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Emanuele Amato

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Ryuko 1, recensione: Storie di vendetta e di yakuza

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Dopo aver importato titoli del panorama fumettistico cinese, Bao Publishing introduce nel suo grande bouquet di opere un seinen nato sul web nel 2011. Parliamo di Ryuko, del poliedrico artista Eldo Yoshimizu, già conosciuto per le sue sculture.
La trama segue le vicende della bellissima capo clan della Yakuza di Yohohama, Ryuko. La sua influenza parte dal Giappone fino ad arrivare in medio-oriente, più precisamente a Forossyah, sul Mar Nero. Qui è in corso un colpo di stato militare che degenera in una tragica guerra civile. Il re, appena spodestato, affida a Ryuko la sua figlioletta appena nata di nome Barrel. Diciotto anni dopo si vedrà essere una delle protette della boss. Il quartier generale del clan, d’improvviso, viene preso d'assalto dalle milizie del generale Rashid, capo dell'esercito golpista. Avendo la peggio nello scontro, in punto di morte, rivela all’affascinante boss/assassina alcune terribili verità, tra cui quella su sua madre: creduta morta fino ad allora, la donna è in realtà ancora in vita e tenuta in ostaggio in Giappone. Qui Ryuko decide di tornare nel paese del Sol Levante per cercarla e sistemare le cose.

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La protagonista è lo snodo principale di una narrazione non lineare su più piani temporali. Questa misteriosa assassina, infatti, è il filo rosso tra diversi personaggi che appartengono a gang e nazioni in guerra. Scopriremo, man mano nella narrazione, quanto per Ryuko questa guerra fra clan sia soprattutto una questione personale e si intrecci con uno scenario internazionale, coinvolgendo personaggi come il suo braccio destro Nikolai. Lo scenario spazia dal Giappone ad Hong Kong fino al Medio Oriente e all’ex-Unione Sovietica.

Yoshimizu intesse una core story basata sull’onore e sulle obbligazioni morali tramite un sofisticato intreccio di governi, boss e assassini che cercano di arrivare al potere. Le varie storyline sono ben strutturate e tutte molto accurate. Questa peculiarità permette di fornire più punti di vista sulla guerra in atto facendo divenire la narrazione un racconto corale, con al centro Ryuko. La caratterizzazione dei personaggi è complessa e intricata, nessuno è totalmente buono o cattivo e c’è una sottile ombra di ambiguità che aleggia sulle loro storie: tutti prendono decisioni che possono essere considerate cattive ma, dati i contesti, sono forse quelle necessarie. Questa necessità del comportarsi, e magari il dubbio e senso di colpa del ricordo, assilla ogni personaggio donando loro una caratterizzazione sfumata e uno spessore psicologico molto realistico e variegato. Ognuno ha il suo dramma e fardello e ognuno convive con le proprie decisioni e azioni. Queste azioni vengono tessute bene dall’autore facendo incontrare, scontrare e interagire, mondi dietro personaggi che appaiono già in questo primo volume ben descritti e complessi.

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Il tratto dell’autore giapponese strizza l’occhio ad opere Gekiga anni ‘60 e ‘70. Soprattutto richiama la tradizione della vecchia scuola del manga noir e hardboiled di Takao Saito e Tsutomu Takahashi.
La struttura delle tavole a griglie libere rende la narrazione dinamica e piena di pathos. Yoshimizu alterna tavole morbide con figure femminili affusolate e tavole dallo stile nervoso che drammatizzano la scena. Le scene d’azione in particolare sono costruite alternando i punti di vista delle inquadrature così da rendere più frenetica la dinamica. Aggiungiamo il tratto nervoso che gioca sui contrasti di bianco e nero, facendo emergere dettagli e particolari che aggiungono potenza visiva, avviene così che il lettore divora completamente le pagine sentendosi immerso nella scena. Di particolare rilievo la scena finale dell’inseguimento che forse è il momento più adrenalinico dell’intero albo (anche se non è l’unico). Si nota l’autore abbia una cifra stilistica audace e cinematografica, con predilezione per i tagli obliqui. Da menzionare però come a volte questa dinamicità arrivi all’eccesso. Ci sono esagerazioni con effetti e distorsioni, vignette troppo confuse e con continui cambiamenti di prospettiva, al punto che alcune sequenze risultano estremamente difficili da decifrare.

