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Cris Tridello

Cris Tridello

I 30 anni di Dago: Intervista a Robin Wood e Carlos Gomez

  • Pubblicato in News

DAGO_1003Dago, il figlio della daga, fece il suo esordio in Argentina nel primo numero di Nippur Mágnum Todo Color, la bellezza di trentanni fa.
Il compleanno del personaggio è stato celebrato recentemente a Uchronia Comics, alla presenza del creatore Robin Wood e del disegnatore che ha raccolto la matita di Alberto Salinas: Carlos Gomez.

Noi di Comicus, grazie all'aiuto essenziale di Fabio Romiti di Uchronia Comics, abbiamo intervistato i due autori e abbiamo atteso, per proporvele, la pubblicazione della prossima grande saga legata al Giannizzero Nero: "Il Nabucco".
La saga celebra l'incontro di Dago con il nostro Giuseppe Verdi e sarà pubblicata su Lanciostory 48, in edicola dalla prossima settimana. Grazie all'Aurea siamo in grado di pubblicare alcune tavole, colorate da Claudio Moreno, della storia che segna un altro tassello nel mosaico che forma la vita del fu Cesare Renzi.
 

Nippur Mágnum Todo Color

Intervista a Robin Wood

Intervista a Carlos Gomez

I 30 anni di Dago: intervista a Robin Wood

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Robin-Wood

N.B. Nel trascrivere l'intervista, che è stata condotta in italiano, si è voluto lasciare, il più possibile, quella forma a volte sgrammaticata dovuta alla parlata dell'autore. Tale scelta è stata fatta così da mantenere fedeli le risposte alle nostre domande.

Quanta strada ha fatto Dago dalla sua prima apparizione in Nippur Mágnum Todo Color numero 1 di 30 anni fa? Quanta strada ha invece fatto Robin Wood?

La strada di Dago è appena iniziata. È appena iniziata perché ogni giorno troviamo nuove cose. Vedi… la fantasia è un cane che ti mangia vivo. Dago l’ho cominciato trent’anni fa, oggi io continuo, anzi continuiamo, a sentirlo come nuovo e come se fosse iniziato ieri.
È iniziato ieri? Oggi lo faremo meglio.
Abbiamo una gran passione per il personaggio. Questo è amore e Dago è un figlio. Un figlio un po’ troppo grande e cattivo, ma i figli non sono mai perfetti.
Per quel che riguarda la mia carriera… scrivo, niente di più straordinario di quello.
Lo faccio con piacere, lo faccio tutti i giorni; quando non lavoro per tre o quattro giorni non mi sento bene, devo fare qualche cosa. Sono fortunato, ho trovato un lavoro che mi piace ogni giorno di più, amo il mio pubblico e senza il pubblico non esisto. Il pubblico mi ha fatto, non sono io ad aver fatto il pubblico. Per questo sono dedito a loro e faccio il mio meglio per essere degno di loro.

A distanza di trent'anni dalla nascita Dago continua ad avere numerosi fan in tutto il mondo e soprattutto in Italia; come mai secondo te?

Semplice, Dago è umano. Non è un supereroe, non è un cattivo, è tutto questo insieme. Può essere un eroe e anche cattivo. Dago è un uomo cui piace, la sera, prendere un po’ di vino, prosciutto, pane e guardare il mare. Uno che s’innamora… un poco sì e un poco no; l’amore è una cosa personale di ogni uomo e ogni donna.
Dago fondamentalmente è un uomo buono, ma può essere crudele, crudele contro un uomo crudele, mai contro uno che non si può difendere. Dago è famoso perché è umano, semplice, non c’è una ragione precisa.

Come si riesce a mantenere vivo e attuale un personaggio dopo tanto tempo?

Io non penso mai quando scrivo, non so cosa vado a scrivere, non ne ho idea. Incomincio e penso: “Beh cosa faccio? Boh?!?” Pianificare, non esiste; la prima riga, quella esiste.
“Il sole si è alzato… bla, bla… biondo… fuoco nel cielo…” e tre ore dopo è fatto.
A mano, perché non scrivo con la macchina. Dopo sì, per fare la guida dei disegni e tutto il lavoro tecnico, allora uso il computer, ma la creazione non posso farla altrimenti.
Ho provato con la vecchia macchina per scrivere, anche con il computer, anche con un registratore, ma non posso. Non va, ho bisogno della mano, della penna, della carta e quello è tutto.
Niente di più, niente di straordinario: semplice al 100%.

Un personaggio dalla vita trentennale come Dago, si può ancora considerare di fantasia e non esistente? Se tu smettessi di scriverlo, Dago continuerebbe ad esistere?

