus

“Thor”, “Captain America: The First Avenger”, “Green Lantern”, “Conan”, “The Amazing Spider-Man”, “The Avengers”. Tutti questi film hanno tre cose in comune: sono tratti da (o hanno a che fare con) i fumetti; usciranno nei prossimi due anni; li vedremo in 3D. Dei numerosi film fumetto del prossimo biennio, solo “X-Men: First Class”, “The Dark Knight Rises” e “The Man Of Steel” non vanno inclusi nella lista del 3D (anche se per Superman non è ancora detta l’ultima). È quindi evidente che il discorso sul 3D diventa interessante anche per l’orizzonte limitato delle nostre pagine, e ci spinge ad alcune riflessioni.

Se, come dicono, il 3D è l’avanguardia cinematografica, il “nuovo che avanza”, siamo di fronte a un’ulteriore (per quanto superflua) riprova di come i film fumettistici siano un prodotto su cui Hollywood sta ampiamente scommettendo: il 3D in questo momento è applicato alle pellicole da cui ci si attende incassi più alti, dunque la sua presenza può essere un indicatore della fortuna (attesa) di un determinato film. E in questo caso indica, visto il “dato aggregato”, la fortuna di un determinato genere.
Già in queste veloci osservazioni preliminari, tuttavia, balzano all’attenzione due elementi che sarebbe bene approfondire.

In primo luogo è innegabile come negli ultimi anni l’affermazione del 3D abbia avuto un’origine di tipo più che altro economico. Questa tecnica non è certo una novità: film in 3D sono stati realizzati a partire dagli anni ’50, e poi a ondate nei decenni successivi sono tornati al cinema, senza mai riuscire a imporsi come invece pare stia accadendo adesso. Perché? Può il motivo risiedere nel fatto che ora il 3D offra allo spettatore una visione più realistica rispetto agli ultimi sessant’anni? Per escludere una spiegazione del genere basta muoversi sul piano della semplice logica: se così fosse, non si spiegherebbe perché ogni altra tecnica cinematografica (dal montaggio al sonoro, dall’alta definizione alla CGI) sia stata introdotta subito e abbia poi, gradualmente e in itinere, seguito un processo di miglioramento, invece di essere applicata solo una volta raggiunto un livello di resa soddisfacente.
La ragione potrebbe allora essere cercata, magari, dal lato della domanda. Vale a dire: oggi il pubblico vuole il 3D, mentre ieri non lo voleva. Tesi un po’ difficile da sostenere, se non altro per la mancanza di una qualsivoglia evidenza in suo supporto. All’opposto, alcuni segnali provenienti dal mercato (come la vendita in scala tutt’altro che esaltante di apparecchi TV con 3D integrato) testimoniano un entusiasmo piuttosto scarso da parte dei consumatori/spettatori rispetto alla proiezione o trasmissione stereoscopica.
Se non è la qualità della tridimensione né la domanda del mercato, non rimane che guardare all’offerta: c’è una ragione evidente per cui le major cinematografiche dovrebbero spingere il 3D, fino a farlo dilagare come è avvenuto negli ultimi anni? La ragione c’è, e come anticipavamo è di tipo fondamentalmente economico: allo stato attuale, il 3D consente margini di guadagno che non consentiva negli anni ’50, né nei decenni successivi. E la causa di questo non sta nel prezzo più alto del biglietto che ci troviamo a pagare al cinema: questo casomai è un effetto. Il vero motivo è invece dal lato dei costi di produzione, che negli ultimi anni si sono sensibilmente abbassati: non per gli sviluppi della tecnologia 3D in sé, quanto piuttosto per l’introduzione di una tecnologia complementare, ovvero i metodi di ripresa digitale. Per certi versi, allora, il discorso si rovescia e il 3D diventa esso un grimaldello, uno strumento usato dalle major per incentivare l’uso dei metodi di ripresa digitale, e non viceversa.