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Ryuko quindi non risulta un semplice omaggio allo stile Gekiga dell’epoca, anzi, riesce a scrollarsi di dosso il termine per presentarsi come un racconto fresco e disinibito. Una storia che risulta intrigante e stilisticamente ricercata e voluta, non solo riservata agli appassionati del Gekiga ma ad un più ampio target.
L’edizione Bao è molto ben curata in un’elegante copertina in cartone rigido ed effetti colorati traslucidi. 250 pagine stampate su carta spessa da 120 grammi e in formato 21,5x15,5cm. Rilegatura a filo refe con risguardi da 125 grammi, il tutto al prezzo di 17,00€.

Hasta la victoria! – Cuba 1957, recensione: La rivoluzione di Castro con gli occhi di Stefano Casini

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La rivoluzione cubana è un argomento che ormai è storia e oggetto di dibattiti sempre e continuo, come cita la prefazione del volume in recenzione, a metà tra storiografia e mitografia. Ci soffermeremo essenzialmente sulla narrazione di Stefano Casini e la sua visione del tema, ovviamente inserendo a dovere elementi storici imprescindibili per amor del vero. Così come è vero che questa avventura, per quanto possibile, non esprime una posizione politica ma riporta fatti abilmente narrati e, in parte inventati, perché resta sempre una storia creata partendo da eventi realmente accaduti.
L’opera di Casini sulla rivoluzione cubana è uscita nel lontano 2006 per Grifo Edizioni e si è conclusa nel 2010. Il racconto è una tetralogia ben strutturata e narrata. Qui ci soffermerà sui primi due volumi di Hasta la victoria!: Cuba 1957 e Mambo cubano, contenuti nella collana Historica di Mondadori Comics.

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La storia è ambientata nel 1957, quando sbarca a L’Avana il marinaio italo-còrso Nero Maccanti, indirizzato da un collega verso una pensione economica e accogliente, gestita da un vecchio amico. Nero si troverà coinvolto in un complotto contro il governo di Fulgencio Batista, mentre un bouquet di altri personaggi animano il primo capitolo.
La ricostruzione storica di Casini è scrupolosa e affascinante, il protagonista da lui inventato è credibile e non eccessivamente stereotipato. La narrazione procede lineare e guizzante snodandosi tra le varie figure che compongono le piccole storie di cui è composto il primo capitolo. La seconda parte, Mambo Cubano, segue ed amplifica la scia finale di Cuba 1957, divenendo nettamente più corale e lasciando Nero quasi come una figura tra le tante che animano il racconto. Alcuni passaggi peccano forse in un eccesso di didascalismo, soprattutto in determinati dialoghi. In parte ciò è comprensibile per permettere di spiegare gli eventi che accadono, ma risultano comunque eccessivi appesantendo questi punti particolari. Si nota, ad ogni modo, una ricerca di documentazione monumentale che c’è dietro soprattutto su determinati eventi citato che non sono proprio noti ai più.

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Casini non mostra Castro proprio per non monopolizzare la narrazione su di esso e per spiegare bene tutti i retroscena che hanno portato alla rivoluzione. Un worldbulding fatto con saggezza e metodo che tiene l’attenzione del lettore nonostante l’assenza del suo personaggio principale, Fidel.
L’influenza della spy story è evidente e Casini, come viene ricordata nell’introduzione del volume, evoca atmosfere alla Graham Greene e alla John Le Carré con grande stile. Come detto poco più su, l’autore prende una certa distanza politica. Non dà giudizi e non mostra di parteggiare per una fazione o l’altra ma si limita a descrivere il contesto dove vivono politici corrotti, rivoluzionari idealisti, avventurieri giusti per caso e gangster. Quello che denuncia è la disparità sociale ed economica esistenti a Cuba: l’Avana piena di casinò di lusso, frequentati da divi Hollywoodiani che convivono insieme alla miseria dei quartieri popolari e delle campagne che pullulano di baracche fatiscenti e case improvvisate. I due volti di Cuba in antitesi tra loro che la rendono così unica e complicata e impreziosiscono, in senso narrativo, la spiegazione del perché del successo di Fidel Castro.

