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Paolo Pugliese

Paolo Pugliese

Marvel collection: Il Mitico Thor 4

Con questo suo ottavo numero, la collana di ristampe Marvel Collection conclude il ciclo dedicato alla serie The Mighty Thor, pubblicando materiale d’annata apparso originariamente sui numeri 131-136 del 1966. Un’iniziativa che deve la sua riuscita al fatto che personaggi come Capitan America, l’Uomo Ragno, i Vendicatori e lo stesso Thor stiano vivendo un periodo di grande rilancio grazie a progetti cinematografici più o meno imminenti; in caso contrario, infatti, sarebbe stato davvero difficile vedere distribuite queste ristampe nelle nostre edicole, tra l’altro caratterizzate da un prezzo più che accessibile e una veste grafica vintage, dal formato di stampa spartano ma robusto.
Come per il precedente ciclo dedicato a Capitan America, nei quattro volumi di Thor sono state pubblicate in ordine cronologico alcune delle storie più famose e celebrate del personaggio, firmate dalla coppia d’oro Stan Lee e Jack Kirby: per i lettori più anziani è dunque l’occasione per fare un tuffo nel passato e riassaporare il gusto di storie classiche, pubblicate in Italia nei primi anni ‘70, mentre per i lettori più giovani è l’opportunità per scoprire vicende alla base dell’iconografia fumettistica del Dio del Tuono.

In merito alla struttura delle storie presenti nel volume, si appura come le sceneggiature di Stan Lee siano improntate a una certa linearità consequenziale di sviluppo-conclusione, basata su premesse brevissime; l’autore mette da parte il proprio approccio realistico-quotidiano (per quei tempi), sfoderato in serie come Hulk, X-Men e l’Uomo Ragno, in favore di un timbro narrativo dai toni epici e fantasy. Inoltre, è innegabile come la cooperazione di Kirby non si limiti al solo aspetto grafico, ma anche a quello narrativo, contribuendo a donare ampio respiro alle trame, sospese tra vicende supereroistiche e mitologiche, arricchendole poi di nuovi concetti e spunti: l’apporto di Kirby, ad esempio, si evince nel vedere Thor agire in contesti galattici o fantascientifici, rivelando non solo la predilezione del disegnatore per la science fiction e la space opera, ma anticipando anche non pochi elementi, sia narrativi che grafici, che svilupperà in seguito in serie come I Nuovi Dei, Forever People e Kamandi.
Il frutto finale della vena creativa Lee-Kirby è una narrazione epica, ricca di invenzioni e personaggi che sono diventati oggi parte del panteon narrativo non solo di Thor, ma dell’intera continuity della Marvel: solo su questo numero, ad esempio, vengono introdotti Lady Sif, i tre guerrieri Fandral, Hogun e Volstagg, il Distruttore, l’Alto Evoluzionario e i cavalieri di Wundagore, il pianeta vivente Ego e gli alieni di Rigel; in una manciata di episodi è concentrato un vortice di avventure che vedono Thor in viaggio verso pianeti lontani contrapporsi a forme di vita aliene, oppure cimentarsi in un grandioso torneo di guerrieri, incontrare una razza evoluta di animali antropomorfi o ancora fronteggiare il letale Distruttore, una sorta di Golem creato da Odino e dotato del potere di uccidere un Dio.

Per quanto riguarda i personaggi, la caratterizzazione di Thor e comprimari è molto basilare: si prediligono linee guida luminose ed edificanti, basate sugli stati d’animo (coraggio, tenacia, volontà, generosità), ma mai sui lati oscuri della personalità (caratterizzazione ad esclusivo appannaggio dei villain, tipo Loki): dunque non c’è mai un approfondimento vero e proprio, né quindi una reale evoluzione, sia del protagonista che dei suoi comprimari. Al contempo però, Thor viene modellato volutamente da Stan Lee come una figura anacronistica, ovvero quella di un guerriero che agisce secondo antiche regole di cavalleria e onore, ponendolo in contrapposizione con una società moderna e terrena in cui agisce come singolare supereroe, dando così alle sue vicende forza e fascino narrativo.
Dal punto di vista grafico, il tratto di Kirby è sulla via della piena maturità espressiva, completo di tutti i suoi aspetti più salienti e rilevanti, ma appare spesso tirato via (forse a causa dell’enorme mole di lavoro che il disegnatore portava avanti su altre serie Marvel), venendo coadiuvato oppure appesantito (a seconda delle opinioni) dalle chine del grande Vince Colletta; al tempo stesso, Kirby contrappone anche tavole molto elaborate, con invenzioni visive di suggestiva bellezza, incastonate in inquadrature dinamiche con spettacolari paesaggi, architetture barocche e personaggi ritratti in pose plastiche e di forte fisicità.