Sì, continuerebbe ad esistere. Io morirò un giorno, ma Dago non rischia quello.
Dago è una cultura umana, come ho già detto, lui è un eroe senza essere un supereroe… è un essere umano. La gente può capire quello che pensa, essere d’accordo o no, ma non è una cosa che non si può capire, che non si può giudicare. È un uomo di oggi, un uomo di ieri, un uomo di sempre.

È moderno anche se vive le sue avventure nel mondo di seicento anni fa.

Esatto, io ho letto le memorie di Benvenuto Cellini, amico di Dago e ho pensato: “Questo può essere scritto oggi”.
La sua mentalità era la mentalità di un’epoca, ma era un uomo pensante, era un ribelle.
L’uomo continua a essere uomo; le cose cambiano ma l’uomo è se stesso, non cambia.
Cellini parlava, di donne, della festa, dell’avventura. Quello è un sogno di oggi, un sogno di sempre e qualcuno aveva il coraggio di cercarlo, trovarlo, viverlo.
Dago non è Cellini; ad esempio Dago non cerca l’avventura. È l’avventura che va da lui, lui non è un cacciatore di donne, ma non dice mai no. Se una gli chiede di andare a letto lui risponde ”Se insisti, farò uno sforzo, ma va bene.”

In parte hai già risposto ma ti sei mai trovato in difficoltà nel pianificare il viaggio di Dago?

No, ho la difficoltà di non poter fargli fare tutto quello che voglio.
Ad esempio, adesso sto facendo il Verdi, una saga lunghissima.
Mi hanno chiamato dal Teatro Regio di Parma, io non sapevo niente e il colloquio si è svolto, più o meno, così: mi hanno detto: ”Senti Dago è un eroe, tutto il mondo legge Dago. Giuseppe Verdi: tutto il mondo conosce la musica di Verdi, ma della persona di Verdi, cosa si sa? Tu puoi fare qualcosa? Non sappiamo come, ma puoi fare “Dago e Verdi”?”
Ho pensato: “Si può fare? 1500 e 1800, come si può fare?” Ho continuato a pensare e ho detto loro: ”Fatto.”
“Come?” mi hanno risposto
“Ho già capito come farlo”
“Ma come? Hai già capito.”
“È fatto… ho l’idea, tutto chiaro, non abbiamo nessun problema.” Ho detto io.
“ Ah mannaggia… e quando incominciate?” hanno risposto loro.
“Iniziamo oggi.”…ed ho iniziato, abbiamo due già due capitoli della prima parte che si chiamerà "Nabucco".

I disegni di chi saranno?

Disegni di Carlos Gómez. La storia sarà in due parti: la prima parte si concentra su Verdi quando incomincia, giovane fracassato, tutto disperato per la morte della sua signora e dei suoi bambini, il fracasso della sua opera buffa (“Un giorno di Regno” seconda opera di Verdi N.d.R.) e Solera (Temistocle ndr.) che porta il libretto di Nabucco.
Verdi non vuole scrivere, ma prende un libro che Merelli (Bartolomeo ndr.), gli porta dicendogli: “Prendi Giuseppe, puoi leggere questa storia di un monaco che ha fatto una ricompilazione della storia di un rinnegato, schiavo e bandito del 1500.” E così Verdi incomincia a leggere di Dago.
Non è strano?
E incomincia la storia di Dago, di quando era schiavo in Africa; legge di quest’uomo, di come ha deciso di sopravvivere e di come, per la brutalità dei barbareschi ha deciso, di andare ad aiutar gli altri.
Poi passiamo a Verdi; Verdi che pensa: “Guarda, duecento anni fa un italiano, schiavo, che voleva la libertà. Oggi anche io e tutta l’Italia, vogliamo la libertà. Ho un altro italiano, che cerca la stessa cosa che cerco io” e continua a leggere.  Questo è il primo capitolo… e dopo si continua: la battaglia di Dago nel deserto, la battaglia di Verdi con Nabucco... e così via.
E dopo ci saranno Rigoletto, Aida, I Lombardi alla prima Crociata eccetera; tutto fino alla fine, quando Verdi è vecchio e va a morire; si tranquillizza la porta si apre, Dago entra e il ballon dice: “Amico mio ci vediamo, sono pronto. Ciao”. Verdi chiude gli occhi e a tutta pagina: “Va pensiero con l’ali dorate…” e tutto il coro di Nabucco. È iniziato là e va a finire là. La chiusura perfetta, almeno credo.
La mia signora può testimoniarlo (dice indicando la moglie presente nella stanza ndr.) l’idea mi è venuta subita, dopo ho iniziato a mettere i dettagli, ma l’idea centrale mi è venuta subito.

