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Paolo Pugliese

Paolo Pugliese

The Boys 11 – Gli Innocenti

Dopo le divagazioni del precedente volume, contenente le origini dei vari Boys, lo sceneggiatore Garth Ennis riprende i fili della narrazione principale, cominciando ad orientare gli eventi della serie verso una direzione chiara e precisa, avvicinandosi probabilmente alla sua fase finale. La storia di questo undicesimo numero, infatti, contiene diversi spunti importanti, che spostano in maniera ineluttabile lo status quo della serie, tanto per l’intreccio narrativo quanto per l’evoluzione dei personaggi principali.
Con la saga Gli Innocenti, viene finalmente rivelato uno dei tre segreti principali della serie (gli altri due riguardano le origini di Butcher e i piani del Patriota), ma non tanto ai lettori, quanto agli stessi Boys, i quali vengono a sapere della relazione tra un inconsapevole Hughie ed Annie/Starlight, il nuovo membro de I Sette: il gruppo che Butcher ha giurato di distruggere. Ed è proprio il capo dei Boys a scoprire per caso che i due sono amanti, cominciando a dubitare della fedeltà del suo pupillo scozzese e iniziando a tenerlo sotto osservazione. I sospetti di Butcher riguardo al fatto che Hughie possa essere una talpa avranno però conseguenze drammatiche, con pesanti ripercussioni all’interno del gruppo.

Al di là di alcuni elementi ricorrenti della serie, come le situazioni sul filo della commedia pecoreccia, il variegato turpiloquio e le gags sui cliché supereroistici, The Boys continua a portare avanti un percorso coerente di evoluzione dei suoi protagonisti, rivelando progressivamente gli aspetti più reconditi ed inquetanti della loro natura: in particolar modo parliamo di Annie, Butcher e Latte Materno. La prima evolve dalla sua sofferta militanza ne I Sette, sviluppando una maggiore consapevolezza di sé insieme ad una vorace curiosità sessuale, quest’ultima riversata sul rapporto con Hughie, evidenziando però zone d’ombra che ne minano l’equilibrio, a causa dei reciproci segreti che entrambi celano l’uno all’altro. Il secondo, Butcher, rivela invece l’aspetto più cupo della sua natura diffidente e manipolatrice: una personalità paranoica e senza scrupoli che lo porterà a mettere in pericolo Hughie, nonostante il sincero affetto provato per lui, pur di conoscere la verità. Latte Materno, infine, esce totalmente da suo ruolo defilato e subalterno, tirando fuori un carattere sanguigno ed impulsivo che gli fa commettere grossi errori di valutazione, esponendosi in prima persona con il nemico e al tempo stesso andando in aperta contrapposizione con Butcher. Tra i due, amici da tempo, si crea un solco profondo che mina il rispettivo rapporto di fiducia e collaborazione, aprendo inquietanti dubbi sul loro futuro, sia da un punto di vista professionale sia umano.

Hughie è il protagonista della saga, nonché ignaro fulcro intorno al quale ruotano molti eventi; nel corso della sua missione, inerente un gruppo di supereroi adolescenti più simile ai membri di una casa famiglia, dimostra di aver acquisito maggiore sicurezza professionale, bilanciata da suo carattere pacato e generoso, che trasmette stabilità emotiva anche alla sua neo-fidanzata Annie. Rimangono sullo sfondo i due personaggi del Francese e la Femmina, che appaiono giusto in un paio di tavole senza aver alcun rilevante peso nella storia.
È innegabile il talento di Ennis nel far interagire i vari personaggi tra loro, con dialoghi secchi e realistici, facendoli progressivamente evolvere attraverso situazioni, e conseguenti reazioni, spesso al limite. Sul fronte grafico, invece, il lavoro del disegnatore Darick Robertson si conferma un accompagnamento dei testi di Ennis senza picchi rilevanti di creatività o soluzioni visive degne di nota, nonostante una discreta padronanza nella scansione narrativa delle vignette, dal taglio cinematografico.