Concludendo, la lettura di questo volumetto non deve essere inficiata dal fatto che il Thor del 1966 sia contraddistinto da una certa ingenuità di contenuti e sviluppo rispetto ai fumetti attuali; stiamo parlando di storie pubblicate 45 anni fa che oggi appaiono certamente invecchiate e sorpassate, ma che al di là del loro indubbio valore artistico continuano a mantenere una certa fruibilità nell’essere lette, a patto però di intenderle per quello che sono: storie classiche appartenenti a un’altra epoca e un altro modo di fare e concepire un fumetto, ma con l'indubbio merito di aver influenzato tutto quello che è venuto dopo di loro (per autori, temi, idee e sviluppi), ponendo le fondamenta narrative e concettuali di ciò che leggiamo oggi.

Batman 43

Da questo numero, e per i prossimi 5 mesi, la testata mensile dell’Uomo Pipistrello congelerà la scaletta di pubblicazione delle serie Batman e Detective Comics per concentrarsi unicamente sulla miniserie Il Ritorno di Bruce Wayne. Accantonando per il momento le vicende dei nuovi Batman/Dick Grayson e Robin/Damian Wayne, l’imprevedibile scrittore Grant Morrison torna sul luogo del delitto, occupandosi nuovamente del Cavaliere Oscuro originale. Bruce Wayne è vivo, nonostante per ben due volte sia stato dato per morto, sempre ad opera dello sceneggiatore scozzese: la prima, ricordiamo, durante la saga "Batman R.I.P.", scomparendo in seguito a un’esplosione, ma in realtà venendo rapito da emissari del tiranno galattico Darkseid, che nel corso degli eventi di Crisi Finale intendeva usare il suo corpo per creare un esercito di cloni ai suoi ordini; la seconda volta, invece, avvenne per mano dello stesso Darkseid, che lo disintegrò con i suoi raggi Omega. In realtà, si era visto subito che Bruce Wayne era sopravvissuto al mortale effetto Omega, venendo però catapultato lungo il flusso temporale, come indicano anche alcuni indizi raccolti dai suoi amici ed alleati (Superman, Lanterna Verde e Booster Gold), che ne hanno seguito le tracce viaggiando anche loro indietro nel tempo.

La miniserie, quindi, ci svela la catena di eventi dietro il ritorno di Bruce, e il primo capitolo corrisponde anche alla prima tappa del suo viaggio temporale: l’età della pietra. Assistiamo alle vicende dell’eroe che, disorientato e senza ricordi, si ritrova in mezzo a una guerra di confini tra due tribù nemiche. La cosa più interessante della storia in sé è la figura di un Bruce Wayne essenziale, senza memoria o background, guidato solo dall’istinto di guerriero e dall’eco del suo addestramento fisico. Una caratterizzazione nuda e lineare da parte di Morrison che attesta il suo preciso obiettivo di ricostruire, pezzo per pezzo, la figura del supereroe che aveva precedentemente dissezionato in "Batman R.I.P.".
Come spiegato nel corposo editoriale dell’albo, questa saga è il mezzo per riassemblare le tessere del mosaico narrativo creato negli ultimi due anni da Morrison, aggiungendo di volta in volta un frammento del personaggio in ordine alle avventure che vivrà nei prossimi mesi, peregrinando tra epoche diverse e, di conseguenza, tra generi narrativi differenti: il western, il noir, la spy story e l’avventura tout court, tra preistoria e swashbuckling novel, cioè racconti di pirati.
Il gioco dichiarato di Morrison è far compiere al personaggio un doppio percorso, temporale ed evolutivo: da un lato facendolo arrivare al presente finalmente completo dopo aver attraversato momenti chiave della storia dell’umanità, e dall’altro estremizzando il concetto stesso di "Batman", inserendolo in determinati contesti temporali, adattandolo ad essi e focalizzandone di volta in volta gli aspetti più importanti. In merito a quest’ultimo fattore, è chiara l’intenzione di Morrison di mettere in risalto sia la personalità che le capacità di Bruce/Batman, facendolo percepire come un’unica entità e non come due personaggi separati.

