Marvel's Luke Cage: recensione
- Scritto da Luca Giovanelli
- Pubblicato in Screen
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Luke Cage è la nuova serie targata Marvel e costituisce un ulteriore tassello di quel composito universo supereroistico seriale che fra un anno circa dovrebbe sfociare nell'attesa miniserie The Defenders. Siamo di fronte ad un prodotto curato ed elegante: fin dagli affascinanti titoli di testa si coglie l'intenzione di dare continuità e coerenza a quegli aspetti di realismo e attualità che già avevano caratterizzato i precedenti Daredevil e Jessica Jones.
Luke Cage è il – tutt'altro che amichevole – supereroe di quartiere. Il creatore e autore principale della serie, Cheo Hodari Coker, costruisce attorno al protagonista un contesto convincente, che pesca a piene mani (e sul filo del luogo comune) dalla cultura afro-americana e dal suo immaginario: Malcolm X e Shaft, il barbershop come luogo di incontro e coesione, la splendida colonna sonora che spazia dal soul, all r'nb, all'hip hop (con un gustosissimo cameo, fra gli altri, di Method Man in uno degli episodi-chiave). La trama è ricca, cupa e solida e richiama fortemente,e a suon di citazioni (troppe?), il cinema della blaxploitation, quello più “politico” di Spike Lee e Singleton, Tarantino e Scorsese: Luke Cage e la sua pelle indistruttibile si fanno scudo e confine netto di fronte al bene e il male, il giusto e lo sbagliato, concetti che si confondono e intrecciano quotidianamente nelle strade di Harlem. La storia di un eroe “suo malgrado”, umile e schivo che si contrappone a “villain” in doppio petto, per quanto non troppo originale, è tuttavia portata avanti con maestria e supportata da scelte registiche semplici ma efficaci: nei primi episodi soprattutto nei primi piani e mezzi primi piani, i personaggi positivi (Luke, Misty Knight, Pop) occupano un lato dell'inquadratura; le figure intere e i primi piani più tradizionali sono riservati invece ai cattivi, inseriti al centro di inquadrature dove sono spesso presenti elementi geometrici (quadrati, linee perpendicolari) e superfici riflettenti (mobili lucidi, vetri, specchi) a richiamare la mania di controllo e la doppiezza dell'ambiente criminale di Harlem. La prevalenza dei colori caldi come il rosso, il giallo e l'arancione, disegna attorno agli episodi un'aura di sensualità intrisa sempre da senso di minaccia incombente, paura, violenza lì da venire.
Nei primi episodi la narrazione si snoda con sufficiente fluidità, ma senza troppe novità, fra action e gangster movie - con interessanti incursioni in altri generi (vedi il dramma carcerario dell'episodio 4), poi, negli episodi 7-8 e 9, la trama erompe e confluisce in un inaspettato procedural-thriller con rimandi e meccanismi sottilmente hitchcockiani: l'esplosione folle e insensata della violenza, il protagonista preso in mezzo ad un intrigo più grande di lui, il gioco incrociato fra quello che sanno i personaggi e quello che sappiamo noi spettatori, fino alla – ennesima – citazione, con uno degli scontri principali che avviene in un teatro.
Luke Cage si prenderà mano a mano (o pugno dopo pugno) il ruolo che gli spetta all'interno della storia, fino ad assurgere a simbolo di resistenza sociale e morale di una comunità contro prepotenze e violenze arbitrarie.
Buon lavoro di casting con Mike Colter, già visto in Jessica Jones, che ha volto e corpo perfetti per Luke Cage; Simone Missick, nel ruolo di Misty Knight, e Rosario Dawson (anche lei già vista in Daredevil e Jessica Jones) si contendono il protagonista, interpretando due figure femminili forti e interessanti, forse non approfondite come avrebbero meritato; venendo ai villain, impressionante la somiglianza con la sua controparte cartacea anche per Diamondback, interpretato dal bravo, ma un po' troppo “samueljacksoniano” Erik LaRay Harvey; convincente Mahershala Ali nella parte del “padrino” Cottonmouth; menzione d'onore infine per Frank Whaley, ormai specializzato nella parte del poliziotto sfortunato (vedi Ray Donovan) e Theo Rossi (Sons of Anarchy), che con il suo enigmatico Shades avrà in futuro sicuramente lo spazio che si merita.
Luke Cage è la conferma che la Casa delle Idee con i suoi prodotti televisivi targati Netflix vuole distaccarsi per atmosfere e stile al ben più pompato ed epico MCU. Ciò che colpisce della serie è anche quello che, paradossalmente potrebbe renderla poco accessibile e appetibile per il comic fandom più tradizionale: le atmosfere cupe e pessimiste, il ritmo talvolta lento, il privilegiare l'approfondimento psicologico a scapito della pura azione, il finale volutamente sospeso danno un'impronta precisa e un appeal molto particolare che potrebbero portare lo spettatore di fronte alla dicotomia amore/odio incondizionato. Da parte di chi scrive la serie è altamente consigliata.