Flash Vol.1 – La Strana Morte Dei Suoi Nemici

Dopo un lungo periodo che lo ha visto apparentemente morto - durante gli eventi di Crisis of Infinite Earths, del 1985 - ma in realtà perduto nella dimensione conosciuta come la "Forza della Velocità", Barry Allen è tornato nella sua Central City insieme all’amata moglie Iris e ha ripreso sia il suo lavoro nel laboratorio scientifico della Polizia, sia il manto del velocista scarlatto. Il ritorno alla quiete di una vita normale sarà, purtroppo, breve per Barry, perché il ritrovamento del cadavere di uno dei suoi acerrimi nemici metterà bruscamente fine a questa situazione di calma apparente, costringendo Flash a confrontarsi non solo con i suoi vecchi nemici (tra i quali un redivivo e potenziato Capitan Boomerang), ma anche con poliziotti del futuro che intendono arrestarlo per un crimine che non ha ancora commesso, in una catena di eventi che culminerà nel ritorno della sua nemesi definitiva, l’Anti-Flash.
Primo volume dell’edizione italiana della nuova serie di Flash targata 2010/11, La Strana Morte dei Suoi Nemici vede l’acclamato sceneggiatore Geoff Johns continuare a scrivere le gesta di Flash, accantonando il velocista di questi ultimi anni, Wally West, per concentrarsi sul suo mentore, ovvero l’amatissimo ed indimenticato Barry Allen. La serie, già in questo primo volume, comincia a preparare le basi narrative per l’arrivo di Flashpoint, la miniserie cross-over che ha recentemente stravolto la continuity dell’intero universo DC, rilanciandolo con tutte le sue serie azzerate nelle rispettive numerazioni (compresa quella dello stesso Flash).

Nei primi otto episodi pubblicati in questo libro, Geoff Johns parte subito in quarta, ideando un intreccio narrativo ricco di spunti che gestisce con molto equilibrio, alternando tre livelli diversi di racconto: da un lato, l’autore si concentra sulla caratterizzazione idealistica e spaesata di un Barry Allen che, uomo d’altri tempi e intimamente tormentato dal suo passato, cerca di allinearsi con un mondo che è andato avanti durante la sua prolungata assenza; dal lato opposto, fedele al suo stile, Johns propone un ritratto parallelo ed intenso dei nemici di Flash, i quali non sono relegati ad un limitato ruolo di minaccia, ma vengono approfonditi con attenzione e cura, acquistando una complessa personalità (vedi Capitan Boomerang e Capitan Cold); tutto ciò contribuisce ad arricchire la narrazione complessiva che, con un’alternanza dei vari personaggi, diventa corale e imprevedibile.
Il terzo, ed ultimo livello di narrazione, comprende tutto quello che si sviluppa in mezzo ai primi due, giocando con il passato e il presente di Flash: segreti di famiglia, difficoltà di reinserimento sociale e professionale, minacce dal futuro, il lavoro come supereroe e le molteplici (quanto creative) variazioni dell’uso della sua velocità, si uniscono ad un confronto serrato con i suoi nemici storici, le cui azioni non sono mai gratuite, ma fedeli ad un disegno a lungo termine di evoluzione, sia psicologica che narrativa.

I disegni di Francis Manapul rappresentano un felice connubio visivo con i testi di Johns, frutto di uno stile lievemente spigoloso, dettagliato e sfumato, fortemente evocativo di certe atmosfere fumettistiche degli anni ’60, omaggiando in maniera moderna il tratto del grande Carmine Infantino, storico disegnatore di Flash. Si alterna ai disegni anche uno Scott Kolins che sconta il fatto di avere uno stile più generico che, però, risulta anche assai banale nella costruzione delle pose fisiche dei vari personaggi, penalizzate ulteriormente da una certa ripetitività nelle espressioni del viso, quasi sempre improntate sull’ira, con mascelle serrate e ringhianti.
Qualora ci fossero dubbi, il Flash di Geoff Johns si conferma un ottimo esempio di fumetto seriale supereroistico, che ha certamente il suo punto di forza nell’introspezione dei personaggi e la cui, unica, debolezza sta nella predilezione dello sceneggiatore per i villains, ai quali dedica molto spazio facendoli risultare spesso più interessanti dello stesso protagonista; questo avviene a causa di una caratterizzazione di Barry Allen improntata su un candido idealismo, che ne smorza un po’ il carisma (a differenza invece del precedente Wally West), oltre a uno spazio molto limitato dedicato al rapporto con la moglie Iris, che rimane un po’ sacrificato sullo sfondo, con brevi intermezzi, alternati a flashback sul loro passato. Da uno sceneggiatore attento come Johns ci si aspetterebbe qualcosa di più, anche alla luce dell’ottimo lavoro svolto sulla testata del velocista rosso; forse lo scrittore sta ancora prendendo le misure con questa icona della DC comics e quindi possiamo perdonargli un’analisi interiore del personaggio non ancora completamente focalizzata.

