Come ti frego il Lupo: la vera storia dell’opuscolo che fece scandalo
- Scritto da Andrea Fiamma
- Pubblicato in Focus
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All’interno del panorama fumettistico italiano, lo sfruttamento collaterale della proprietà “Lupo Alberto” non ha paragoni. Non parliamo delle spille o delle magliette che qualsiasi fumetto col pollice opponibile può ambire a desiderare, qui si va dal salvadanaio alle babbucce senza neanche passare dal via. Quale fumetto italiano può vantare un diario o delle caramelle col proprio nome sopra?
È un fattore che non va sottovalutato: è anche attraverso questi mezzi che passa il radicamento culturale di un’opera, un’impresa che sarà anche avulsa dal fumetto di per sé ma che riesce a pochi. Provate a chiedere in giro il DVD della serie di Rat-Man. Otterrete in cambio diniego, rassegnazione o nausea, alla meglio.
Ma lo sfruttamento, che tale non è o lo è nel suo senso più tecnico, non si limita al merchandising: Lupo Alberto è da sempre attivo sostenitore di iniziative a carattere cultural-pedagogico grazie alle svariate campagne che hanno potuto utilizzare il suo volto per diffondere messaggi di civiltà o informativi: la narcolessia, il telefono azzurro, il diritto agli studi, financo l’ambientalismo e l’appoggio ai pannelli fotovoltaici. E l’AIDS, con il celebre opuscolo Come ti frego il virus!.
Proprio attorno alla partecipazione del personaggio in una campagna atta ad aumentare la consapevolezza dei giovani si concentrarono le cronaca giornalistiche di inizio anni novanta. La ricostruzione della vicenda attraverso i quotidiani dell’epoca si fa tortuosa e piena di contraddizioni, configurandosi come una storia tutta italiana sulla mancanza di cooperazione governativa e scarsa comunicazione interna. Non è una di quelle storie con i buoni da una parte e cattivi dall’altra. Dietro ai titoli sensazionalistici stampati a caratteri cubitali si nascondono linee di pensiero sfumate e mai così distanti da una semplice distinzione manichea. Ho chiesto aiuto a Vincenzo Perrone, l’autore dei testi, che ha completato i pezzi di un puzzle quantomeno complesso.
All’inizio degli anni novanta, nell’ambito di una campagna di sensibilizzazione sull’argomento, la Commissione Nazionale e il ministero della Sanità (ora Salute), guidato da Francesco De Lorenzo, commissionarono a Silver un opuscolo informativo sull’AIDS e sulla sua prevenzione da distribuire nei luoghi di ritrovo giovanile (discoteche, locali, palestre), partendo da un’idea di Rita La Rocca (fondamentale fu anche l'aiuto di Maria Novella Cordone, in grado di convincere la commissione ad adottare il Lupo come testimonial). I testi vennero scritti da Perrone, che non ricevette alcun compenso, mentre Silver si prestò per illustrare il progetto, facendosi pagare dieci milioni di lire, devoluti in beneficenza a due centri per la ricerca sulla sindrome (uno a Roma e uno a Napoli). Come ti frego il virus! fu il risultato dei loro sforzi. Stampato in un numero di copie che passò dalle iniziali trecentomila alle oltre sei milioni (tra ristampe e pubblicazioni, autorizzate e non, su riviste come il Venerdì di Repubblica), viene presentato ufficialmente il 30 novembre alla discoteca romana Alien e da subito elogiato per il tono con cui era riuscito ad affrontare la questione.
E qui entra in gioco il secondo peso massimo, l’allora ministero della Pubblica Istruzione, con a capo Riccardo Misasi, il quale fece sapere che Come ti frego il virus! non rispettava i criteri fissati dal dicastero in termini di educazione sessuale e che qualsiasi materiale inviato alle scuole doveva prima essere vagliato per favorire “un'utilizzazione adeguata alla cultura dei giovani", impedendone la circolazione negli edifici scolastici. “Ma alla riunione Lauria c’era” replicò De Lorenzo, coadiuvato da Elio Guzzanti, membro della commissione che aveva presieduto la creazione del vademecum: "Figuriamoci se veniva varata un'iniziativa senza il placet della Pubblica Istruzione. Da anni abbiamo avviato un paziente lavoro per raggiungere una perfetta simbiosi". Simbiosi che da qualche parte doveva essersi corrotta, se De Lorenzo di fronte ai giornalisti balbettò un vago “Ne chiederò conto a Misasi".