Questo è talento.

Non lo so, io non uso mai questa parola. La gente mi dice se va bene o no, ma io lo faccio per piacere; mi piace, se è buono meglio, ma io prendo l’opinione della gente. Io sono veramente, o almeno credo di esserlo, modesto. Ho avuto la fortuna di avere questa facilità nello scrivere. Ho trovato che scrivere è facile, creare è facile per me e questo è tutto. Niente di straordinario, niente di grande.

Sei famoso per tanti personaggi…

Novantadue.

Esatto… con la stessa facilità affronti Dago, Gilgamesh, Nippur, Savarese, Amanda e altri. Come riesci a giostrare tra tutti questi personaggi?

Ora mi occupo di cinque personaggi, perché non posso avere di più; parliamo di venti episodi al mese.
Io mi pianifico così: oggi faccio un Dago… ho i miei disegnatori di cui sono responsabile; non è che io sono là con gli angeli, io sono lì con i lavoratori.
Loro lavorano, io lavoro.
Allora, oggi lavoro per uno, domani per l’altro, domani per l’altro ancora, domani per l’altro ancora e il week end…c ombattimento con la mia signora che mi dice “Oggi no, finito. Oggi ti occupi di me, del cagnolino, eccetera”.

Le vicende di Dago s’intersecano spessissimo con eventi storici reali, eventi che tu a volte modifichi in modo da poter inserire il tuo personaggio nel miglior contesto possibile. Quanto è importante essere storicamente accurati in Dago?

La Storia è una cosa meravigliosa. Io sono fanatico della Storia, essa è straordinaria ma non tutti i fatti, se ben analizzati, risultano veritieri.
Quando ho scritto di San Marino (“La Leggenda di San Marino”, storia scritta in occasione di Uchronia Comics e uscita tra luglio e agosto su Lanciostory ndr.) ho letto tutto a riguardo, ho studiato di documenti, letto libri etc. C’era una cosa che non mi chiudeva: l’ultimo combattimento di San Marino, quando è venuta tutta questa gente armata, che si credeva inviata dal vaticano.
1500 uomini di armi per attaccare San Marino... e San Marino aspettava.
Dopo hanno detto: ”Era una notte di nebbia e gli eserciti non riuscivano a trovarsi tra loro.”
E ho pensato: “Strano… nebbia”.
Prima di tutto cosideriamo la montagna. Quale esercito dell’epoca attaccava una fortezza in cima a una montagna di sera? Certo, può darsi. Ma, senti, la montagna è così (dice Wood mimando con le mani la forma della montagna ndr.); per salire su una montagna... certo può esserci la nebbia ma... no c’era qualcosa di strano. Per quello ho deciso che i Sanmarinesi avevano battuto la gente mandata dal Papa; avevano vinto, e quindi bisognava decidere cosa fare. Ridicolizzare il Vaticano facendo sapere che il loro attacco non aveva avuto successo? No, ho ipotizzato che si fossero messi d’accordo.
Quindi, i Sanmarinesi dissero ai soldati del Vaticano: ”Ti abbiamo dato una lezione, chiudi il becco tu, chiudiamo il becco noi… dite che ci siamo perduti nella nebbia, e non ci siamo affrontati.
Tu puoi partire, noi restiamo e qui non è successo niente.
Tu dimenticherai col tempo, ma noi ce ne ricorderemo.” E così nacque la leggenda dei due eserciti che si sono perduti nella nebbia, in una montagna, eccetera…
Io ho creato questo, può essere la verità o no. Chi lo sa, la Storia è piena di cose strane, lasciate all’immaginazione. La Storia è una cosa meravigliosa.

Dago e stato creato da te e Salinas; c'è ancora qualcosa di Cesare Renzi nel Dago di oggi?

Il personaggio era un playboy di Venezia. Io ho avuto l’idea di Dago quando sono restato a Venezia dopo un viaggio e ho trovato una città di mistero, di silenzio, di oscurità: meravigliosa. Allora… lui era un playboy, arrogante, bello, ricco eccetera. Dopo è diventato uno schiavo, subito dopo ha dovuto imparare a essere servile e intelligente per sopravvivere… è cambiato. Dopo aver visto la sua famiglia ammazzata, assassinata, è diventato amaro, violento, crudele, e dopo… Cesare Renzi è morto, ed è nato il figlio della Daga, per quello lo chiamano Dago; dopo incomincia le sue avventure e, poco a poco, questa amarezza diventa più morbida, tranquilla; continua ad avere il sogno della vendetta, ma lo sfoga con i criminali. Con loro sfoga, la sua amarezza, la sua furia, il suo desiderio di morte, ma allo stesso tempo ha visto troppo della vita, della miseria della gente; ha visto troppo sangue, troppe guerre, e incomincia a essere più umano, diventa umano, ma veramente umano. Prima è stato un figlio ricco, poi un animale di vendetta e poi incomincia a pensare e a guardare ad apprezzare le cose, un amico, una donna.