Batman 50

Duplice compleanno questo mese per la testata italiana dell’Uomo Pipistrello, che festeggia sia il suo cinquantesimo numero, sia la pubblicazione al suo interno dello speciale Batman 700: un albo celebrativo, con un numero maggiore di pagine rispetto al normale, che ospita l’episodio in quattro atti The Time and the Batman, scritto da Grant Morrison e disegnato da vari artisti a rotazione.

Con una trama intelligentemente ad hoc, Morrison esalta la longevità del personaggio e al tempo stesso traccia una sorta di compendio alle sue stesse storie del Cavaliere Oscuro. Lo psichedelico autore scozzese ha costruito, in pochi anni, un complesso affresco narrativo che ha rafforzato l’iconografia di Batman senza negare o azzerare il suo lungo trascorso editoriale, attraverso un esercizio agiografico e calligrafico che ne sancisce in maniera definitiva il mito recuperando trame, personaggi ed idee dal suo passato. Là dove molti avrebbero fatto tabula rasa, Morrison ha invece portato avanti un lucido disegno di giustificazione di eventi narrati in storie classiche e dimenticate, pubblicate negli anni ’50 e '60, ribaltandone l’ingenuità ed isolando determinati concetti (ad esempio, Il Batman di Zur-En-Arrh oppure il folletto Bat-Mito), per poi innestarli in un intreccio labirintico di nuove trame, solo ad una prima lettura criptiche, contenenti citazioni della vecchia continuity, characters ai confini dell’onirico, un ritratto visionario e germinale del trittico Bruce Wayne/Dick Grayson/Damian Wayne e concetti avanguardistici (come quelli dell’essenza di pallottola o degli Dei intesi come idee viventi).

Continuando a giocare sull’alternanza tra presente, passato e futuro nella mitologia dell’eroe di Gotham, con The Time and the Batman, lo sceneggiatore propone una trama spezzetata nel tempo ed incentrata su un caso misterioso che attraversa tre generazioni di Cavalieri Oscuri; una macchina probabilistica temporale (il cui concetto è l’essenza stessa della storia in questione e dell’intera run di Morrison), un omicidio impossibile, il Joker, DueFacce e l’eredità di Batman vengono narrati attraverso quattro capitoli corrispondenti ad epoche e contesti diversi: “Ieri”, con il Batman originale Bruce Wayne, “Oggi”, con il secondo Batman/Dick Grayson, “Domani” con il manto oscuro indossato dall’implacabile Damian Wayne ed infine “DopoDomani”, in cui viene definitivamente inserito nel pantheon narrativo dell’eroe la versione del futuro creata per la serie animata “Batman Beyond”. Siamo di fronte a una storia dotata di una complessità che però, nella sua essenza celebrativa, è in gran parte (ma non completamente) slegata dall’architettura narrativa creata da Morrison, e quindi di più agile lettura, tra l’altro impreziosita dall’apporto dei vari Tony Daniel, Frank Quitely, Andy Kubert e David Finch, i quali plasmano in maniera pregevole quattro Batman diversi per ambientazioni ed atmosfere, suggellando la prosecuzione della loro dinastia.

