Zack Snyder's Justice League, recensione
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E così, alla fine, hanno vinto i fan. Una semplice frase che riassume quello che è successo in questi giorni, quando è arrivato sugli schermi di casa nostra, in contemporanea mondiale, il film Zack Snyder’s Justice League, un titolo che la dice lunga sulla natura dell’operazione e che ha visto concretizzarsi una battaglia iniziata sin dall’uscita nelle sale di quella che, fino a queste ultime settimane, era ancora considerata la versione ufficiale della pellicola. Una battaglia condotta a colpi di hashtag su Twitter (#ReleaseTheSnyderCut) e di svariate petizioni sul web, dove a schierarsi in favore del regista del Wisconsin sono arrivati persino importanti membri del cast come Ben Affleck e Gal Gadot, e che porta addirittura a immaginare il profilarsi di una rivoluzione nella gestione dell’entertainment hollywoodiano.
Da sempre si discute se sia lecito o meno che una major possa decidere di modificare un film, quando il risultato non è quello atteso o quando, durante le famigerate anteprime pilota, le reazioni del pubblico appaiono poco incoraggianti. La storia del cinema racconta di numerosi esempi in cui la produzione è intervenuta sul montaggio finale prima dell’uscita in sala e tra questi vale la pena citare almeno Blade Runner, che ha goduto di ben due nuove edizioni, in cui il regista Ridley Scott ha avuto l’opportunità di mostrare la sua reale visione del racconto originale di Philip K. Dick (una parziale Director’s Cut, dieci anni dopo l’uscita della versione ufficiale e una definitiva Final Cut in occasione del venticinquennale del film). In genere, tuttavia, queste iniziative sono riservate a opere diventate nel frattempo dei classici del cinema o autentici cult e, solitamente, non fanno altro che recuperare scene tagliate o aggiungere piccole variazioni al montaggio, che non determinano cambi sostanziali nella pellicola. Cosa che, invece, è successa con il lungometraggio di Zack Snyder. Ma come è stato possibile arrivare a un epilogo tanto sorprendente? Per capirlo, occorre tornare indietro fino al 2009, quando la Warner Bros., considerata ancora lo studio cinematografico di riferimento per i cinecomic, grazie al successo di critica e di pubblico dei primi due capitoli della trilogia batmaniana di Christopher Nolan, decide, proprio su consiglio di quest’ultimo, di affidare al regista di 300 e di Watchmen la direzione del reboot di Superman, a seguito degli insoddisfacenti incassi del film che Bryan Singer aveva dedicato pochi anni prima all’ultimo figlio di Krypton. Nel frattempo, dopo aver esordito in maniera convincente con l’Iron Man interpretato da Robert Downey Jr., i Marvel Studios entrano a far parte dell’impero Disney e mostrano di essere davvero intenzionati a voler mettere in piedi un universo cinematografico condiviso tra i vari eroi di cui ancora detengono i diritti (è l’epoca in cui i film degli X-Men e dei Fantastici Quattro sono prodotti dalla Fox, quelli di Hulk dalla Universal e quelli di Spider-Man dalla Sony). L’idea sembra piacere molto al pubblico, tanto da convincere la Warner a tentare qualcosa di simile. E se in casa Disney si parla già di Marvel Cinematic Universe, per Superman e soci viene creato il DC Extended Universe. Questo avrebbe dovuto essere inaugurato dal Lanterna Verde con Ryan Reynolds nelle vesti del protagonista, ma l’esito fallimentare della pellicola fa sì che il primo lungometraggio dell’universo cinematografico DC diventi il Man of Steel di Snyder.