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I disegni sono sempre ad opera di Casini che, con il suo stile rude, rappresenta bene il mood della narrazione. Il suo tratto amplifica l’atmosfera cubana rendendola realmente esotica e contraddittoria. Risulta perfetto per la rappresentazione di un paese in cui convivono persone solari, socievoli e abituate a qualsiasi esperienza dalla più intensa e sognante a quella più cruda ed oscura.
Il lay-out delle tavole è dinamiche e ben strutturatè, sia nei gesti e nelle movenze durante i dialoghi, sia nelle scene d’azione in cui l’adrenalina e il pathos sono rappresentate alla perfezione.
All’interno di questa edizione Mondadori Comics ci sono extra come lo sguardo dell’autore sull’opera e illustrazione di gran pregio e bellezza che ne aumentano il valore. Una bella introduzione di Sergio Brancato apre il volume, che delinea un po’ il contesto storico in cui si incentra la storia di Casini.

Supporto, forma, contenuto: quattro chiacchiere con Alessandro Baronciani

Per leggere la recensione de Le ragazze nello studio di Munari, clicca qui.

In occasione di un incontro a Milano con il pubblico, organizzato da Bao Publishing e Feltrinelli, abbiamo incontrato Alessandro Baronciani. L'autore è in tour per promuovere la nuova edizione del suo lavoro Le ragazze nello studio di Munari. Ne è nata un'interessante chiacchierata che vi proponiamo qui di seguito.

A distanza ormai di sette anni dall’esordio, come è cambiato per te, emotivamente e tecnicamente, Le ragazze nello studio di Munari? Come il protagonista del fumetto dici che i libri raccontano storie, vederlo in nuova veste ha cambiato qualcosa nella percezione della tua opera?

Il protagonista del libro dice che i libri raccontano altre storie oltre a quelle raccontate nei libri. Sono le storie di chi ha posseduto il libro: dove l’ha letto, dove è stato lasciato, le dediche nelle prime pagine. Per quanto riguarda il fumetto ho disegnato alcune cose ma più che altro ho risistemato delle parti che non erano andate bene nella prima edizione perché c’erano stati un po’ di problemi. Per colpa di quei problemi, la prima volta non uscì in tempo per Lucca Comics. Molti di questi problemi rimasero nella prima edizione della Black Velvet del 2010. Mi ero ripromesso di rimetterci le mani nella ristampa che non uscì mai perché la vecchia casa editrice fallì e tutto si bloccò improvvisamente. Rimetterci sopra le mani è stato veramente strano… ho avuto la possibilità di ridisegnare particolari che non mi erano piaciuti come li avevo realizzati la prima volta. Mi sentivo in colpa, poi ho scoperto che anche altri autori nel passato ritoccavano i propri disegni. Questo perché prima le storie venivano pubblicate nelle riviste e poi - in un secondo momento – raccolte nella forma libro. Gli autori avevano la possibilità di rivederle e correggere. Ho sistemato e rivisto insieme tutti i testi, aggiunto e diviso la storia in diversi capitoli che ha reso più veloce la lettura rendendo Le ragazze nello studio di Munari anche per me una piacevole riscoperta. Emotivamente è bello e mi piace più della prima volta. È come tornare indietro nel tempo. Mi sono sentito Michael J Fox in Ritorno al Futuro. Una specie di Marty Mc Fly che tornava indietro di sette anni ed aggiustava quelle due cose che non andavano bene e di ritorno si trovava finalmente la jeep nel garage!

Anche perché tu hai avuto la possibilità di poter rimettere mano a una tua opera mentre molte persone non vogliono.

Non riesco a pensare alle opere come opere “finite”. Questo libro, in particolare, dice che le cose cambiano e che le cose diventano continuamente qualcos’altro (ride). Munari racconta che un oggetto prima è una bottiglia del latte, poi un motoscafo per i bambini, poi, una volta riciclata, una panchina di un parco.
Quando avevo iniziato a disegnare e a scrivere Le Ragazze nello Studio di Munari, avevo in testa delle idee come regole da portare fino alla fine della realizzazione. Ad esempio la narrazione doveva essere un flusso di coscienza del protagonista i cui pensieri e digressioni dovevano seguirsi uno dietro l’altro. Sentivo che il protagonista doveva parlare a ruota libera, tipo la Versione di Barney. A distanza di tempo però ho visto che c'era bisogno di interrompere la lettura e far capire cosa succede anche al lettore.