Per arrivare nelle scuole, infatti, l’opuscolo aveva bisogno del via libera di Misasi. E sui documenti mancava la sua firma. De Lorenzo, a questo punto, sbotta. “Per colpa di una firma mancante? Assurdo. La Sanità si impegna nella prevenzione e chi frena? Un altro ministero? Forse le cause sono altre, più concrete, tabù inviolabili anche se non dichiarati”.
Il perché avrebbe dovuto dichiarare ciò se il libretto non era stato progettato per le scuole non è dato saperlo. La questione a ogni modo si sopì, venne effettuata una prima distribuzione (non nelle scuole, però, dove vi finì per vie traverse) che riscosse un buon feedback. Poi Corriere della sera e Repubblica raccontarono che quegli stessi inviolabili tabù di cui parlava De Lorenzo condussero Rosa Russo Iervolino, succeduta nel frattempo a Misasi, a diffondere una circolare molto dura in cui si reprimeva l’uso dell’opuscolo (“Non è mai esistita una circolare del genere” avrà da dire la donna a vicenda conclusa). Cresciuta nell’humus DC, Iervolino era, giocoforza, succube delle imposizioni ecclesiastiche ma soprattutto una democristiana tra i democristiani: racconti di segreteria riportano che, ai tempi del referendum per il divorzio, fosse “più schierata dei vertici del partito”. Non stupisce quindi che l’argomento della prevenzione tramite profilattico fosse quantomeno sconveniente da affrontare in sede istituzionale.
Eppure, nonostante i resoconti giornalistici, il nodo gordiano non fu il preservativo (o, meglio, lo fu solo in parte), né tantomeno l’indefessa linfa DC che scorreva nelle vene di Iervolino, bensì un aspetto di natura più pratica: Come ti frego il virus! non era mai stato ufficialmente previsto per le scuole e tutto farebbe pensare che le azioni di Iervolino fossero una maniera un po’ goffa di battere i pugni sul tavolo, rivendicare un potere che si vedeva travalicato e far sentire la propria voce.
Certo, la presenza del preservativo doveva aver turbato il ministro, la stampa cattolica (l’Avvenire, con trasognante coerenza, invocò il principio di castità e fedeltà da contrapporsi all’uso del contraccettivo) e più di un membro della commissione; lo stesso De Lorenzo viene dipinto da Perrone come un uomo vecchio stampo: “La parola preservativo lo faceva arrossire, letteralmente”, ma il motivo fondamentale per cui l’opuscolo era malvisto nelle aule scolastiche era perché nelle scuole quell’opuscolo non ci doveva finire. Lo conferma lo stesso Perrone: “L’opuscolo ci venne esplicitamente richiesto ‘per la prevenzione primaria, destinata a soggetti sessualmente attivi’. La richiesta non prevedeva in alcun modo la distribuzione nelle scuole. Perché, cito a memoria, la scuola pubblica non può in alcun modo dare per scontato che i propri iscritti (parliamo di medie superiore, quindi tra i 14 e i 19 anni) abbiano tutti una attività sessuale. Distribuire un opuscolo in cui si dia per scontato l’esistenza di una sessualità attiva, avrebbe significato rendere “diversi” chi invece, per indole propria, timidezze o altro fosse ancora in attesa della prima volta”. Perrone smentisce dunque i giornali che all’epoca additavano la menzione del profilattico come causa scatenante per il veto della Iervolino. “La preoccupazione vera era quella di non creare difficoltà a chi non faceva sesso. Parliamoci chiaro. C’era una parte, potente ma minoritaria all’interno delle commissioni, che del preservativo non ne voleva proprio sentire parlare. Questa parte riuscì ad averla vinta solo perché l’opuscolo conteneva quello che possiamo chiamare un peccato originale”. A testimonianza del fatto che l’opuscolo era stato pensato per lettori e contesti diversi c’è il comunicato stampa del governo, che non cita gli istituti e le scuole come luogo-obiettivo. “Di fatto, se mi fosse stato commissionato un opuscolo destinato alle scuole, lo avrei scritto in modo totalmente diverso, almeno in alcune sue parti” conferma Perrone. “Detto in altre parole: la Iervolino aveva ragione. L’opuscolo non era adatto per le scuole”.
Ai giovani le motivazioni della censura non sembrarono comunque interessare: partono i sit-in, le manifestazioni pro-Lupo Alberto, le proteste; la domanda per l’opuscolo crebbe a tal punto che il governo istituisce un numero verde per richiederne delle copie. Il professor Fernando Aiuti organizzò perfino una lezione plenaria nell’istituto romano San Giovanni Evangelista (una scuola fondata dai preti, per dire l’ironia) usando il libretto come testo unico.