Il film esce nel 2013 - quando The Avengers ha già conquistato il pubblico mondiale - e il suo buon successo al botteghino (a dispetto di non poche critiche sui toni eccessivamente dark della pellicola) spinge la Warner ad accelerare i tempi, dando carta bianca al regista del Wisconsin per finalizzare un fantomatico progetto Justice League, ancora allo stato embrionale. Snyder ci mette tutto l’impegno possibile e immagina non un semplice nuovo capitolo dedicato all’Uomo d’Acciaio, ma addirittura l’incontro tra i due big della DC. Tuttavia, la corsa dei Marvel Studios sembra inarrestabile, al punto che all’arrivo in sala di Batman v Superman: Dawn of Justice, nel 2016, Age of Ultron, sequel di The Avengers, ha già assicurato un altro exploit al box office alla Casa delle Idee. Avere nello stesso film due pesi massimi come il Cavaliere Oscuro e l’alter-ego di Clark Kent appare, improvvisamente, insufficiente e il primo “cross-over” cinematografico della Warner diventa la migliore opportunità per far esordire nel DC Extended Universe anche Wonder Woman e, in maniera del tutto pretestuosa, Flash, Aquaman e Cyborg, oltreché per mettere in piedi le basi dell’ormai annunciato lungometraggio che avrebbe riunito i sei eroi. I boss della major californiana, però, non sono completamente soddisfatti del lavoro di Snyder: l’atmosfera troppo cupa e la quasi totale assenza di ironia della pellicola contrastano nettamente con la leggerezza dei prodotti Marvel e temendo di andare incontro a un nuovo flop, decidono - sconsideratamente - di eliminare dal montaggio alcune scene, per un totale di circa trenta minuti, rendendo ancora più caotica una sceneggiatura già penalizzata dalle modifiche necessarie a giustificare l’ingresso di altri personaggi nella trama. Oltretutto, le critiche mosse dalla produzione alla regia non sono del tutto campate per aria, soprattutto a guardare lo scontro finale tra Superman e Doomsday, uno strabordante e inutile sfoggio di testosterone, che non riesce a emozionare neppure alla morte dell’Uomo d’Acciaio. Risultato: Batman v Superman: Dawn of Justice finisce per deludere tutti. La critica è impietosa e il pubblico in gran parte insoddisfatto.
La dirigenza della Warner sceglie di correre ai ripari e, non potendo più ritardare l’inizio delle riprese di Justice League, obbliga Snyder a snaturare il suo progetto iniziale, che prevedeva lo stesso stile portato avanti nei due film precedenti e una trama a più lungo respiro (si era persino parlato di un kolossal diviso in due capitoli). La sceneggiatura viene riscritta più volte e, da un giorno all’altro, il buon Zack si vede costretto a condividere il set con Joss Whedon, il regista dei primi due Avengers, ingaggiato dalla produzione per provare a infondere nella pellicola un po’ dell’umorismo tipico del MCU. Infine, ci si mette di mezzo il destino: il 12 marzo del 2017 la giovane Autumn, figlia ventenne di Snyder, muore suicida e il regista americano poche settimane dopo sceglie di abbandonare le riprese per dedicarsi alla famiglia. I vertici della Warner ne approfittano immediatamente e molto cinicamente incaricano Whedon di rigirare in fretta e furia intere sequenze. È il colpo di grazia definitivo: il film, che arriva nei cinema americani alla fine del 2017, è un ibrido male assemblato che riceve pessime recensioni e lo scherno del pubblico (verrà presto ribattezzato Josstice League dai fan hardcore di Snyder). Un disastro produttivo che non arriva a incassare neppure quanto Man of Steel e che segna la fine dell’universo condiviso DC (almeno per il momento).
Tutti sembrano voler dimenticare la parentesi Justice League il prima possibile, anche in virtù del successo (molto più di pubblico, che di critica, in verità) delle pellicole dedicate a Wonder Woman e Aquaman, che consolida l’idea della Warner di proseguire esclusivamente con progetti stand-alone. Eppure, chi aveva apprezzato l’operato di Snyder decide di non arrendersi e attraverso l’incessante campagna sul web di cui dicevamo all’inizio, e con un numero sempre più alto di sostenitori, riesce prima ad avere conferma che un montaggio preliminare della versione originale del lungometraggio esiste ancora e, in seguito, a convincere la major americana a utilizzare la “Snyder Cut” per promuovere la sua nuova piattaforma HBO Max. Al regista statunitense vengono addirittura concessi altri settanta milioni di dollari per completare degnamente la post-produzione della sua opera, dopodiché il resto è storia di questi giorni.
