Dall'arte sacra ai comics: intervista a Pasquale Qualano
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Quando incontri Pasquale Qualano per la prima volta ti fa un po’ paura, lui con quel suo sguardo truce e il suo look a metà strada tra il Punk e il militante No Global, con anfibi, orecchini e pantaloni mimetici. Poi, quando inizia a parlare, ti accorgi nel giro di un paio di secondi quanto l’apparenza sia un inganno illusorio, quanto Qualano sia una persona cordiale e alla mano, travolgendoti con un fiume in piena di parole mentre risponde alle tue domande con quel tipico calore e ironia della gente partenopea. L’intervista è avvenuta durante l’evento “Work in Progress”, incentrato sull’arte del fumetto moderno e su giovani autori emergenti, organizzato dal disegnatore foggiano Giuseppe Guida e articolatosi in un workshop con sessione di sketch live e mostra di tavole a fumetti e illustrazioni che ha avuto come protagonista proprio Qualano insieme ai colleghi Luca Maresca (Orfani per Sergio Bonelli Editore) e Tina Valentino (Clair de Lune, Zenescope Enterteinmen). Nel corso delle poche ore trascorse insieme, ho avuto modo di apprezzare l’autentica passione per il suo lavoro nonché per il fumetto americano, insieme alla sua verace umiltà nonostante un curriculum che molti disegnatori si sognerebbero. Classe 1974, disegnatore e scultore di Torre del Greco (Napoli), Qualano diventa famoso realizzando 2 albi della serie di She-Hulk per la Marvel. Contribuisce a realizzare anche la campagna pubblicitaria della Tim nel 2009 e l’anno dopo inizia la collaborazione come cover artist e pin-up artist con la Moonstone e poi la Zenescope Enterteinment, per la quale realizza alcune cover tra cui Grimm Fairy tales. Per GG Studio disegna The One, attualmente pubblicato anche in U.S.A., collaborando come copertinista per alcuni editori americani (tra cui quello di Lady Death). Nel 2012 inizia la sua collaborazione con l’Aspen Comics che prosegue tutt’ora disegnando All New Executive Assistant :Iris.
Ciao Pasquale e benvenuto su Comicus.
Quali sono state le fasi del tuo percorso professionale, arrivando a lavorare per il mercato americano?
Io ormai ho 40 anni e quando ho iniziato ad approcciarmi con questo lavoro nelle fiere, tutti quanti dicevano che il mio stile era troppo americano e quindi non andava bene per editori come la Bonelli… mi consigliarono di provare a inviare materiale in America. All’epoca non era facile avere contatti immediati come invece adesso che c’è Facebook, dove è possibile trovare chiunque, ma bisognava andare sui vari siti e capire come farsi dare nomi o mail alle quali inviare tavole e disegni; c’era poi la famosa connessione Internet a 56 K e dovevo sperare che quando inviavo gli allegati mia madre non alzasse la cornetta o saltava tutto. Poi, io sono autodidatta e nel frattempo cercavo di imparare il più possibile su come si realizzavano i fumetti da autori già affermati che incontravo alle fiere. Dopo aver mandato molte cose in America, cominciai a fare piccoli lavori come concept-art, layout e studi di personaggi, copertine per piccole case editrici indipendenti americane, che sono davvero tante. Ho iniziato così e quando ho cominciato a farmi un nome mi ha chiamato la Moonstone comics come copertinista di un fumetto comico-horror, Zombies vs Cheerleaders (ride).
Come è avvenuta poi la collaborazione per case editrici americane come Marvel e Aspen Comics?