Cresce in lui il desiderio di fermarsi, cosa che, tempo fa, cercava di non fare mai.

Sì, incomincia a guardare a vedere il mondo, prima era cieco. Non vedeva niente più che la sua vendetta, ora incomincia a vedere il mondo, la gente, le piccole cose. Diventa umano. L’uomo.

Se un giorno dovessi porre termine alle avventure di Dago come sarebbe l'epilogo? Il giannizzero nero troverà la pace solo nella morte o riuscirà a raggiungere un equilibrio in altre maniere?

Non lo so, perché non l’ho scritto. Ti ripeto, io non penso mai a quello che scrivo. Dago pensa, io no. Io incomincio a scrivere ma non penso mai alla fine, la fine è un'altra cosa. Arriverà un giorno, può essere che un giorno dirò: “Qui!”. Come è successo con altri personaggi, capirò che quello è il momento giusto. Una situazione giusta, qualcosa che lasci il lettore, che per me è la cosa più importante, che lasci il lettore commosso, felice, triste, tutto… pieno di cose in un solo colpo che ricorderà per anni.
Alla mia maniera io faccio musica.

Tu sei un autore importantissimo delle Historietas. Cosa ti fa provare sapere della scomparsa di Carlos Trillo e Solano López? Ti trovi spesso con altri autori di fumetti per parlare delle vostre opere?

Trillo e López li ho conosciuti poco, come anche gli altri autori di fumetti.
Io ho incominciato a scrivere i fumetti per caso e ho incominciato a guadagnare bene, pur essendo un ragazzo miserabile con solo cinque anni di scuola; vivevo nella strada, quasi, ma, da subito, devo dire, dalla partenza ho avuto successo.
Nippur è diventato un successo, Jackaroe, Dennis Martin… tutto quello che facevo aveva successo; ho incominciato a guadagnare denaro, molti soldi e ho deciso: “Fino a ora ho passato dieci anni nelle fabbriche; io voglio vedere il mondo, quel mondo di cui ho letto tutto... adesso voglio vederlo.”
Ho comprato un baule da viaggio, una lettera 22 (celebre macchina per scrivere della Olivetti ndr.), un passaggio a Napoli e per venticinque anni ho viaggiato per tutto il mondo.
E non ho pensato mai… non ho mai deciso preventivamente cosa e come vedere il mondo, pensavo: “Sono a Napoli, dopo Napoli? Andiamo in Svizzera…”, e dopo, Turchia e dopo Israele e così via, non ho mai pensato… io sono come Hillary (Sir Edmund Percival Hillary, noto scalatore ndr.) che, quando è andato nell’Himalaya gli hanno chiesto: “Perché fa queste cose? Perché scala le montagne?” E lui ha risposto, “Perché sono là”.
Io ho fatto lo stesso e per anni e anni e anni ho visitato tutto il mondo. Allora non avevo contatti con i disegnatori, artisti eccetera… a volte ho passato anni senza vedere i miei fumetti. Ogni due anni venivo, per tre settimane, a Buenos Aires e guardavo i miei fumetti dicendomi “Scrive bene questo ragazzo”. Non ho avuto molti contatti con autori: amici sì, come Lucho Oliveira (disegnatore di Nippur di Lagash e Gilgamesh N.d.R.) o come Carlos o come Joan Mundet (altro disegnatore di Dago ndr.), ma non sono mai stato un appassionato delle riunioni tra fumettisti… tra fumettisti, di cosa si parla? Di fumetti… io non parlo di fumetti, io li scrivo.
Parliamo d’altro: di donne, di avventure, di boxe, di tennis; ma non parlare di fumetti, di fumetti non si parla, si fanno. Ed io il fumetto lo scrivo, lo vivo, lo amo; niente di più. Semplice, sempre tutto semplice.

Un'ultima domanda: il futuro. Che cosa riserva a Dago l’hai già raccontato… e a te, cosa riserva il futuro?