Terminato questo lungo excursus sulla rocambolesca epopea del film, resta ora da rispondere a un quesito fondamentale: ha fatto bene la Warner a tornare sui propri passi e accontentare i fan? Innanzitutto, sgombriamo subito il campo da due aspetti della pellicola, utilizzati da alcuni detrattori per rendere ancora più severo il loro giudizio sull’operazione. Il primo riguarda la lunghezza di questa nuova versione: è vero che di film con una durata di quattro ore se ne vedono pochi, ma una critica del genere fa alquanto sorridere nell’epoca del binge watching, considerando anche che la divisione in capitoli dell’opera (eredità dell’iniziale proposta di Snyder - poi bocciata da HBO - di trasformare il lungometraggio in una miniserie) ne permettono la fruizione in momenti diversi. Differente è il discorso se ci chiediamo quanto questa durata sia davvero giustificata, ma a questo arriveremo tra poco. Invece, a proposito del secondo aspetto preso di mira dai recensori, ci sembra anch’esso un tentativo un po’ goffo di voler trovare a tutti i costi dei difetti per le ragioni sbagliate. Ci riferiamo alla decisione di trasmettere la pellicola in formato 4:3, pur sapendo che essa sarebbe stata fruita su schermi in 16:9. Se è vero che il film era stato pensato per le sale Imax, infatti, il desiderio di avvicinarsi il più possibile a quel formato non ci sembra il capriccio di un autore in vena di scelte stravaganti, ma solo la soluzione tecnica più logica. Il problema reale è che per arrivare a una valutazione negativa di questo Zack Snyder’s Justice League non occorre andare a scovare qualche piccola pecca con il lanternino. Certo, riuscire a fare peggio rispetto al lungometraggio uscito nel 2017 o anche solo rimanere allo stesso (bassissimo!) livello, avrebbe assestato il colpo definitivo alla credibilità di Snyder, ma il fatto che questa nuova versione sia di qualità superiore rispetto a quella concepita da Whedon, non la rende né un’opera meritevole di essere ricordata (se non per la sua travagliata storia produttiva), né, tanto meno, un motivo per chiedere alla Warner di riconsiderare il suo progetto di ripartire con nuove idee.
In effetti, i problemi già riscontrati nei lavori precedenti del regista sono ancora tutti presenti e, purtroppo, ulteriormente esaltati proprio a causa della durata extra-large della pellicola. Il primo che balza all’occhio è sicuramente l’uso massiccio e ingiustificato della slow-motion, che invece di aggiungere dinamicità alle scene d’azione finisce per sortire l’effetto opposto. Snyder, d’altra parte, non perde occasione per mostrare i suoi eroi in pose statuarie, che ne esaltano la fisicità e la possanza. Il ralenti, pertanto, è solo un modo per provare a mantenere tutto quel vigore anche nelle sequenze in movimento, anche se, come detto, a farne le spese è il ritmo della narrazione, a volte lento in maniera esasperante. Poi, naturalmente, c’è l’ossessione per i colori eccessivamente saturi e plumbei, un marchio di fabbrica del regista, che, anche questa volta, decide di imprimere allo scenario un’atmosfera gelida e oscura. Una cappa opprimente, che raffredda le emozioni e smorza l’empatia verso i personaggi. È comprensibile che Snyder abbia voluto mostrare la sua personalissima visione della storia, esattamente come l’aveva concepita in origine, ma queste scelte “autoriali” sono sembrate solo una forma di rivalsa verso chi aveva disprezzato il suo lavoro. Anche perché, detto francamente, l’estetica da videogioco che pervade il film fin dai primi minuti (a cui contribuisce pure la rozza colonna sonora di Junkie XL), e l’uso invasivo degli effetti speciali, non ci permettono di considerare Snyder un regista particolarmente raffinato. E neppure uno capace di darsi dei limiti: non nascondiamo, infatti, che l’epilogo posticcio dedicato al Knightmare (un futuro distopico in cui la Terra è caduta sotto il dominio di Darkseid e di un Superman malvagio, corrotto dall’Equazione Anti-Vita) ci sia parso solo un regalo ai fan di cui avremmo fatto volentieri a meno.