3d_avatarQuesto ci porta a toccare il secondo punto: in che senso il 3D è l’avanguardia del futuro cinematografico? Stiamo parlando di un’innovazione che introduce un maggiore spessore artistico, o solo di una masturbazione sensoriale da infilare in qualunque film purché sia? Come già accaduto per le due grandi innovazioni precedenti, ossia sonoro e colore, tutto dipende da come la tecnica viene applicata. Certo, a guardare il film portabandiera del 3D, “Avatar”, l’impressione è piuttosto mediocre, la tecnica è usata per rendere il film “bombastico” senza nulla aggiungere in termini espressivi o artistici (aspetti per altro già carenti nel film, e forse in questo senso il 3D serve da distrazione rispetto alla nullità). In altre parole, raramente la tridimensionalità è stata usata con intelligenza artistica, convertendosi invece in un semplice strumento che con tutto il suo fulgore, non dice niente: un sintomo è la (quasi) totale assenza del 3D in film che non siano d'azione, a indicare, per pura esclusione, l'unica funzione con cui l'industria sta guardando a questa tecnica. Una funzione non certo espressiva.
Sotto questo profilo si impone per altro un ragionamento più sottile. Non va sottovalutato il fatto che l’uso del 3D imponga anche precise limitazioni tecniche in altri aspetti del processo di realizzazione di un film. Il principale è senza dubbio la necessità di utilizzare una tavolozza di colori brillanti, evitare tonalità scure, ecc., pena una riuscita non ottimale dell’effetto tridimensionale. Ma limitarsi in queste direzioni incaponendosi a voler utilizzare il 3D può presentare notevoli svantaggi proprio rispetto al piano artistico, espressivo e autoriale della pellicola. Si pensi solo a cosa può voler dire per la fotografia non poter utilizzare un determinato range di tonalità. Per esempio, questa è stata la ragione per la quale Christopher Nolan si è nettamente rifiutato di girare il prossimo Batman in 3D, come gli era stato richiesto dallo studio: ciò avrebbe comportato l’impossibilità a usare una fotografia cupa, scura, arrivando in un certo senso a snaturare il personaggio stesso e il suo mood. La scelta di Nolan, anzi, va nella direzione opposta di esaltare il dettaglio scommettendo sulla ripresa IMAX per l’alta definizione, muovendosi per certi versi controcorrente rispetto alle spinte delle case cinematografiche (per altro i costi di produzione in IMAX sono nettamente superiori).
In questo caso si è privilegiato un ragionamento attento alla qualità, in tante altre occasioni ciò non è accaduto. Anzi, ad oggi risultano tantissimi casi di film nati per il 3D, e nessun caso di 3D usato per un film: in altre parole il 3D non è mai stato usato come strumento per aggiungere davvero qualcosa all’esperienza cinematografica (al di là di un po’ di adrenalina); non è mai stato applicato per servire la narrazione di un film. Alcuni film invece sono stati realizzati per servire il 3D, rivelando poi la loro povertà sostanziale.

Infine, va considerato un piccolo effetto perverso nella spinta che le case di produzione stanno imprimendo al 3D, e proprio a dimostrazione che la sua fortuna poco ha a che fare con la domanda che viene dal pubblico. Come in molti avranno notato, e con sempre maggior frequenza (soprattutto fuori dalle grandi città), quando al cinema viene presentato un film in 3D quasi mai è data la possibilità allo spettatore di scegliere di vedere lo stesso film in 2D. E appunto, stiamo parlando di film nei quali la tridimensionalità non è certo coessenziale al godimento della storia, mentre gli ampi incassi permetterebbero in tutta tranquillità di dedicar loro una seconda sala in bidimensione. Ma l’aspetto divertente di questa corsa forsennata è che probabilmente le major e gli esercenti non si rendono conto che così facendo rischiano di perdere fette di pubblico: gli “antipatizzanti” del 3D sono una nutrita schiera, e non è raro sentire qualcuno vagamente interessato a un film che però rinunci a vederlo perché costretto a inforcare l’occhiale stereoscopico. Certo non parliamo di dati statistici, ma basta tendere l’orecchio per farsi un’idea.

L’auspicio (da appassionati), allora, è in primo luogo che torni un’attenzione alla qualità del prodotto: che non significa una tensione e una ricerca continua del capolavoro assoluto, quanto piuttosto uno sforzo a produrre prodotti divertenti e appassionanti per il pubblico. Se per uno spettatore ciò significa immergersi in una visione 3D, è giusto che possa farlo; ma se per un secondo spettatore ciò significa vedere quello stesso film senza la “distrazione” di un tridimensionale a suo giudizio superfluo, anche questo deve avere la possibilità di scegliere. Tenendo sempre presente l'importanza, comunque, di non affidarsi solo alla spettacolarità del 3D.
Il che ci porta anche a un auspicio, ovvero che il 3D possa davvero maturare, una volta passata la sbornia: che possa cioè rientrare a pieno titolo tra le innumerevoli tecniche cinematografiche che è possibile scegliere e usare (o non usare) a seconda di ciò che si vuole comunicare e di come lo si vuole comunicare. Cosa che attualmente non è. Un 3D maturo, insomma, non è più un banale adesivo da appiccicare sul prodotto per renderlo più accattivante: rispetto a questo, non c’è niente di più bidimensionale.