Prima, durante la presentazione dicevi che il supporto fisico si sta perdendo. Credi che la rete possa far cadere nell’oblio le opere degli autori? Non sembra paradossale dato che a differenza dell’oggetto la rete non dimentica?

Ovvio che la rete può far cadere le opere degli autori nell'oblio. Prova a cercare il tuo vecchio blog su Splinder o i disegni caricati su Myspace. Nella rete ci sono le cose finché tu paghi lo spazio e il dominio per tenerci dentro le cose. Altrimenti sei soltanto più raggiungibile, più trovabile. Il supporto fisico è qualcosa che va oltre quello che contiene. A Torino un lettore se ne esce con questa domanda, se per me la Sirena di Come Svanire Completamente era una dedica alla musica che pensiamo di possedere ma che in realtà non appartiene a nessuno. Crediamo di conservare Enjoy the Silence dei Depeche Mode mentre in realtà conserviamo soltanto la cassetta che la contiene. Mi son sempre posto il problema, nei miei libri, della riproducibilità tecnica o meglio dell'oggetto finale in cui la mia storia verrà letta. Dovremmo smettere di parlare di “opera d’arte nell'epoca della sua riproducibilità tecnica” e pensare forse all'opera d'arte nell'epoca della sua smaterializzazione digitale. I supporti cambiano e anche il contenuto dell'oggetto cambia. Ad esempio a me piace essere dispettoso. In La distanza , firmato insieme al cantautore Colapesce per la Bao, il centro del libro è sempre spostato, i disegni iniziano e finiscono a metà pagina, così da rendere fastidioso la lettura attraverso un ebook. In Come Svanire Completamente (libro autoprodotto dall'autore nel 2015 attraverso fundraising, ndr.) sono gli oggetti e le storie contenute nella scatola e la sua casualità a diventare la lettura. Nel libro su Munari sono gli “effetti speciali” a creare la storia del libro a farti entrare nella storia. Come se fosse “realtà aumentata” applicata ad una pagina a fumetti!

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Anche nel mondo del fumetto. Se leggiamo un Web Comic alla fine cerchiamo sempre il fumetto cartaceo, perché vogliamo possederlo materialmente.

Forse il problema sta nel fatto che non abbiamo memoria e ne abbiamo sempre meno. I dischi che ascolto oggi su Spotify sono quelli che mi sono dimenticato domani. L'unica cosa che rimane è quello che possiamo vedere tutti i giorni davanti ai nostri occhi. È la libreria, la raccolta di dischi. Ci hanno abituati a pensare che la cosa importante sia “cercare” come quando apri la pagina Google. In realtà ci stiamo dimenticando del “Ricercare”. Cioè  del ri-tornare a cercare, del ri-leggere le cose che abbiamo nelle nostre case. Ri-cercare significa ritornare su qualcosa che abbiamo già avuto per trovarne altri significati. È approfondimento. Su Google cerco un disco che ho sempre sognato di possedere, lo ascolto e non mi piace, non lo ascolto più. Mentre acquistandolo, da ragazzo, mi trovavo di fronte al fatto che mi doveva piacere per forza – ci avevo speso dei soldi – e quindi a studiarlo, e a capire di più di quello che avevo tra le mani. La “Ricerca” davanti alla mia discografia, è ritrovare un disco che volevo riascoltare e che difficilmente su Spotify ritroverò perché la sua memoria tiene in lista soltanto gli ultimi 20 ascolti e non magari tutto quello che ho sopra la mia scrivania. Non riesce a richiamarmelo alla memoria. Rileggere un libro, ritrovare nella biblioteca un fumetto, rileggermi per l’ennesima volta tutti gli Asterix, oltre alla questione della passione, per me vuol dire trovare un nuovo punto di vista. In maniera diversa, in un momento diverso, in una età diversa si capiscono un sacco di cose diverse. Ad esempio tu hai mai riletto un libro? Io ho iniziato con Alta Fedeltà di Nick Hornby e quando l’ho riletto ho detto “questo non è proprio il libro che mi ricordavo!”.

Solo con alcuni libri mi capita. Molti li leggo una volta e stop ma con alcuni dopo tot anni li rileggo. Li rivedo in una nuova luce perché son cambiato.