Ma anche sull’inadeguatezza di soggetto e sceneggiatura le cose da dire non sono poche. Il Chris Terrio all’opera su questo film sembra solo un lontano parente del brillante dialoghista capace di portarsi a casa un Oscar per lo script di Argo. Di sicuro la mano pesante di Snyder non ha aiutato, ma non si può negare che la storia sia ridondante, di una prevedibilità sconcertante e con personaggi dalla psicologia ridotta ai minimi termini. E non ci riferiamo al monocorde Steppenwolf, a cui ha giovato molto poco il cambio di regia, ma proprio ai membri della League: Aquaman, quasi non pervenuto, se non nel momento del suo primo incontro con Bruce Wayne. Wonder Woman, più interessata a sfoggiare un abito nuovo a ogni inquadratura, che a incidere veramente nella vicenda (ed è un peccato perché Gal Gadot dà comunque l’impressione di essere una brava attrice). Flash, una brutta copia del Quicksilver della Fox, oltreché un tentativo andato a vuoto di aggiungere un pizzico di ironia alla trama (le sue battute sono spesso inconsistenti e in chiara disarmonia con l’atteggiamento più serioso degli altri protagonisti). E, infine, Superman, utile semplicemente per rendere la scazzottata finale più fracassona. Solo Batman e Cyborg mostrano una caratterizzazione più definita. Soprattutto il secondo, che è l’unico ad averci veramente guadagnato rispetto alla versione cinematografica (evidentemente le rimostranze dell’attore Ray Fisher verso Whedon non erano totalmente prive di fondamento). Tuttavia, i tormenti di Victor Stone, ripresi pari pari dalle storie a fumetti, avrebbero dovuto essere rielaborati in una maniera più originale per risultare veramente interessanti.
Un fiasco totale, quindi? No, per quanto discutibili le scelte di Snyder appaiono coerenti con la sua idea di cinema e, tutto sommato, se si esclude il momento finale dello scontro con Steppenwolf (l’attacco a tre di Aquaman, Superman e Wonder Woman è da action di serie Z) e l’eccesso di slow-motion di cui abbiamo già detto, qualche scena di combattimento riesce a essere persino divertente. Tutti i comprimari poi, sebbene poco presenti, se la cavano molto bene, Jeremy Irons su tutti. Infine, questa "Snyder Cut" restituisce un minimo di dignità a un’operazione che aveva messo in mostra non solo l’insensibilità di Hollywood, capace di legare il nome del regista a un film non suo, nonostante la tragedia che lo aveva colpito (umanamente parlando, il fatto che il nostro Zack abbia potuto dedicare l’opera alla figlia scomparsa rappresenta la degna conclusione di tutta la vicenda), ma anche la totale incapacità dei vertici della DC Films di capire le ragioni del successo dei Marvel Studios. Paradossale, in proposito, è la realtà di questi giorni, in cui la Warner strombazza come un evento la messa in onda del montaggio preliminare di Justice League, riveduto e corretto (per poi affrettarsi a dichiarare che il progetto non prevede ulteriori sviluppi), mentre Kevin Feige e soci inaugurano la nuova era televisiva della Casa delle Idee con un brillante gioco metanarrativo come WandaVision, foriero di chissà quante altre innovazioni nell’ambito dell’intrattenimento casalingo e preludio a una ramificazione ancora più estesa del Marvel Cinematic Universe.
Chiudiamo con una consapevolezza: a dispetto del nostro giudizio negativo, siamo sicuri che - come è giusto che sia - le posizioni degli ammiratori di Snyder (già ripartiti a invadere il web con il nuovo ashtag #RestoreTheSnyderVerse) non si sposteranno di un millimetro. Speriamo solo che questo non impedisca alla Warner di battere altre strade, perché dopo i nuovi capitomboli con Harley Quinn: Birds of Prey e Wonder Woman 1984, ci piacerebbe che l’immagine della DC al cinema si legasse solo a progetti di qualità, quantomeno simili all’ottimo Joker di Todd Phillips, vincitore di un Leone d'Oro, o al promettente The Suicide Squad di James Gunn.