Recensione: The Losers (Blu-ray Disc)

  • Pubblicato in Screen

The Losers (Blu-ray) – di Sylvain White, con Jeffrey Dean Morgan, Zoë Saldana, Idris Elba, Chris Evans, Columbus Short, Oscar Jaenada, Jason Patric. Warner Bros., 2010.

Il filmlosersbluray

Un gruppo d’élite delle forze speciali dell’Esercito degli Stati Uniti è mandato in missione in Bolivia per eliminare un uomo nel mirino della CIA. Durante la missione, però, qualcosa va storto, e gli uomini entrano in conflitto con il comando, che dà l’ordine di eliminarli una volta compiuta la missione. Scampati all’esecuzione, i cinque vengono creduti morti e rimangono nell’anonimato, finché una donna misteriosa offre loro la possibilità di redimersi agli occhi del mondo, e al contempo prendersi la loro giusta rivincita su Max, il pezzo grosso della CIA che li aveva incastrati. Il gruppo torna dunque con la donna negli States per boicottare il piano di Max e riprendersi la propria vita.
La pellicola diretta da Sylvain White, e tratta dalla celebre serie Vertigo di Andy Diggle e Jock, è un onesto film d’azione dalla trama non particolarmente originale, ma raccontata in maniera divertente e con ritmo. Il maggior pregio di The Losers sta infatti nella capacità di non far mai calare la tensione e il livello di adrenalina, complici anche scelte registiche intriganti e non ripetitive. La mano di White è infatti uno degli elementi che senza dubbio fanno di questo film il prodotto gustoso che è; tempi narrativi azzeccati, ritmo sostenuto, ironia di sottofondo, inquadrature ricercate, colori ricchi e sgargianti, soluzioni sceniche ardite: tutto ciò fa sì che lo spettatore non si annoi per un attimo e che anche le scene d’azione più roboanti ed esplosive non risultino (a differenza di tanti altri film) inutili fuochi d’artificio. White riesce insomma a far scivolare via in maniera frenetica e divertente un’ora e quaranta di film in cui, tutto sommato, la storia non ha poi troppo da dire, con un risultato finale piuttosto apprezzabile.
Buono anche il casting, con attori che si ritrovano nei panni di personaggi dai caratteri non particolarmente approfonditi nella storia, ma che proprio nella riuscita interpretazione trovano la loro ragion d’essere. Menzione particolare va fatta a Chris Evans (Jensen) e Idris Elba (Roque): il primo sfrutta alla perfezione la vena monodimensionale tipica del suo personaggio, facendone l’elemento divertente della storia senza mai sconfinare nel ridicolo, ma donando dinamicità alle sue scene; Elba si impone invece per la grande presenza scenica, anche grazie all’oggettiva prestanza fisica, utilizzata con molta efficacia. Buona anche la prova di Jeffrey Dean Morgan (Clay), mentre Zoë Saldana (Aisha) ci regala una donna il cui splendore fisico non è altro che il riverbero della forza e del carattere del personaggio.
Si riconferma un solido professionista il compositore John Ottman, con una colonna sonora arricchita da brani di artisti come gli Skunk Anansie o i Kills, che non mancano di amalgamarsi alla narrazione del film. D’impatto positivo, inoltre, la fotografia di Scott Kevan, particolarmente apprezzabile nell’alta definizione del Blu-ray.
In definitiva, una pellicola che pur senza imporsi come niente di memorabile o fondamentale, si rivela un prodotto ben realizzato, divertente e piacevole per passare qualche quarto d’ora di buono svago.

