The New Mutants: la recensione del film
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Dopo che in molti avevano pensato che il Covid-19 avesse segnato in maniera definitiva il destino di The New Mutants, ecco che, un po’ a sorpresa, il film è arrivato nei cinema qualche giorno fa, a più di due anni di distanza da quel 13 aprile 2018, che in origine doveva essere la data di uscita della pellicola nelle sale americane. Da allora è successo di tutto e, pandemia a parte, il lungometraggio di Josh Boone sembrava ormai sempre più vicino a un mesto dirottamento sulla piattaforma Disney+. In pochi, probabilmente, conoscono la singolare storia produttiva del film, tanto vale, quindi, riassumerla brevemente, anche per supportare il nostro giudizio successivo.
Tutto inizia tra la fine del 2014 e l’inizio del 2015, quando Boone, reduce dal successo di Colpa delle Stelle, propone a Simon Kinberg (autore e produttore degli ultimi capitoli cinematografici dedicati agli X-Men) la sua idea per una pellicola con protagonisti i Nuovi Mutanti, i cui fumetti erano stati una delle letture preferite del regista americano da ragazzino. Boone ha già in mente di realizzare un’opera dai toni dark, perché desideroso di rendere omaggio al ciclo di storie di Cannonball e soci che aveva amato di più, quello disegnato da Bill Sienkiewicz. Nel 1984, infatti, l’artista statunitense sostituì Bob McLeod e Sal Buscema, gli autori che si erano occupati della parte grafica della collana fino a quel momento, e ne approfittò per perdere definitivamente le influenze adamsiane dei suoi primi lavori, facendo evolvere il suo stile in una direzione spiccatamente più espressionista, che solo pochi anni più tardi gli avrebbe permesso di assurgere a star del fumetto mondiale con la realizzazione di capolavori come Elektra: Assassin e Daredevil: Love and War, in coppia con Frank Miller. Le tavole di Sienkiewicz si discostavano parecchio da quelle decisamente più classiche dei suoi predecessori e rappresentavano un’autentica rivoluzione per l’epoca: anatomie distorte, tratti somatici accentuati in maniera grottesca, sfondi appena abbozzati, frequente uso della psichedelia. Insomma, tanti elementi che convinsero anche Chris Claremont (papà dei personaggi, assieme a McLeod) a imprimere un’atmosfera più sinistra alle storie dei giovani eroi. È facile, quindi, immaginare un Boone adolescente rapito da trame che fondevano sapientemente teen drama, supereroismo e horror.
Arriviamo al 2016, quando la 20th Century Fox, sull’onda dell’inaspettato successo del film di Deadpool, annuncia che lo studio sta già lavorando a una trasposizione delle serie The New Mutants per il grande schermo, ma che la pellicola, esattamente come quella dedicata all’alter-ego di Wade Wilson, si sarebbe in parte discostata dal genere supereroistico. A metà del 2017 cominciano le riprese, sulla base di uno script elaborato da Boone assieme al suo amico d’infanzia Knate Lee, alla fine delle quali, tuttavia, il regista si dichiara parzialmente insoddisfatto del risultato, per la decisione dei vertici della Fox di attenuare i passaggi eccessivamente paurosi. Nel frattempo, però, la calorosa accoglienza riservata al primo, inquietante, trailer del film e il sorprendente risultato al botteghino del remake di It, diretto da Andy Muschietti (senza trascurare il timore dello studio di andare incontro a un altro disastro, dopo il clamoroso flop de I Fantastici Quattro di Josh Trank e il deludente incasso nordamericano di X-Men: Apocalisse) fanno cambiare di nuovo idea ai produttori, che chiedono a Boone di tornare alla sua versione originale. Una decisione che costringe il regista a rigirare alcune parti della pellicola, con la conseguenza di far slittare l’uscita della stessa per diverse volte. Infine, ci si mette di mezzo la Disney, che nello stesso periodo perfeziona l’acquisizione della Fox e non sapendo bene cosa fare di quello che ormai è a tutti gli effetti un oggetto misterioso, prima impone a Boone di eliminare ogni riferimento ai film degli X-Men, pensando così di poter inserire subito i personaggi nel Marvel Cinematic Universe, per poi pentirsi della scelta poco dopo, a seguito dei nuovi piani di Kevin Feige per l’ingresso dei mutanti nella continuity cinematografica della Casa delle Idee. Tutta questa confusione, altri malintesi con la nuova proprietà e intoppi vari portano la data di rilascio del film all’aprile del 2020. Dopodiché, come è noto, l’uragano Coronavirus costringe la Disney e le altre major a riprogrammare il proprio listino, fino ad arrivare all’uscita di The New Mutants di fine agosto, a cui nessuno credeva più (anche se Boone, di recente, ha affermato che la pellicola, per motivi contrattuali, doveva necessariamente essere proiettata al cinema, prima di finire in TV).