Dopo un periodo nel quale ho smesso di disegnare e mi sono concentrato solo sulla scultura, ho ripreso a lavorare collaborando con piccoli editori, fino alla grande occasione con l’arrivo in Italia C. B. Cebulski, editor e talent scout per la Marvel, alla ricerca di nuovi disegnatori. Mi presentai all’incontro con lui a Mantova, con il mio portfolio insieme ad altri 300 ragazzi venuti da tutt’Italia e passai la prima scrematura. Cebulski fu molto colpito da un fumetto che avevo disegnato per una casa editrice italiana, si annotò la mia mail e due giorni dopo mi contattò l’ufficio della Marvel chiedendomi di inviare dei disegni di prova. Qualche mese dopo ottenni il mio primo incarico, la serie di She-Hulk, grazie anche alla mia capacità di disegnare bene le donnine (ride). Mia figlia, che all’epoca era molto piccola, la chiamava Barbie verde. Quello fu il mio lancio, con il quale mi feci conoscere anche a livello internazionale, visto che in quel periodo il personaggio vendeva bene negli USA, intorno alle 40mila copie, poi c’erano le ristampe in volume e le edizioni estere. Successivamente ho lavorato per il GG Studio su The One, una produzione italiana di genere fantasy che piacque molto al distributore Diamond che decise di distribuirlo, divenendo di fatto il primo fumetto stampato in Italia e pubblicato in America. Quando andammo al New York Comicon a presentare The One, eravamo l’unica casa editrice italiana in tutta la fiera, ci venne persino a filmare MTV e ci trovammo davanti a una grossa attesa da parte dei lettori americani… fu una cosa emozionante. Attualmente lavoro per la Aspen, realizzo copertine per la Zenescope e per la serie di Lady Death, un personaggio storico che amo tantissimo disegnare.
La mia curiosità maggiore su di te è che hai avuto un vissuto professionale lontanissimo dal lavoro di disegnatore. Tanto per dire, ti sei diplomato come restauratore ligneo e incisore di pietre dure e coralli, lavorando pure come scultore nelle botteghe d’arte sacra Napoletana ed arte presepiale…
Partendo dal mio bisnonno che era incisore di gusci di tartaruga, la mia famiglia è composta da incisori di coralli e camei (mio padre), nonché scultori di arte sacra e arte presepiale napoletana (i miei zii). Io sono dunque cresciuto in un ambiente familiare artistico seguendone le orme, ma appartenendo a una nuova generazione, ho avuto l’onore di vedere per la prima volta Goldrake in televisione e quindi, in quel momento, il mio immaginario è cambiato totalmente. Se loro da ragazzi “giocavano” a fare il presepe, io invece volevo “giocare” con i pupazzetti di Goldrake! A questo si aggiunge che fin da piccolino ero un lettore di fumetti. Il mio personaggio americano preferito, in assoluto, è l’Uomo Ragno; sono affezionato a lui a livello viscerale perché è stato il primo fumetto che ho letto. Questo grazie a mio padre, che era un lettore di Tex e che la domenica, dopo la messa, mi comprava in edicola fumetti della Corno come L’Uomo Ragno Gigante e Gli Eterni. Col tempo ho imparato a riconoscere ed apprezzare i tratti di John Buscema su Conan o di Neal Adams su Batman, ad esempio. Avevo quindi un ampio immaginario di fumetti, ma contemporaneamente cercavo di lavorare con i miei zii perché vedere loro che scolpivano per me era qualcosa di fantastico. Ancora oggi, capita a volte che nella stessa giornata scolpisco un lavoro artigianale e dopo disegno.
Venendo da un ambiente professionale tanto tradizionale e legato alla tua città, come hai maturato la decisione di intraprendere una professione così diversa come quella del disegnatore di fumetti?
È sempre stato un mio sogno voler disegnare quei personaggi che adoravo leggere. Poi, sai, la scultura in famiglia per me era già una cosa concreta, perché ai tempi delle scuole medie o dell’Istituto d’Arte io già lavoravo nell’ambiente. Per me invece il fumetto era un mistero: non sapevo e mi chiedevo come si poteva fare un lavoro del genere. Nel mio istituto d’arte ero uno dei pochissimi (un paio in tutto) che voleva davvero fare questo mestiere e quindi sentivo il bisogno di conoscerlo e capire come funzionasse. Come ti ho detto, ho iniziato da autodidatta, studiandomi gli autori e girando le prime fiere in Italia accompagnato anche da mio padre, incontrando molti disegnatori e facendo domande. E loro mi hanno dato un sacco di consigli, sono stati molto disponibili e hanno passato del tempo insieme a me chiedendomi l’impegno di ritornare da loro e fargli vedere le mie cose nuove. Sono grato anche alla pazienza di Bruno Brindisi, nel quale ho trovato un grande maestro nonché persona di grande disponibilità.