I contenuti speciali

Non particolarmente ricca la sezione dei contenuti speciali, costituita per da pochi micro-documentari della durata di 5-10 minuti, una scena inedita e un’anticipazione/dietro le quinte del DVD animato Batman: Under The Red Hood.
Cinque i documentari. Il primo, tutto incentrato su Zoë Saldana e sulla sua preparazione fisica, ha molto il sapore di una strizzata d’occhio ai maschietti, giocando sull’indubitabile fascino dell’attrice. Il secondo è invece un veloce excursus sulla preparazione e la consulenza militare occorse per la preparazione del film. Segue un altro piccolo spezzone con alcuni accenni ai set, ricavati tutti nell’isola di Puerto Rico. Altri cinque minuti (stessa durata dei precedenti) sono poi dedicati alla realizzazione di alcune scene d’azione, ma anche in questo caso senza scendere troppo nel dettaglio e anzi rimanendo piuttosto generici. Infine, un ultimo filmato di una scarsa decina di minuti è dedicato a un raffronto tra fumetto e film, con interviste a Diggle e Jock.
Disponibile anche il codice per scaricare copia digitale del film.
Un apparato extra non troppo interessante, insomma, e che in sé non vale certo da bonus per l’acquisto della versione home video. D’altra parte, la piacevolezza (anche visiva) del film può valere l’acquisto, magari avendo la pazienza di attendere l’occasione di qualche sconto.

Specifiche tecniche

Audio: Italiano 5.1 Dolby Digital, Tedesco 5.1 Dolby Digital, Spagnolo 5.1 Dolby Digital, Inglese 5.1 DTS-HD Master Audio
Sottotitoli: Danese – Spagnolo – Olandese – Norvegese – Finlandese - Svedese – Cinese – Cantonese
Durata: 97 minuti
Formato: 2.4:1
Anamorfico:
Codifica: HD 1080p

Il futuro del cinema Dc e di Batman

  • Pubblicato in Screen

In un'intervista rilasciata al Los Angeles Times, il presidente della Warner Bros. Jeff Robinov ha snocciolato alcuni punti sul futuro dei personaggi DC al cinema. Gli argomenti toccati vanno da alcuni progetti nell'aria da tempo e in diverse fasi di sviluppo, fino al futuro in celluloide di Batman dopo che lo sceneggiatore e regista Christopher Nolan avrà terminato la sua trilogia con l'uscita di The Dark Knight Rises, nell'estate del prossimo anno.
Robinov ha innanzitutto riportato all'attenzione un progetto che sembrava ormai caduto nel dimenticatoio, dopo un travaglio piuttosto tormentato: il film sulla Justice League of America. Il capo della Warner ha infatti affermato che su quel fronte le cose sono di nuovo in movimento, e che la sceneggiatura per un film sul supergruppo è in fase di scrittura.

Continuando il ragionamento, poi, Robinov ha richiamato i progetti su Flash e Wonder Woman: in entrambi i casi, ha affermato, se le cose per la JLA dovessero svilupparsi bene si potrebbe pensare a dei film spin-off. E mentre, come è noto, per Flash uno script è già in lavorazione, secondo Robinov il prossimo serial TV sulla principessa amazzone non dovrebbe costituire un impedimento per una trasposizione su grande schermo (come già accaduto per Superman nel 2006).
Sempre in tema di supereroi DC, inoltre, Robinov si è rammaricato per i ritardi nella promozione di Green Lantern, dovuti a quanto pare all'enorme mole di lavoro in postproduzione, anche e soprattutto per l'implementazione degli effetti 3D. È stato reso noto, per altro, che la promozione dovrebbe ripartire in maniera attiva nelle prossime settimane, con l'uscita del trailer cinematografico abbinato a Thor (in uscita il 6 maggio negli States, il 29 aprile da noi).

Infine, quasi sotto traccia sono stati forniti dei primi, importanti squarci sul futuro cinematografico di Batman, una volta che Christopher Nolan avrà concluso la sua esperienza alla regia con il suo terzo film. A quanto pare, la Warner non intende rinunciare al tocco dell'uomo che ha saputo reinventare l'Uomo Pipistrello per il grande schermo e generare un successo senza precedenti: Robinov afferma infatti che Nolan, insieme alla produttrice Emma Thomas, sua moglie, rimarrà in sella anche dopo la conclusione della sua trilogia, almeno in veste di produttore: "Abbiamo il terzo Batman, ma poi dovremo reimpostare Batman... Chris Nolan ed Emma Thomas lo produrranno, quindi ci sarà una conversazione con loro su come debba essere la fase successiva". Stando così le cose, possiamo supporre che il ruolo di Nolan sarà pressapoco lo stesso sostenuto rispetto al prossimo film su Superman, anche se è presto per spingersi in ulteriori speculazioni.

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