Il futuro sarà domani.
Senti, la vita… ora vado a diventare, come si dice in spagnolo, “pomposo”, molto intelligente… la vita è il più grande presente che noi abbiamo ricevuto. Avere una vita, tutta una vita, per noi.
Io vivo oggi… domani sarà un'altra cosa, un altro divertimento, un'altra gioia, un altro qualche cosa. Oggi sono felice, la maggior parte del tempo mi sento felice, credo che tu ormai l’abbia cominciato a capire; sono superficiale, in un certo senso, non mi prendo sul serio. Per me Robin Wood è un individuo con cui abito… non è male, è sopportabile, a volte un po’ pesante, certo, ma io devo vivere con lui. Allora è meglio vivere in amicizia, allora gli dico: “Robin Siediti, non essere pesante, tranquillo, parliamo.”
La vita.
La vita è domani, oggi, questo minuto un’ora di più. Semplice.

Grazie mille, è stato veramente un piacere.
Anche per me è stato un piacere.

“Mama è ora di andare a casa” dice Wood rivolgendosi alla sua signora, poi rivolgendosi ancora verso di me conclude: “Questo lo faccio perché ci sei tu qui, sennò sarebbero guai.”

I 30 anni di Dago: intervista a Carlos Gomez

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Carlos-Gomez

N.B. Nel trascrivere l'intervista, che è stata condotta in italiano, si è voluto lasciare, il più possibile, quella forma a volte sgrammaticata dovuta alla parlata dell'autore. Tale scelta è stata fatta così da mantenere fedeli le risposte alle nostre domande.

A distanza di trent'anni dalla nascita, Dago continua ad avere numerosi fan in tutto il mondo e soprattutto in Italia; come mai secondo te?

Io credo che questa attualità che Dago possiede ancora, dopo trent’anni da che è stato creato, è merito dello sceneggiatore Robin Wood e delle storie di Dago più che dei disegni, visto che siamo in molti a disegnarlo ma il personaggio ha lo stesso successo indipendentemente dai disegnatori.
Io ti parlo da lettore di Dago e il lettore ama quelle storie che hanno un fondo di umanità nel quale sa riconoscersi; non è tanto una questione di sviluppo o di storia se il lettore può capire che questi disegni non sono solo macchie sulla carta e che dietro c’è un personaggio quasi vero, con emozioni e debolezze, come il lettore stesso. Se il lettore trova un essere umano sulla carta, allora questa storia può durare per sempre, per tutta la vita.

Un personaggio dalla vita trentennale come Dago, si può ancora considerare di fantasia e non esistente? O si può ritenere Dago reale come una persona vera?

Penso che Dago si possa ritenere un personaggio reale; ci sono persone che lo leggono e si innamorano di questo personaggio e alla fine Dago è diventato più vero delle persone vere; mi sembra, che col tempo, il lettore riesca a capire la sua personalità, la personalità del personaggio creato e, alla fine, lo conoscono più di un essere umano vero, il quale ha dei lati nascosti che ti fanno allontanare. Invece Dago ha un lato interiore ben visibile ed esposto, il lettore riesce a vederlo bene e questo lo rende più vero del vero.

Da quando hai, prima, affiancato e poi sostituito Salinas più di quindici anni fa, fino ad oggi, quanto è cambiato Dago e quanto Gomez in questi anni?

Io come disegnatore sono sempre alla ricerca di fare le cose non tanto brutte come prima, ma meglio. Adesso che vedo i disegni di Dago, non dico 1996 ma del 2000 o del 2008, mi dico: “I ragazzi dell’Aurea sono buoni ad aver pubblicato questi disegni e mi hanno fatto un vero favore”.
Io vedo che Dago non è lo stesso del primo Dago, che i lettori volevano simile a quello di Salinas. Non è facile per un lettore che è abituato, da anni, alla caratterizzazione di un personaggio, vederlo cambiare in un'altra cosa. Io ho cominciato facendo il personaggio più simile che potevo a quello di Salinas, poi, piano piano, la mia personalità è uscita. Dopo qualche anno disegnavo Dago come piaceva a me e, per dire, all’epoca del sacco di Roma, Dago era più mio che di Salinas.
Altre cose che posso dire, di me stesso, è che col tempo ho tentato di trasmettere, con le espressioni, le emozioni di Dago e lo sforzo per fare questo mi ha fatto imparare di più l’anatomia e ho dovuto lavorare molto sulla faccia di Dago. Questa è la ragione che mi ha fatto modificare il viso di Dago in modo da renderlo più efficiente per rendere queste espressioni. Occhi più grandi, sopracciglia più pronunciate etc. Ancora oggi, dopo 8800 tavole, faccio fatica a disegnare la faccia di Dago e devo cancellare molto.

Nell'epoca di Internet e dell'informazione a portata di mano, è cambiata la tua maniera di documentarti e di lavorare?