Per quanto riguarda la storia presentata in questo albo, se a prima vista risulta interessante l'aver calato questo personaggio in un’ambientazione lontanissima dal suo habitat metropolitano e oscuro, con Morrison che costruisce un impianto teso ad omaggiare un lungo corso di storie di fantascienza delle quali il personaggio fu protagonista negli anni ’50 e ’60, d’altro canto l’impostazione narrativa non brilla certo per originalità. Al di là delle prospettive e delle intuizioni dell’autore sulla caratterizzazione di Bruce Wayne/Batman, la storia di questo primo episodio è a dir poco basilare, se non addirittura prevedibile nella sua struttura, con uno sviluppo minimalista che rasenta la banalità nel suo uso forzato del simbolismo costumistico di Batman, qui replicato in chiave preistorica, oltre ad inutili strizzate d’occhio alla continuity, grazie alla presenza di personaggi come il criminale immortale Vandal Savage e il guerriero delle caverne Anthro (protagonista di una sua serie negli anni ’70), il cui giovane nipote assume in maniera affettata i panni di un Robin cavernicolo.
L’idea che il salto temporale funga così da leit motiv per la riproposizione in chiave alternativa di un Batman legato al momento storico in cui è calato, in questo primo episodio, raggiunge un risultato farraginoso e ripetitivo. L’adattamento dell’iconografia del Cavaliere Oscuro rispetto alle varie ere e categorie narrative è infatti più vicina all’idea degli Elseworld (storie con versioni alternative dei supereroi), cioè di un divertissement narrativo fuori contesto e fuori dalla continuity del personaggio, piuttosto che un passaggio cardine di ricomposizione e rinascita, integrato tanto nell’universo di Batman quanto nel suo percorso editoriale.

In attesa di leggere i prossimi capitoli, dunque, promuoviamo a pieni voti il lavoro del disegnatore Chris Sprouse, dal tratto pulito, morbido e dettagliato, titolare sia di una costruzione della tavola chiara e ben scansionata nella progressione narrativa tra le singole vignette, sia di un’impostazione visiva di Bruce Wayne/Batman di grande effetto e carisma.

X-Nerd

“Mi chiamo Clifford C. e sono ricco in modo spropositato. Da una ricchezza ereditata da mio padre ed accumulata quando non c’erano tante leggi a difesa dei lavoratori, dell’ambiente e dei diritti umani, in generale. E, al pari di Bruce Wayne, Tony Stark e tanti altri miliardari viziati, voglio fare il supereroe. Ma non me ne frega niente di aiutare i poveri! Se lo volessi, lo farei con le mie multinazionali, con i politici alle mie dipendenze, con le mie aziende farmaceutiche e con la mia influenza sul commercio e sulle politiche energetiche dei singoli stati. Sai che palle. No, io voglio un mantello, un costume attillato e voglio scorazzare per i tetti della città a fare il cavolo che mi pare!”.
Con queste spiazzanti parole da parte del protagonista, ci addentriamo nella lettura di X-Nerd, un singolare esempio di post-revisionismo dei cliché di fumetti supereroistici mescolato a satira e humor grottesco e paradossale.

Già la dicitura in quarta copertina, “Non adatto a bambini e mentecatti”, la dice lunga sulla carica sarcastica ed anarchica di questo nuovo volume editato dalla Double Shot. Poi, cominciando a leggere le pagine, ci si trova di fronte alle strambe vicende di Clifford e Shapiro, versione totalmente agli antipodi di un classico duo di supereroi come Batman & Robin; attraverso la loro ignoranza, il loro razzismo e il loro egoismo opportunistico, l’autore Emiliano Pagani fa un personale quanto caustico apologo sul nostro Paese, buttando indistintamente nel calderone Stato, Chiesa, multinazionali, poteri occulti, compromessi, adolescenti senza scrupoli e, in generale, il cinismo sociale che contraddistingue la società moderna e l’intolleranza verso le fasce più deboli. Il ritratto che ne esce fuori è spiazzante e amaro, con caricature di supereroi, politici e prelati del Vaticano che restituiscono in tutta la loro meschinità le surreali vicende di cronaca politica ed economica dell’Italia attuale.

C’è però da dire che, nonostante il volume trasudi satira arrabbiata e disillusa, il risultato finale è inferiore alle aspettative: se da un lato emergono in maniera abbastanza azzeccata la parodia di una certa tipologia di fumetti così come il compendio di determinate dinamiche politico-sociali italiane, dall'altro X-Nerd rivela una certa debolezza sul fronte narrativo, sia nella costruzione delle vicende che delle gag, a volte forzate e gratuite, mentre i testi rischiano di scadere in soliloqui sardonici quanto amareggiati, non del tutto integrati nel contesto fumettistico.
Sul fronte grafico, i disegni di Laca sono perfettamente allineati ai testi, risultando grotteschi e caricaturali, con un buon apporto finale per quanto riguarda la colorazione, ad opera di Andrea Piccardo. Agile e asciutta invece l’edizione, caratterizzata da un un grosso formato di stampa.