Quanto ha influito nel tuo stile l’esperienza della scultura per prospettiva, proporzioni della figura umana e gioco di ombra e luci?
Diciamo che scolpire è praticamente disegnare in 3D e quindi mi è stato certamente utile, però col tempo ho maturato un tratto diverso, soprattutto scoprendo i disegnatori di linea (cioè quelli che non usano le ombre); cominciai ad adottare questa tecnica e disegnare anch’io di linea rendendo il mio tratto più moderno rispetto a quello che modellavo con la scultura. Mi incuriosiva all’epoca sperimentare cose nuove col disegno e trovare nuove soluzioni rispetto alla scultura che comunque era legata a dei canoni dovuti all’arte barocca napoletana, sulla quale era fondato il lavoro mio e della mia famiglia. Poi, attualmente, in ogni fumetto cerco di fare qualcosa di diverso rispetto alle serie che mi hanno affidato; per esempio, in The One così come anche in She-Hulk sono andato di linea, ma con toni e finalità tecniche diverse: per The One venivo colorato sulle matite da Alessia Nocera e Andrea Enrico con uno stile leggermente pittorico, mentre per She-Hulk venivo inchiostrato da Vincenzo Acunzo e colorato da Barbara Ciardo mantenendo una linea di lavoro decisa per la serie che aveva dei toni, anche nelle copertine, da cartoon tipicamente americani.
Vorrei che mi raccontassi due momenti diversi della tua carriera: quello in cui pensavi di non farcela e quello invece in cui ti sei accorto di avercela fatta a diventare un disegnatore professionista.
Di momenti in cui pensavo di non farcela ce ne sono stati tanti, soprattutto all’inizio quando non sapevo proprio come approcciare, come realizzare un fumetto in maniera professionale e con chi parlare per riuscirci. Per me era il vuoto e andavo avanti per intuizione. Poi io sono un tipo abbastanza caparbio e tenace, ed ho provato in tutti i modi per riuscire a diventare un disegnatore; per me, quando andavo in fiera e facevo vedere i miei primi lavori e tornavo invece a casa con dei consigli ma non con il lavoro, era diventata una sfida mostrare agli editori che stavo migliorando: mi ripresentavo ciclicamente nell’arco di 6-7 mesi mostrando la roba nuova che disegnavo. Poi, tranne una lunga pausa durante la quale mi sono dedicato quasi totalmente alla scultura, disegnando sporadicamente, avevo stretto dei piccoli rapporti con alcuni editori per i quali realizzavo storyboard, layout e character design, ma diciamo che il momento in cui mi sono detto “ce l’ho fatta!” è quando mi hanno chiamato a disegnare She-Hulk, perché la Marvel era la meta che sognavo. In quel momento mi sono sentito tantissimo realizzato, ma anche tutt’ora mi sento realizzato collaborando con la Aspen. Mi piace lavorare con loro ed ho veramente un buon rapporto con il mio editor, Vince Hernandez, con il quale ci scappa spesso la chiacchierata nel corso delle mail che ci scambiamo per lavoro.
Quindi, grazie alla rete, tu hai un rapporto diretto con il tuo editor, ma quanto può influire avere un fuso orario diverso, considerando i tempi stretti di lavorazione in America?
Un editor in America supervisiona in media 3-4 testate e a volte si può attendere un po’ per la risposta, quindi stando davanti al computer, uno si attacca anche a Facebook per passare il tempo prima di sapere se la tavola può essere consegnata. L’ultima volta mi hanno dato tre ore per fare un pagina, perché avevano anticipato i tempi di consegna da tre giorni dopo alla mattina stessa e lì è stata dura.
Mi parli delle dinamiche e delle tempistiche del tuo lavoro? In quanto tempo e come avviene la lavorazione su una serie o una miniserie americana?