È impossibile lavorare con i tempi stretti che abbiamo senza utilizzare tutti questi mezzi che troviamo adesso. Ora io lavoro molto con internet, ma solo usandolo come approccio al soggetto e dopo, alla fine, finisco comprando su Amazon, o altri siti, i libri che mi servono, o cercando in un altro modo la documentazione che mi serve. Una volta era diverso, la documentazione la potevi trovare solo sui libri che dovevi comprare o potevi trovare in biblioteca. Ad ogni modo, dopo sedici anni di lavoro ho una grossa biblioteca: ora quando devo disegnare, ad esempio un battello, ho già il libro adatto; ho libri riguardanti le mutande usate nel rinascimento e altre riguardanti le armi e le battaglie dell’epoca. C’è comunque, sempre, questa ricerca iniziale; per me è una gioia il fatto che Robin non smetta mai di farsi venire nuove idee che mi fanno impazzire. La ricerca è una fase che mi piace molto, certo potrebbe essere più facile se Robin non fosse una tale fucina di idee, ma sarebbe anche molto più noioso. Internet è un grosso strumento, così come il computer, ed è giusto usarlo; sono strumenti potenti e, se chi li utilizza non ha un’idea precisa di cosa vuole ottenere, allora questo strumento diventa l’autore del fumetto; se invece uno padroneggia lo strumento, allora quel che ne esce è qualcosa di buono. Il fumetto continua a essere fumetto; tu puoi utilizzare il computer e magari nessuno lo nota e, questo salto tecnologico, non si nota, anche se c’è. Questo è il segreto di un lavoro armonioso, non si vede dove finisce il lavoro fatto al computer e dove inizia quello fatto a mano.

Qual è la tua metodologia di lavoro per Dago? Come fai a realizzare così tante tavole ogni settimana?

Con Robin lavoriamo da tanto, lui mi lascia libertà completa ed io posso fare quello che voglio… anche perché quando a lui arrivano le tavole, è troppo tardi e non c’è il tempo di fare modifiche. Non c’è il tempo di inviarle per il controllo, farle ritornare e dopo mandarle in stampa. È come lavorare senza rete di sicurezza e dodici tavole settimanali sono un bel ritmo; ho un ragazzo che mi aiuta che si chiama David Tejada; mi da una mano a inchiostrare e a fare altro. Io faccio le matite di quasi tutto; per gli sfondi creo la scena in 3D, al computer, dopo aver fissato la camera. Stampo il risultato e, sopra di questo, io disegno i personaggi e li chino; lui passa il 3D al tavolo luminoso e lo porta sulla tavola. Questo è un grosso aiuto, perché riusciamo a risparmiare tempo e riusciamo a dare una resa realistica delle scene, visto che, alla fine, è come se il lettore fosse dentro la scena; egli guarda la tavola e, senza rendersi conto, si trova nella scena visto che la camera è sempre piazzata dentro la scena. Quando ci sono dei dialoghi, che durano molte vignette, il movimento della camera ha una logica e non ci sono salti. Cerco di muovere la camera in maniera logica, simulando che il lettore sia lo spettatore della scena.

Ci sono personaggi e luoghi che hai amato disegnare? Chi o quali luoghi hai invece odiato?

Ho paura di essere ingiusto, in quanto non ho una grande memoria e mi dimentico di storie complete. Mi salta alla mente la storia in Sud America, con Dago con gli Indiani in Amazonas che mi è piaciuto molto disegnare. È stato faticoso, perché l’ambientazione selvatica era pesante da fare, ma mi piaceva.
Anche la storia della compagnia della spada che si svolgevano a Padova, con 15-16 spadaccini, tutti personaggi reali, mi è piaciuta; dover disegnare personaggi esistenti, insieme all’architettura di Padova, mi è piaciuto molto.
La storia ambientata a Lucca è stata la prima che ho disegnato dopo essere stato fisicamente sul posto, quindi ho potuto disegnare quello che avevo visto e vissuto. Siamo stati a Lucca in occasione della fiera, insieme con Robin Wood, e lì abbiamo deciso di ambientare una storia in quella città, quindi ho potuto cominciare il lavoro di documentazione direttamente sul posto.
Per quel che riguarda i personaggi che ho amato, questi sono stati tanti: c’e n’era uno che si chiamava Joao, era un portoghese amico di Dago e lo aveva conosciuto all’Amazonas; quello era un bel personaggio.
Le ragazze… ogni una ha una storia particolare; la ragazza a Lucca con i capelli biondi (Lorena ndr.) l’assassina mi è piaciuta, in quanto era un personaggio forte.

Dove ti piacerebbe condurre Dago?