The legend of Mother Sarah 1-3

Torna nelle fumetterie italiane l’opera post-apocalittica The legend of Mother Sarah, in una robusta quanto curata edizione di sette volumi, pubblicata dalla divisione Planet Manga della Panini Comics.
Scritta da Katsuhiro Otomo, creatore di Akira e autore di culto della fantascienza giapponese a fumetti, The legend of Mother Sarah è, sia per tematiche che per scene mostrate, un manga per un pubblico adulto: un futuristico quanto crudo apologo sulla decadenza dell’umanità, con protagonista una donna alla ricerca dei suoi tre figli, dai quali è stata separata dieci anni prima. Siamo in un medioevo prossimo venturo, dilaniato da una guerra tra due fazioni avverse, gli Epoch e i Mother Earth, con Sarah che viaggia stoicamente attraverso lande desolate, cercando tracce dei figli ed affrontando pericoli e difficoltà grazie ad uno spirito combattivo e una notevole forza fisica.

Personaggio insolito come protagonista di una serie fanta-olocaustica dai toni cupi e violenti, ovvero una donna, Sarah viene introdotta nella storia come una persona apparentemente fredda e distaccata, quasi impassibile di fronte al clima di miseria materiale e morale intorno a lei. In realtà, sotto una scorza indurita dall’esperienza, nasconde una pietas ed una compassione degne del nome di "Madre". Otomo non ci svela subito la sua natura caratteriale, facendolo in maniera progressiva tramite l’interagire con altri personaggi e soprattutto ricorrendo ai flashback: la scoperta del personaggio avviene quindi in maniera retroattiva, con la sovrapposizione di lunghe sequenze che ricostruiscono il crudele passato di Sarah e che interagiscono con la narrazione principale. Come personaggio in sé, Sarah non attraversa alcuna evoluzione durante la serie, avendo già un trascorso formativo che ci viene via via svelato; passato e presente si fondono in un unico intreccio che ci fornisce un duplice ritratto di Sarah: quello di guerriera, ma anche di madre misericordiosa, tormentata da una grande colpa per la quale fa penitenza aiutando i deboli e gli innocenti che attraversano la sua strada.

La serie è strutturata in capitoli ambientati nelle zone che Sarah attraversa, scontrandosi con l’aspra realtà di città in rovina martoriate dalla guerra (nel terzo volume), fortezze popolate da ragazzini sadici e militarizzati (secondo volume) o semplici villaggi di agricoltori sotto il giogo dei soldati (primo volume). La narrazione è suddivisa per corposi episodi schematici, dove l’attenzione è focalizzata più sull’ambientazione e i personaggi intorno a Sarah che su lei stessa, con un meccanismo narrativo d’impostazione corale.
In merito alle storie, il ritratto di Otomo del genere umano è duro e sconfortante, suddividendolo in aguzzini e vittime, e mostra senza filtri né compiacimento gli abusi dell’autoritarismo militare, l’assurdità della guerra e il suo costo in vite umane, sottolineando tra le righe l’ottusità, il fanatismo, la crudeltà e l’avidità degli uomini, anche di fronte alla più totale catastrofe.
Religione, pietà e solidarietà sembrano essere accantonate in un clima di caducità e fatalismo, dove vige la legge del più forte e dove, per sopravvivere, si può contare solo su sé stessi; eppure l’autore, in un quadro così fosco, ci suggerisce come esista ancora una flebile luce di speranza grazie alle azioni di Sarah, che diviene una sorta di madonna-guerriera in grado di ispirare la gente che incontra.

Dal punto di vista grafico, la narrazione cruda ed intensa di Otomo (ripetiamo, non è un manga adatto ai lettori più giovani) trova un’efficace rappresentazione nonché complemento visivo nell’arte di Takumi Nagayasu. Nonostante si riscontri una certa limitatezza e ripetitività nelle espressioni facciali dei personaggi, le tavole di ampio respiro di Nagayasu, con grandiosi quanto apocalittici paesaggi a splash page unica o doppia,  azione serrata, scenografie elaborate e cura minuziosa per i dettagli, potrebbero essere considerate – usando un termine cinematografico – degne di un kolossal: tanto spettacolare e narrativamente impegnativo e brutale, quanto appagante per gli occhi di chi lo legge, rallentando il ritmo della lettura per cogliere tutta la richezza di particolari in ogni singola vignetta.

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