Con una lavorazione tanto travagliata è difficile capire se quello che abbiamo visto sia frutto dei numerosi rimaneggiamenti o determinato da reali limiti di Boone e compagnia. Sta di fatto che, senza usare troppi giri di parole, la qualità del film è piuttosto bassa. Tanto per cominciare, dopo tutti i proclami della produzione, ci saremmo aspettati molto di più sul versante horror. Di momenti realmente spaventosi, però, non c’è quasi traccia e anche la semplice suspense è ridotta ai minimi termini. Per di più, i ripetuti omaggi a Buffy l’ammazzavampiri, visibili in varie scene, fanno pensare che, aldilà delle imposizioni di Fox e Disney, il reale obiettivo del regista americano fosse proprio una riproposizione delle atmosfere della serie di Joss Whedon, non il terrore instillato dal Nightmare di Wes Craven, spesso evocato come termine di paragone dagli autori (e comunque citato a più riprese nel corso della pellicola).
A Boone bisogna tuttavia riconoscere di non aver appiattito la trama su una semplice trasposizione live di una particolare saga fumettistica, ma di averne ripreso solo i tratti essenziali, per poi farli evolvere in qualcosa di diverso. Un esempio è il personaggio di Cecilia Reyes che, a prima vista, potrebbe sembrare solo un’efficace rivisitazione della sua controparte cartacea, e che, invece, diventa, nel corso della vicenda, la protagonista dell’unico colpo di scena degno di nota architettato dagli autori. Tutto sommato, anche la storia in sé non è male, soprattutto all’inizio, quando il ritmo più lento garantisce una crescita progressiva ma inesorabile della tensione, acuita dal claustrofobico e cupo ospedale dove sono in cura i giovani protagonisti, dalla totale assenza di altro personale sanitario, oltre alla già citata dottoressa Reyes, e dal misterioso materializzarsi dei loro incubi peggiori (in realtà misterioso solo per chi non ha famigliarità con il fumetto originale). Boone, infine, è molto bravo a inserire piccoli richiami al ciclo di Claremont e Sienkiewicz senza sgradevoli forzature. Su tutti, citiamo il draghetto alieno Lockheed, generalmente associato a Kitty Pryde, ma presente nel film come spalla di Illyana Rasputin. Pochi ricordano, tuttavia, che all’epoca di quelle storie la sorella di Colosso e Kitty erano compagne di stanza e proprio per questo il piccolo animaletto sputafuoco strinse un forte legame anche con la bionda mutante russa. Da apprezzare anche il modo sottile in cui la pellicola viene legata all’universo cinematografico della Fox. Nel finale, infatti, viene nominata la Essex Corporation, già apparsa in maniera sibillina nei titoli di coda di X-Men: Apocalisse, la quale, oltre a dare un senso logico alla trama del film, avrebbe dovuto contribuire a consolidare la continuity mutante su grande schermo (tra l’altro, pare che il malvagio genetista Nathaniel Essex, alias Sinistro, sarebbe dovuto comparire in una scena post-credit).
Purtroppo, l’elenco delle cose da salvare dell’opera di Boone si esaurisce qui e, soprattutto, non è sufficiente a compensare i numerosi difetti della pellicola che, oltre a quelli già descritti, ne contiene parecchi altri. Per esempio, nonostante la coralità che sarebbe stato logico attendersi, lo spazio dedicato ai vari personaggi è completamente sbilanciato a favore di quelli di sesso femminile, tanto che la vera protagonista della vicenda sembra Danielle Moonstar, con Illyana e Rahne Sinclair a fare da cast di supporto. Sam Guthrie e Roberto da Costa, infatti, sono quasi del tutto irrilevanti, con il primo che è addirittura poco più che una comparsa. A farne le spese sono anche gli attori, perché se per le varie Blu Hunt (Danielle), Maisie Williams (Rahne), Anya Taylor-Joy (Illyana) e Alice Braga (dott.ssa Reyes) potremmo anche provare ad azzardare un giudizio di merito, l’impresa diventa praticamente impossibile per i due interpreti maschili. Poco comprensibile, inoltre, la quasi totale assenza di scene in cui i giovani mutanti utilizzano i loro poteri, in un film che, sconfinamenti orrorifici a parte, appartiene pur sempre al genere supereroistico. Forse il budget della pellicola (ufficialmente compreso tra i 67 e gli 80 milioni di dollari) è servito soprattutto a coprire i costi dei vari rimaneggiamenti, ciò nonostante vedere Boone barcamenarsi in maldestri trucchi registici per far intuire le abilità dei protagonisti senza mostrarle veramente, è un chiaro segnale che, forse, neppure la Fox credeva veramente nel progetto.
Potremmo andare avanti ancora a lungo con l’elenco delle magagne, ma basti aggiungere che dopo il promettente inizio, di cui abbiamo già detto, la narrazione accelera in maniera scomposta, diversi passaggi sono a dir poco frettolosi e i momenti più intimi, necessari a completare la caratterizzazione dei personaggi, sono davvero troppo pochi. Sono queste le parti del film che, probabilmente, soffrono di più degli inopportuni interventi della produzione, i quali confermano anche il desiderio della Disney di chiudere il prima possibile un capitolo che ormai appartiene all’archeologia cinematografica (incredibile a dirsi, visti i pochissimi anni trascorsi, ma è così). Inutile negare, infatti, che, con tutti i ritardi accumulati, la pellicola sia arrivata largamente fuori tempo massimo e senza una reale ragione di esistere (molto più di X-Men: Dark Phoenix, che già soffriva dello stesso problema), se non per soddisfare la curiosità dei fan o per capire cosa poteva essere e, invece, non sarà più.