Io abito a Cordoba, che è una provincia ed una città dell’Argentina. Prima che arrivassero gli spagnoli, la regione era abitata da molti popoli differenti, che avevano ciascuno la propria cultura. Tra questi popoli ce n’era uno che faceva dipinti sulla pietra: i primi dipinti sono stati fatti a distanza di mille anni rispetto all’ultimo e ultima figura, che loro hanno dipinto, è un uomo sopra a un cavallo. Poi più nulla, finito. Ciò è molto simbolico, praticamente l’arrivo degli spagnoli ha segnato la fine di una cultura millenaria. Mille anni di cultura di un popolo che, tra le altre cose, disegnava sulla pietra.
Bene… a me sarebbe sempre piaciuto che quest’uomo sul cavallo, da loro dipinto, fosse Dago. Abbiamo già parlato, io e Robin, di questo; abbiamo anche fatto qualche schizzo a riguardo ma ancora nulla all’orizzonte. Sono sicuro che, prima o poi, questa storia si farà.

Quest’anno ci hanno lasciato due importanti figure del mondo del fumetto e delle historietas: Carlos Trillo e Solano López. Questi autori hanno avuto un qualche ruolo, anche simbolico, nella tua vita?

Con Trillo non ho avuto la possibilità di lavorare, ma è stato un idolo per me come lettore. Sono stato anche a casa sua una volta, da ragazzo, tentando di lavorare con lui ma senza riuscirci.
Solano l’ho salutato l’anno scorso a Cordoba durante una fiera del fumetto; lui ha parlato de L’Eternauta e della sua vita, una vita molto dura visto che ha dovuto attraversare molte sofferenze. Ho sempre guardato al suo disegno come basicamente onesto, perché lui disegnava quello che vedeva, senza sofisticazioni, il suo non era un disegno elaborato ma un disegno spontaneo, onesto; metteva sulla carta un disegno diretto e spontaneo, certo dopo ci potevano essere delle correzioni o pulizie, ma sempre di particolari che non erano il vero fulcro della sua opera.
Io penso che, quando questi grandi maestri ci lasciano, ci sentiamo come se si fosse creato un vuoto che non si può riempire e ciò ci si fa sentire tristi; fortunatamente, non sempre è così, visto che oggi ci sono molti giovani che seguono l’esempio dei maestri.
Prima, negli anni ’90, ci fu un tempo, in Argentina, in cui era tutto morto o invisibile; l’attività artistica c’era ed era in evoluzione ma era sotterranea, in quanto non poteva uscire allo scoperto. Oggi ci sono molti talenti che vogliono emergere, questo mi fa venire la speranza che non tutto sia perso, c’è un seme che comincia a crescere.
Sicuramente questi grandi maestri sono morti con questa speranza.

Cosa riserva il futuro a Dago e a Carlos Gomez?

Dago va avanti, certo non per quello che faccio io, ma c’è una gran voglia di continuare. L’Italia ha una buona ricezione e il personaggio ha ancora molte potenzialità. Per quanto riguarda me, io vorrei continuare a disegnare Dago, attualmente sto disegnando un almanacco di Tex, visto che non sono ancora entrato ufficialmente nella scuderia dei disegnatori in quanto non sono ancora riuscito a trovare lo stile di Tex che la Bonelli cerca per la serie regolare; io faccio un Tex ancora troppo artistico e diverso per loro. Ci sono poi progetti per la Francia, per fare qualche libro.

Carlos ti ringraziamo infinitamente per la disponibilità dimostrata.

Grazie a voi.

Battle Spirits Bashin 1-2

"Battle Spirits" è un franchise creato in Giappone da Bandai e Sunrise comprendente un gioco di carte collezionabili, anime, videogiochi, merchandise vario e anche manga pubblicati in Italia da GP Publishing.

Dopo Battle Spirits Dan, serie in tre volumi che si concentrava sulle avventure di Dan Bashin, lanciata quasi in contemporanea con la messa in onda italiana della seconda serie animata legata al mondo di Battle Spirits, cioè "Battle Spirits Dan il guerriero rosso", è la volta di Toppa Bashin, protagonista di Battle Spirits Bashin (in originale "Battle Spirits: Shōnen Toppa Bashin", che è anche il titolo del primo anime legato al marchio di Battle Spirits, in cui Toppa era il personaggio principale).

Bashin, giovane che ambisce a diventare campione nel gioco di carte collezionabile di cui è un grande appassionato, un giorno riceve da uno sconosciuto una speciale pietra e una carta rarissima e innominata. Da quel giorno il suo criceto inizia a parlargli e lui diviene il bersaglio di un losco gruppo d’individui che lo sfideranno in battaglie all’ultima carta, pur di riuscire a sottrargli il prezioso monile e la carta che nasconde una creatura dal potere devastante. Come nel precedente Battle Spirits Dan, anche qui le battaglie si svolgono in un mondo parallelo, dove le carte prendono vita e le creature, con esse evocate, combattono realmente tra loro.

