La recensione di Black Panther
- Scritto da Gianluca Vici
- Pubblicato in Screen
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Siamo ormai abituati ai film introduttivi dei personaggi Marvel, una cosa normale nell’ottica dell’ambizioso progetto MCU e quando hai a disposizione uno dei più vasti parchi supereroi di sempre.
Black Panther arriva nelle sale seguito in patria da qualche polemica di boicottaggio da parte di un gruppo di fan DC che hanno accusato la Disney di pagare i critici - forse pilotata più dal marketing che altro - e da noi con la curiosità per questo personaggio meno noto al pubblico nostrano rispetto ad altri.
La storia di T’Challa, re del Wakanda e Pantera Nera, interpretato da Chadwick Boseman è strutturata sul più classico canovaccio dell’ascesa dell’eroe, dalla presa di consapevolezza e responsabilità del peso del comando, di caduta e riscatto, di vittoria. Il classico cammino dell’eroe che non aggiunge nulla al canone se non fosse che, con tutte le dovute attenzioni tipiche di un blockbuster hollywoodiano, l’intero film si porta dietro un messaggio chiarissimo e sorprendente per il mercato mainstream.
Non aspettatevi un manifesto politico, non sentirete mai termini troppo espliciti ma, in questo film - fedele al fumetto originale nelle tematiche più di quanto lo siano mai stati gli altri - il tema del razzismo, della segregazione etnica della comunità afroamericana, del colonialismo e della difesa a oltranza dei propri confini sono chiari, serviti senza un eccessivo uso di metafore "buoniste" e politically correct. Là dove il plot è tutt’altro che originale e a tratti scontato, esso si dimostra invece essere in funzione del messaggio ben poco velato del film.
In patria, anche a causa del tema molto sentito dalla comunità afroamericana, il film si sta dimostrando un successo. Non lesina di chiarezza sulla condizione della discriminazione razziale, aprendo discorsi scomodi lontani dai prodotti di puro intrattenimento. Un velato ma persistente razzismo che, sembra dirci il regista, non è insito in questa o quella etnia ma nell’uomo in quanto tale, quando sente che a torto o ragione i confini del suo orto vengono minacciati. Tuttavia, anche da noi il film ha il suo momento nella realtà che ci colpisce e che stiamo vivendo. Quell’odioso ma realistico dialogo tra T’Challa e W’Kabi sull’accoglienza ai profughi, sul lasciare al confine loro ed i loro problemi. Perché il Wakanda è una nazione prospera e in pace non solo perché si eclissa dalla conoscenza del mondo ma anche perché fa ben attenzione a lasciare quel mondo e i problemi dei suoi abitanti fuori dai patri confini. Pena morte o marchiatura stile bestiame.
Anomalo, forse anche coraggioso, non esplicito ma allude chiaramente, come quando si cita il suicidio in mare degli schiavi che venivano portati in America, perché meglio la morte che la schiavitù.
O la necessità di uomini buoni ma disperati di abbracciare la lotta armata. Insomma il regista non trascura i temi, li tratta perché siano fruibili da tutti ma in modo che nessuno possa fare finta di non averli capiti.
Il resto forse è scontato, a tratti banale per quanto gradevole. Si sorride, ma non si ride come al solito, quasi che si voglia sdrammatizzare senza ridicolizzare.
In questo contesto forse è proprio la figura T’Challa quella che ne viene maggiormente schiacciata durante la narrazione, rispetto non solo alle tematiche ma anche all’approfondimento degli altri comprimari e antagonisti, per riprendersi nel finale di lotta e affermazione dei propri doveri di re.
Su tutti Michael B. Jordan, un Killmonger ispirato ed inquietante, che ci dona un avversario molto più intenso di quanto siamo stati abituati fino ad ora con i villain del MCU. Ed Andy Serkis, con un Klaue sopra le righe, quasi un cattivo di bondiana memoria.
Spesso sentiamo parlare di quanto, dopo Infinity War, l’MCU non sarà più lo stesso, ma è probabile che dopo questo film molte cose siano già cambiate. Perché il regista Ryan Coogler e i Marvel Studios hanno dimostrato di poter mettere le mani su temi delicati e difficili, cosa che sui propri comics la Marvel ha sempre fatto, e poterlo fare con intelligenza proprio attraverso il mezzo del colossal, spesso restio al rischio di un chiaro impegno sociale e politico.
Non una novità nel corso dei precedenti film ma una maggiore chiarezza che, forse anche complice l’amministrazione Trump, assume un significato decisamente più forte e chiaro.
“Costruire ponti, non muri.”
Black Panther è diretto da Ryan Coogler (Creed) su sceneggiatura co-scritta insieme a Joe Robert Cole (The People v. O.J. Simpson: American Crime Story). Nel cast troviamo Chadwick Boseman (Captain America: Civil War), Michael B. Jordan (Creed), Lupita Nyong’o (12 anni schiavo), Danai Gurira (The Walking Dead), Martin Freeman (Lo Hobbit, Sherlock), Daniel Kaluuya (Sicario), Angela Bassett (American Horror Story), Forest Whitaker (Rogue One: A Star Wars Story, Il Maggiordomo), Andy Serkis (Avengers: Age of Ultron), Letitia Wright (Urban Hymn), Winston Duke (Person of Interest, Modern Family), Florence Kasumba (Captain America: Civil War), Sterling K. Brown (The People v. O.J. Simpson: American Crime Story) e John Kani (Captain America: Civil War).