X-Men: Apocalisse: recensione
- Scritto da Giuseppe Zimbalatti
- Pubblicato in Screen
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Continua l'excursus nelle origini e nell'evoluzione degli X-Men, con questo terzo film del nuovo corso di Bryan Singer, già autore del soggetto di X-Men - L'inizio (2011), regista di X-Men - Giorni di un futuro passato (2014) e ora di nuovo regista di X-Men - Apocalisse.
Dopo essere stati negli '60 e nei '70, stavolta siamo negli anni '80, per la precisione nel 1983.
La pellicola ha un'ottima partenza dal punto in cui ci aveva lasciati Giorni di un futuro passato dopo i titoli di coda. Il fascino dell'antico Egitto cattura immediatamente e ci si trova subito proiettati nella dimensione misteriosa e suggestiva di una vicenda il cui seme affonda nei millenni per prendere corpo negli anni '80.
En Sabah Nur, Apocalisse, è un essere superiore, un mutante antichissimo in grado di trasferire la propria coscienza nel corpo di altri mutanti, acquisendone i poteri. Così facendo è diventato un essere semi-divino, capace di assoggettare i popoli portando morte e devastazione, avvalendosi del sostegno di quattro potentissimi mutanti, i "Cavalieri dell'Apocalisse".
Durante uno di questi trasferimenti di coscienza, però, dei ribelli approfittano del momento e attentano alla sua vita. Falliscono, ma Apocalisse rimane incosciente e imprigionato sotto le macerie.
Per millenni l'umanità si è così potuta affrancare dal suo oscuro dominio. Fino a quando, molto (forse troppo) casualmente, nel 1983 non viene ridestato.
Al suo risveglio comincia ad arruolare, sempre in maniera molto (forse troppo) casuale, giovani mutanti per farne i nuovi Cavalieri.
Sul proprio cammino però incontrerà qualcuno che si opporrà ai suoi progetti di dominio e sottomissione del mondo.
Non si può certo dire che questo sia un brutto film, sia chiaro. Due ore e venti di divertimento, che passano veloci, piacevoli e leggere. Una pellicola che ha dei momenti di buona qualità e pregevole fattura. Ha un buon ritmo, lo storytelling è chiaro, semplice ed efficace. È chiaro l'intento di "pensare in grande" dal punto di vista visivo, nell'uso della Computer Grafica, nella fotografia dall'ampio respiro, nel lirismo supereroico che raggiunge il momento più alto nelle scene di combattimento, soprattutto quella finale.
Tutto bene dunque, e invece no, per diversi motivi.
La scrittura ha qualche punto debole, a cominciare, per esempio, dalla maniera in cui Apocalisse viene risvegliato: una botola che, per millenni, nessuno aveva mai pensato di lasciare aperta. Piuttosto improbabile. Abbastanza inspiegabile anche la modalità di arruolamento dei quattro Cavalieri, troppo casuale e superficiale.
Il paragone con i precedenti capitoli è inevitabile, e non regge. La più grande differenza riguarda l'approfondimento psicologico dei protagonisti, punto di forza di X-Men - L'inizio, e qui praticamente assente. L'ampio "parterre" di protagonisti, e di attori di grido, non basta a caratterizzare dei personaggi che non bucano lo schermo e non riescono a lasciare il segno. Il risultato finale è un film d'azione spettacolare, a tratti un "picchiaduro" bidimensionale, in cui si gode nel vedere quei personaggi, che però passano sulla scena come figure un po' superficiali, frettolosamente, con poco tempo a disposizione.
Vorrebbe essere un film "emotivo", però non riesce a suscitare abbastanza emozioni, nonostante la vicenda umana di Magneto che, grazie all'ottima prova di Michael Fassbender, risulta uno dei meglio caratterizzati.
Gli eroi non indossano tuta o costume, ma questo, lungi dall'esaltare la persona che c'è dietro al personaggio, ha un effetto ancora più sbiadente e spersonalizzante.