Silver, tirato in ballo dai talk show di Ferrara, Santoro e Costanzo, rifiutò di andarci per evitare di essere un mero picco di audience tra una pubblicità e l’altra, ma lamentò sui giornali tanto le critiche della Iervolino quanto l’indifferenza di De Lorenzo che, “quasi in trance, tre telefonini per volta, con conversazioni troncate di brutto e codazzo di portaborse", dovette in seguito dimettersi a causa del suo coinvolgimento nell’inchiesta di Tangentopoli: “[Iervolino] esprime una mentalità bigotta diffusa e radicata. Dall'altra parte, però, non c'è stato il minimo accenno di difesa, non è venuta una sola parola di solidarietà, nemmeno da un sottosegretario: m'è parso d'essere il capro espiatorio di altri guai". Le parole di Perrone mostrano bene le contraddizioni interne all’essere umano: se da una parte De Lorenzo finì in baruffe con lo stato che si sono trascinate fino al 2012, dall’altra ebbe il merito di comprendere l’importanza del messaggio, nonostante non fosse nella sua cultura, e di approvarlo.
Allo stesso modo, la vicenda per il Lupo ebbe risvolti dolceamari: la bagarre sollevò le vendite della testata ma infangò l’immagine del personaggio e del suo autore; gli incontri con Silver nelle scuole vennero boicottati e i negozianti rimossero il materiale da cartoleria griffato Lupo Albero dalle vetrine.
Forse perché messo di fronte a un concorso di colpa o alla gogna mediatica, il dicastero si vide costretto a cedere. Tra uscite spiacevoli ("La scuola non è una palestra per la diffusione di opuscoli dietro i quali si possono nascondere operazioni economiche") e un’interrogazione parlamentare, portata avanti da cinque senatrici del PDS ai danni di Iervolino (alla luce dell’intero contesto, una mossa più populista che altro), si fece marcia indietro: decidano i presidi e gli organi collegiali se il messaggio risulta adeguato o meno ai loro alunni. “Ricordo però che quel libretto” precisò Iervolino “ha una scarsa valenza educativa, è una barzelletta”. In alcuni articoli dell’epoca il ministero comunicò che un piano di educazione sessuale per le scuole era già in cantiere, con regole e criteri interni all’apparato. Tuttavia la lentezza burocratica o, più semplicemente, l’assenza di un’idea forte su come strutturare l’argomento, fecero dell’opuscolo del Lupo il veicolo di diffusione più incisivo: “Poiché nessuno si voleva prendere la responsabilità di una campagna informativa da svolgersi negli istituti scolastici, il libretto divenne meglio che niente” dice ancora Perrone “e soprattutto uno strumento efficacissimo per sdoganare il preservativo”. Proprio quel “meglio che niente” venne cavalcato dal ministero perché il numero di copie, arrivato tra ristampe e ridistribuzioni a sei milioni, indica che evidentemente l’opuscolo non sarebbe stato distribuito solo nelle discoteche. Secondo Perrone “è evidente che qualcuno deve aver pensato che non sarebbero tutte andate nelle discoteche. Non ne ho le prove, ma presumo che qualcuno abbia deciso di forzare la mano. E direi che ha fatto bene”.
Nel caos della disinformazione si tende a dimenticare o a sottovalutare l’importanza dell’opuscolo di Perrone e Silver, che ebbe il merito di introdurre grazie a un linguaggio informale e ironico un dialogo sull’uso del preservativo, fino ad allora associato alla prostituzione, a un sesso vissuto come sporco e indegno piuttosto che a un’idea di prevenzione e salute. Subito dopo i fatti, Perrone inviò a Repubblica e Cuore, il periodico satirico di Michele Serra, una lettera in cui ricostruiva l’intera vicenda, ma l’onda di Tangentopoli si era ormai infranta con furia cieca sulla stampa italiana e la storia venne ignorata.
Al netto delle polemiche, delle critiche e delle accuse, Come ti frego il virus! entrò al primo posto nella classifica delle iniziative ministeriali per grado di memoria e attecchimento del messaggio. In poche parole, un esempio antesignano dell’effetto Streisand, quel fenomeno per cui più si tenta di censurare o bloccare qualcosa più quel qualcosa diventerà estremamente popolare e susciterà la curiosità di quelli che, prima del veto imposto, nemmeno erano a conoscenza della sua esistenza. Il nome si deve a Barbara Streisand, la quale tentò di far rimuovere dall’internet una foto della sua villa perché riteneva ledesse la privacy. Nel caso di Lupo Alberto fu un effetto che, per una volta tanto, ha avuto uno scopo un po’ più nobile del non far sapere di che colore sono i muri di casa nostra.
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