Doomsday Clock 1, recensione: arriva in Italia la serie evento di Geoff Johns e Gary Frank
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Nell'era della connessione globale, in cui tutti siamo in grado di conoscere istantaneamente ciò che accade dall'altra parte del mondo, risulta difficile dire qualcosa di nuovo, se non che di interessante, su un evento deflagrato oramai quasi un anno e mezzo fa.
Tanto è trascorso dall'uscita negli U.S.A. del primo numero della miniserie Doomsday Clock che, complice anche una rimodulazione dell'originale programmazione (la serie è presto divenuta bimestrale, da poco è stato dato alle stampe il nono episodio), solo in questi giorni approda nel Bel Paese.
È ben probabile che la variazione della periodicità sia ascrivibile al tempo necessario all'artista incaricato, l'oramai italiano d'adozione Gary Frank, di completare le tavole di quella che fin d'ora può tranquillamente affermarsi sarà un'opera di altissimo livello, sia narrativo che grafico. Seppure uno iato di 60 (e talvolta oltre) giorni tra un'uscita e l'altra possa andare a discapito della leggibilità nell'immediato, la scelta della DC Comics appare pienamente condivisibile: è evidente come la serie sia stata concepita per rappresentare un punto fermo nell'universo narrativo della casa editrice e non come uno dei tanti, periodici "eventi"; l'obiettivo, palese anche se non dichiarato, è quello di creare un long-seller, in grado di rivaleggiare con altri fumetti iconici (lo stesso Watchmen, Il Ritorno del Cavaliere Oscuro, La Nuova Frontiera). Per realizzare tutto ciò la DC ha ben compreso come un'elevata ed uniforme qualità grafica costituisca un requisito fondamentale. La qualità, del resto, paga sempre: in tal senso la scelta dello sceneggiatore è una ulteriore dichiarazione di intenti. Geoff Johns è stato ed è senz'altro ancora il principale "architetto" di cui la casa di Burbank disponga e, soprattutto, è un profondissimo conoscitore di tutte le pieghe narrative del multiverso DC, oltre che un vero amante dei personaggi.
La scelta del team creativo, quindi, appare di alto livello e, per quanto ci riguarda, è stata fin dall'origine adeguatamente rassicurante sulla bontà del progetto. Al di là delle presunte (e, probabilmente, reali) contrarietà di Alan Moore al nuovo sfruttamento dell'universo narrativo dallo stesso creato (già espresse, del resto, rispetto alle serie del progetto Before Watchmen, alcune delle quali, nondimeno, sono risultate assolutamente godibili e adeguatamente in linea con lo spirito dei personaggi e dell'opera principale) l'apparente idea di fondo è semplice, eppure geniale: come è possibile correggere un evidente errore di programmazione - i Nuovi 52, originati dall'evento Flashpoint e pensati come un ennesimo reboot dell'universo narrativo, hanno mostrato evidenti limiti, non aggiungendo molto alle serie già in sofferenza ed, anzi, scontentando per numerosi aspetti i fan di lunga data - ed, insieme, generare hype nella comunità fumettistica, sempre più scettica circa la reale incidenza degli (spesso promessi e quasi mai mantenuti) sconvolgenti novità?
Confessiamo che diversi anni addietro Johns ci ha conquistati "a vita" con la Rinascita di Lanterna Verde: riportare in auge Hal Jordan dopo gli sconquassi a cui lo stesso era stato sottoposto e le azioni commesse come Parallax era quasi impossibile. Eppure l'autore statunitense ha trovato il grimaldello giusto, sotto forma di "impurità"… Allo stesso modo alla base di tutta l'architettura della articolata storyline di cui Doomsday Clock costituirà il culmine - non per caso introdotta da un numero speciale intitolato "Rinascita" - si pone un "piccolo" dettaglio seminato da Moore: il Dr. Manhattan, raggiunta alla fine di Watchmen una chiara dimensione divina, aveva affermato la sua intenzione di creare vita nell'universo…
La serie dovrebbe, quindi, valere a fugare i (pochi) dubbi circa l'identificazione dell'anomalia che ha sottratto un quid all'universo DC (eliminando dalla continuity la Justice Society e la Legione dei Super Eroi, facendo dimenticare l'esistenza di Wally West e modificando il passato di alcuni eroi, tra cui Superman) e portare allo scontro (auspichiamo non fisico o, comunque, non solo) tra Superman ed il presunto deus ex machina: il Dr. Manhattan.
Venendo al numero introduttivo bastano poche pagine per comprendere come gli autori abbiano fatto centro: siamo nel 1992, sono passati alcuni anni dal dirompente finale di Watchmen e la situazione, se possibile, è ancora peggiore di quanto non fosse stata in precedenza. Chiunque legga questo articolo dovrebbe già sapere che le macchinazioni di Veidt sono state svelate grazie al diario di Rorschach; Ozymandias è quindi in fuga, ricercato per l'omicidio di oltre tre milioni di persone e il mondo è al collasso: i sovietici accusano il governo americano di collusioni con Veidt e si preparano ad invadere la Polonia, il presidente Redford (!) ha adottato provvedimenti di aspra repressione della libertà di stampa, i coreani hanno testato missili in grado di raggiungere gli USA. In questo apocalittico scenario Rorschach (o, almeno, un Rorschach) è alla ricerca dell'unica soluzione per evitare il collasso: trovare il Dr. Manhattan. Per fare ciò, però, deve ricorrere all'aiuto di due criminali, Mimo e Marionette (già molto ben delineati, rielaborazioni di due vecchi personaggi dell'universo Charlton, da cui Moore aveva come è noto attinto per il cast originale) e del buon, vecchio Ozymandias...
Johns adotta uno stile di scrittura che non si limita a riecheggiare gli stilemi di Moore (per i fan è però evidente come l'intero numero sia infarcito di richiami, rimandi, ammiccamenti sia alla serie originale che alle serie "Before") ed immerge immediatamente nella "bolla" dell'universo Wathmen: leggendo è come se non fossimo mai andati via, si avverte un senso di oppressione, di minaccia incombente ed inevitabile nel quale l'autore riesce ad inserire chiari richiami e critiche all'attualità che contribuiscono a rendere tutto più reale.
Gary Frank, oltre a volti ed anatomie perfette e sfondi ben dettagliati, riutilizza la classica gabbia a nove vignette, prendendosi, tuttavia, più di una licenza per modificare dove necessario il ritmo narrativo. Anche la colorazione dell'albo ad opera di Brad Anderson è di alto livello: dai toni caldi, con una predominanza dell'arancio della dimensione Watchmen (che contribuiscono ottimamente a creare il senso di minaccia ed isteria diffusa) passiamo ai toni più freddi, con preponderanza dell'azzurro della Terra - 0 (l'espediente ci ha riportato alla memoria alcune delle sigle della serie tv Fringe, connotate dall'alternanza tra rosso e blu, indicative dell'universo in cui si sarebbe svolta l'azione).
In definitiva un ottimo debutto, dal quale traspare una accurata preparazione e l'evidente intenzione di rendere la serie un capitolo fondamentale della storia dell'universo DC; non vediamo l'ora di raccontarvi gli ulteriori capitoli...