Persino James McAvoy è un Prof. Xavier in tono minore rispetto alle prove precedenti. Ha meno carisma (e per Xavier il carisma è tutto) e si perde anche lui in un contesto che sembra composto da soli gregari, senza veri playmaker, senza qualcuno in cui lo spettatore possa identificarsi e canalizzare la partecipazione emotiva.
Incoerente sembra la crescita del personaggio, che pareva più maturo in X-Men - L'inizio, quindi negli anni '60, piuttosto che qui, negli anni '80. E pare difficile immaginare come uno hippie ormai quarantenne possa all'improvviso trasformarsi nel personaggio saggio, pacato, equilibratissimo, incarnato impeccabilmente da Patrick Stewart.
Manca, insomma, il fuoriclasse che emerga dal gruppo dei gregari, quello che, per esempio, sarebbe potuto essere Hugh Jackman, cui spetta un cameo di pochi, spettacolari, minuti e che promette, dopo i titoli di coda, di tornare protagonista in un prossimo capitolo.
Sophie Turner è una Jean Grey molto acerba, ma comunque sembra tradire incertezze recitative a prescindere dal personaggio ancora immaturo.
Jennifer Lawrence/Mystica non convince del tutto e sembra anche lei fare un passo indietro rispetto alle prove precedenti.
Michael Fassbender, tra i migliori, sembra anch'egli, con lo scorrere della pellicola, dover retrocedere al ruolo di gregario.
Bene Bestia e bene Nightcrawler. Angelo invece ne esce malissimo, e male anche Psylocke e Tempesta, quasi anonima. Abbastanza scialbo Tye Sheridan/Ciclope; molto meglio, finché dura, Lucas Till/Havok.
Un film più da spadone che da fioretto, ma senza lo spessore epico dei capitoli precedenti.
Corre un po' troppo dietro a una trama che vorrebbe essere epica, e trascura i personaggi. Esalta l'importanza del gruppo a discapito dei singoli. E, nel farlo, inficia inevitabilmente la resa finale, perché è proprio lo spessore umano e psicologico dei personaggi la vera forza dei film sugli X-Men.
Per quanto spettacolare, non basta l'ormai consueto siparietto del "fermo-immagine", in cui Evan Peters/Quicksilver mette in scena il proprio istrionismo sulle note di Sweet Dreams degli Eurithmycs, a rendere il film meno prevedibile: non ci sono colpi di scena, e il copione pare già scontato in partenza.
Apocalisse è un personaggio suggestivo. Incarnazione di un super-mutante, profondamente cinico e totalmente indifferente alla vita umana, a sentimenti come pietà, compassione o perdono, ha una visione molto radicale del mondo: o sottomesso a lui, oppure distrutto. Dopo la visione folle di Sebastian Shaw/Kevin Bacon e quella distorta di Bolivar Trask/Peter Dinklage, qui abbiamo la filosofia superomistica ben più radicale di Apocalisse, che va al di là della visione di Magneto. Tutto ciò che è debole va cancellato. E un mondo che, negli anni '80, comincia a parlare di disarmo e fine della guerra fredda, ai suoi occhi è un mondo debole. Va distrutto per edificarne uno nuovo, il suo.
Buona prova recitativa di Oscar Isaac, sommerso da chili di cerone e da un improbabile costume, eppure regge la scena ed è credibile fino alla fine.
Insomma, un film che partiva da premesse davvero importanti, che ha mantenuto solo in parte, andando incontro, durante lo svolgimento della pellicola, a una sorta di avvitamento, di ricerca quasi di un ideale estetico di maniera, dimenticando forse che al cinema sono gli interpreti a trasmettere le emozioni. Cosa che, in questa pellicola, non avviene secondo le aspettative e le enormi potenzialità di partenza.
Non si può dire, pertanto, che sia un film spiacevole, ma nemmeno che sia un film riuscitissimo.
Si esce dalla sala divertiti e sazi di supereroismo duro e puro, con la bocca ancora dolce per la stimolante idea di fondo ma, allo stesso tempo, con la sensazione che si sarebbe potuto vedere qualcosa di più.