La lettura prosegue con una storia dai toni malinconici e di reminiscenza scritta dal grande Denny O’Neil. Il più famoso e celebrato autore di Batman realizza, anche lui, un'avventura giocata tra passato e presente, ma lo fa sia omaggiando l’estetica anni ’40 del personaggio, sia alternando in un duplice binario narrativo un certo candore avventuroso, tipico dei fumetti d’epoca, contrapposto allo stile moderno, adulto e tagliente. Questo contrasto viene visualizzato anche con un duplice stile di disegno, con tanto di effetti speciali grafici che riproducono l'usura di pagine consumate dal tempo.
Una gallery di pin up di vari artisti, unita ad uno spettacolare e dettagliato diorama grafico della Bat-caverna, chiudono degnamente il sommario di un albo il cui acquisto non fa assolutamente rimpiangere i quasi 6 euro di prezzo, a fronte di una foliazione di 80 pagine.

New Ultimates n.1 (di 3)

Continua il cammino editoriale della mini-testata antologica Ultimate Comics, proponendo, alla sua quinta uscita, i primi due episodi della maxiserie New Ultimates.
Drastica e ruvida versione della classica Avengers/Vendicatori, immaginata da Mark Millar, The Ultimates arriva in Italia con la sua quarta stagione, aggiungendo il New al suo titolo: la sostanza, però, è sempre la stessa, a firma di Joeb Loeb, ovvero molto distante dalle atmosfere e dai contenuti originali della serie.
La trama può essere riassunta in pochissime righe: approfittando della morte di Thor (durante gli eventi di Ultimatum), il fratellastro Loki giunge sulla terra accompagnato dall’Incantatrice e da un’orda di orchi.
Così, tanto per fare qualcosa di diverso.
Intanto, mentre Thor nell’aldilà se la spassa con Hela, signora di facili costumi del Valhalla, la Valchiria frigna e gli Ultimates sono allo sbando: vengono prima picchiati dai sedicenti Difensori (dei cosplayer supereroistici potenziati) e poi da Loki, che spinge tutte le donne degli Ultimates (usate come oggetti sessuali o punching-ball) a fare una neo-rivoluzione femminista. In mezzo alla battaglia, capitano per caso Ka-Zar e Shanna, mentre (letteralmente) passeggiavano con Pantera Nera al guinzaglio.

Il sarcasmo, di cui l’autore di questa recensione si scusa, è d’obbligo di fronte alla superficialità ed alla gratuità narrativa del lavoro di Loeb. Mantenendo la linea editoriale da “blockbuster” a fumetti, si predilige una certa, superficiale, sensazionalità nei testi, puntando molto - troppo - sul lato estetico/visivo, con l’apporto del bravo Frank Cho: artista dallo stile morbido ed elegante (soprattutto per quanto riguarda le figure femminili), ma non completamente a suo agio con i toni della serie.
Sono ormai lontani i tempi nei quali gli Ultimates erano felicemente caratterizzati da contenuti e timbri fortemente politici e caustici, con una certa critica alla società egomaniaca ed alla politica imperialista degli Stati Uniti, attraverso anche le caratterizzazioni dei personaggi, poco corrette e poco rassicuranti. L’approccio narrativo di Loeb, invece, è di grana molto più grossolana, improntato sull’intrattenimento più classico e fine a sé stesso dei fumetti di supereroi: enormi scazzottate che accompagnano sviluppi non supportati da giustificazioni logiche coerenti, con diversi siparietti e dialoghi che sembrano essere buttati lì per caso, a causa del filo narrativo che li lega troppo esile per fornire un raccordo credibile al racconto.

Memore comunque delle critiche piovutegli addosso dopo la precedente miniserie, l’autore prova a correggere il tiro inserendo testi e dialoghi più profondi, tramite i quali cerca di dare spessore ai vari personaggi, rimanendo comunque fedele al suo approccio abituale (come lo stesso Cristiano Grassi ammette, con onestà intellettuale, nei redazionali dell’albo). Le idee di caratterizzazione da parte di Loeb si rivelano però convenzionali e fallaci: nei due episodi in sommario, gli eventi sono intervallati da becere strizzatine d’occhio meta-erotiche e soprattutto da dialoghi didascalici con il lettore, prima da parte di Iron Man e poi di Capitan America, che ne riassumono il passato e la personalità in maniera calligrafica e, narrativamente, superflua, appesantendo una sceneggiatura superficiale che, in quanto tale, diventa anche scontata e noiosa.

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