I fumetti di questo tipo sono orientati a un target preciso, cioè a quelli che già sono stati accalappiati dal gioco di carte/anime/videogame del franchise di turno e vogliono leggere un manga dignitoso ambientato nel mondo di cui sono appassionati.

Battle Spirits Bashin soddisferà quelle persone, e piacerà anche chi in un fumetto ricerca solo l’azione fregandosene della trama. Hajime Yadate è lo pseudonimo dietro il quale si nasconde lo staff creativo della Sunrise; in questo modo è garantita la continuità stilistica di tutto il progetto e, a questa regola, non fanno eccezione né il precedente Battle Spirits Dan né questo Battle Spirits Bashin.
La trama, come detto, non è altro che un pretesto per procedere da uno scontro all’altro, ma ciò non è inteso come difetto ma come semplice constatazione del tipo di storia, i toni sono volutamente leggeri, non c'è ombra di drammi e, anche se in difficoltà, l'eroe troverà sempre la maniera di cavarsela e uscire vincitore dallo scontro di turno.

I disegni di Hideaki Fujii si focalizzano sui personaggi e sulle creature, tralasciando gli sfondi che sono sterili e quasi assenti; le tavole sono dinamiche quanto basta per rendere avvincenti le scene di battaglie a suon di carte e creature mitologiche.

Se vi riconoscete nel target di riferimento di Battle Spirits, allora questa miniserie fa al caso vostro.
Se invece non vi importa nulla di carte collezionabili, dei cartoni legati a questo brand e di scontri all’ultima creatura evocata con tanto di "punti battaglia" indicati nella vignetta, allora è molto probabile che Battle Spirits Bashin non vi piacerà.

Battle Spirits è un franchise creato in Giappone da Bandai e Sunrise comprendente un gioco di carte collezionabili (da luglio disponibile anche in Italia), anime, videogiochi, merchandise vario e anche manga pubblicati in Italia da GP Publishing.

Dopo Battle Spirits Dan, serie in tre volumi che si concentrava sulle avventure di Dan Bashin, lanciate in contemporanea con la messa in onda della seconda serie animata legata al mondo di Battle Spirits, cioè Battle Spirits Dan il guerriero rosso, è la volta di Toppa Bashin, protagonista di Battle Spirits Bashin (in originale Battle Spirits: Shōnen Toppa Bashin, che era anche il titolo del primo anime legato al marchio di Battle Spirits, in cui Toppa era il personaggio principale).

Bashin, giovane che ambisce a diventare campione nel gioco di carte collezionabile di cui è un grande appassionato, un giorno riceve da uno sconosciuto una speciale pietra e una carta rarissima e innominata. Da quel giorno il suo criceto inizia a parlargli e lui diviene il bersaglio di un losco gruppo d’individui che lo sfideranno in battaglie all’ultima carta, pur di riuscire a sottrargli il prezioso monile e la carta che nasconde una creatura dal potere devastante. Come nel precedente Battle Spirits Dan, anche qui le battaglie si svolgono in un mondo parallelo, dove le carte prendono vita e le creature, con esse evocate, combattono realmente tra loro.

I fumetti di questo tipo sono altamente orientati a un target preciso, cioè a quelli che già sono stati accalappiati dal gioco di carte/anime/videogame del franchise di turno e vogliono leggere un manga dignitoso ambientato nel mondo di cui sono appassionati e che non ne tradisca lo spirito.

Battle Spirits Bashin soddisferà quelle persone, e piacerà anche chi in un fumetto ricerca solo l’azione fregandosene della trama.

Hajime Yadate è lo pseudonimo dietro il quale si nasconde lo staff creativo della Sunrise; in questo modo è garantita la continuità stilistica di tutto il progetto e, a questa regola, non fanno eccezione né il precedente Battle Spirits Dan né questo Battle Spirits Bashin. La trama, come detto, non è altro che un pretesto per procedere da uno scontro all’altro, ma ciò non è inteso come difetto ma come semplice constatazione del tipo di storia.

I disegni di Hideaki Fujii si focalizzano sui personaggi e sulle creature, tralasciando gli sfondi che sono sterili e quasi assenti; le tavole sono dinamiche quanto basta per rendere avvincenti le scene di battaglie a suon di carte e creature mitologiche.

Se vi riconoscete nel target di riferimento di Battle Spirits, allora questa miniserie fa al caso vostro. Se invece di carte collezionabili, dei cartoni legati a questo brand e di scontri all’ultima creatura evocata con tanto di punti vita indicati nella vignetta, non v’importa nulla, allora probabilmente non sarete mai attirati da questo manga.
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