In America hanno tempi di produzione molto diversi rispetto all’Italia: io devo disegnare 20 pagine in 20 giorni, praticamente una pagina al giorno e se ne faccio due, o addirittura tre, sono anche più contento perché finisco con un largo anticipo e posso dedicarmi ad un altro progetto. In America gli albi sono annunciati sul catalogo del distributore Diamond tre mesi prima dell’uscita e quindi su una miniserie bisogna lavorarci 5, massimo 6 mesi, con numeri da 30 tavole comprese copertine, layout, modifiche. Io quindi non ho orari, mi sveglio presto, accompagno mia figlia a scuola e lavoro sulla pagina dalla mattina alla sera: verso le 19,00 la completo e la invio per la supervisione all’editor. Se va bene carico la pagina sul loro sistema Ftp, un sito dove è possibile caricare le tavole ad alta risoluzione per essere poi inchiostrate e colorate; se non va bene, devo fare le modifiche indicate in tempi brevi e questo significa che, specialmente per le copertine dove c’è l’urgenza di farle uscire in anticipo sul catalogo Diamond, la richiesta di modifiche mi può arrivare anche alle due di notte e spesso non è possibile posticiparle al giorno dopo, quindi devo mettermi al lavoro a qualsiasi ora sperando che poi le modifiche vengano approvate.
Ti occupi solo delle matite o anche dell’inchiostrazione?
Adesso mi sto occupando solo delle matite, ma avendo un tratto abbastanza pulito, mi digitalizzano la tavola e con Photoshop garantiscono poi quella pulizia necessaria per l’aggiunta del colore, riducendo tanto i tempi quanto i costi perché si salta un passaggio, ovvero l’inchiostrazione.
Come tu stesso hai detto, hai uno stile molto americano. Ne hai accennati alcuni prima, ma quali sono stati gli artisti che hai preso come modello di riferimento o che ti hanno influenzato maggiormente?
Trovandomi in età adolescenziale negli anni ’90, la scena dell’Image è diventata il mio immaginario moderno. Mi sono molto ispirato agli stili di Jim Lee, che tutt’ora amo ancora, di Mark Silvestri che adoro e soprattutto del compianto Michael Turner prima alla Top Cow e poi all’Aspen. Turner mi colpì molto fin dall’inizio, quando lavorava su Witchblade, e ho osservato molto il suo stile e la sua evoluzione, fino a Fathom e Soulfire.
Nella postura dei tuoi personaggi femminili, infatti, ricordi non poco lo stile di Turner. È stato dunque un gioco del destino che ti ha poi portato a lavorare per la casa editrice che lui aveva fondato?
Per me è stato un grande onore quando mi hanno contattato per disegnare l’evento di Soulfire “Search for the light” per il Comic-Con di San Diego 2012, con le copertine variant, delle quali, quella di Soulfire: Hope è stata molto apprezzata dai lettori americani perché per loro c’è un chiaro riferimento a Turner ma con la mia personalità. Per me è stato un onore che il mio lavoro sia entrato nell’immaginario collettivo di Soulfire da parte dei fan.
Tu hai disegnato per la Aspen anche Idolized, che è stato piazzato al terzo posto dei migliori 5 fumetti americani del 2012. Cosa ci puoi dire di questa esperienza?
È stato un lavoro che mi ha divertito tantissimo fare, sia perché non avevo mai disegnato una serie supereroistica con così tanti personaggi, sia perché era abbinata comunque a un rapporto “vivo” con i lettori. Praticamente era un reality show con supereroi e chi vinceva entrava nella, diciamo, Justice League di quel mondo. Era un fumetto interattivo, con i lettori che da Facebook sceglievano su una pagina apposita chi eliminare dalla competizione ed io praticamente dovevo seguire la pagina, con l’editore che mi diceva chi dovevo eliminare e la sceneggiatura veniva cambiata al momento. Un bell’esperimento, del quale io ho realizzato il volume 1, cioè quasi tutta la prima serie. Era composta da 5 numeri, con il primo disegnato da Micah J. Gunnell e successivamente fu passata a me che ho realizzato i restanti episodi.
Ultima, classica domanda: quali sono i tuoi progetti futuri?
Attualmente sto completando il volume/stagione 4 della serie di Iris per la Aspen, che si intitola All New Executive Assistant Iris e fa parte dell’evento del decennale della Aspen Comics, con l’uscita di dieci fumetti per i dieci anni dell’etichetta fondata da Turner. Per il futuro ci sono diverse cose in ballo, ma ora è presto per parlarne. Come dico sempre in questi casi, Stay Tuned!