Stessa cosa succede con i film, se li riguardo a distanza magari, vedo cose che non vedevo precedentemente. Anche perché li hai lì! Non so come dire, li ritrovi perché stanno in mezzo a quei momenti di “nulla” in cui fai cadere gli occhi su quello che è nella tua stanza. Anche la televisione aveva questa cosa di empirico. Di essere lì e ora. Quando passa un film ti mettevi giù a guardarlo, perché chissà quando l'avrebbero ridato. Invece spesso mi dico, vado a letto e lo cerco domani su internet. Cosa ovviamente che non farò mai perché domani mi sarò già dimenticato o non avrò il tempo per poterlo vedere. Questa cosa che con internet hai tutto a portata di mano in realtà non ce l’hai mai dentro.

Essendo un romantico e permettimi il termine, nostalgico, riesci e ti piace sperimentare con i libri e le loro possibilità espressive. Hai insomma un rapporto stretto con l’oggetto fisico. Hai mai provato a sperimentare con il web e le sue potenzialità? Nel senso un tipo particolare di fruizione che non sia il semplice pdf o scroll?

Non sono nostalgico. Henry Rollins, cantante dei Black Flag, diceva che essere nostalgici voleva dire che quando eri lì in quel momento non stavi vivendo al 100% la tua vita. E io l'ho sempre fatto. I romantici non sono nostalgici. Vanno lì, sturmano e drangano. Come Svanire Completamente aveva una fruizione diretta con il web. Le storie della Sirena venivano pubblicate come filmati che lei lasciava nella rete quando le persone avevano la possibilità di acquistare il libro. Poi la ragazza ha smesso di pubblicare le sue storie online, è scomparsa, svanita completamente e, in quel momento, il libro non si poteva acquistare e poi arrivò nelle mani dei lettori. Esistono un sacco di espedienti narrativi che possono sfruttare il web. Tutto sta a cosa vuoi fare prima che il tempo, il web e la tecnica non renderà obsoleto quello che hai creato. Ai tempi di Myspace c’erano dei pionieri dell'animazione online, si chiamavano JibJab, erano animatori che sfruttavano un'invenzione del web, si chiamava Flash, permetteva di fare filmati leggerissimi da poter vedere online, quando ancora non esisteva l'adsl, di giocare e interagire con il filmato. Oggi la maggior parte di tutto quello realizzato 10 anni fa non esiste più in rete. Un po' come se avessero fatto tutto con vecchi proiettori Super 8... Tutto è legato ai supporti. Tutte le esperienze culturali sono state legate ai supporti con cui nascevano. Munari creò Zizì, la scimmietta perché un giorno gli portarono in studio un materiale nuovo, rivoluzionario, si chiamava “gommapiuma” e cercavano qualcuno che potesse ricavarci qualcosa, un “contenuto”.

A livello di fruizione con tutti i programmi che ci sono oggi è possibile poter cambiare le cose?
C’è sempre qualcuno che ne fa un utilizzo geniale e questa cosa mi fa impazzire. Ad esempio un artista chiese ad Amazon Mechanical Turk di disegnare 10.000 pecore. E tutto il “gregge” disegnò una pecora per pochi spiccioli. Cornelius, il musicista giapponese, durante i concerti dava al pubblico accalcato sulle transenne uno strumento a forma di pulsante che faceva il verso del maiale: Oink! Oink!

Era un concerto interattivo quindi.
Sì, noi eravamo maiali (ride). Uno sopra l'altro dentro una “gabbia” pressati e schiacciati per cercare di suonare un pulsante. Bisogna sempre cercare di capire le idee dietro un nuovo media o supporto, altrimenti può succedere, pensando che sia una novità, che ti pigliano in giro e non te ne accorgi neanche.

Hai qualche progetto nuovo in cantiere?
Ho in cantiere un nuovo progetto che dovrebbe uscire l’anno prossimo. Ti dico soltanto che sono super modelle horror. C'è l’idea di voler ristampare Come svanire completamente perché appunto è irriproducibile attraverso la rete. I libri sono fatti per essere ristampati. Il libro non vive quando viene stampato ma vive quando viene ristampato. Le ragazze dello studio di Munari è tornato in vita quando è stato ristampato, ne stiamo riparlando in questa intervista, sto facendo tutta l'Italia in giro a presentarlo, di nuovo. Come se fosse uscito oggi per la prima volta. Vuol dire che è piaciuto, che c'era una attesa. Bao ci ha creduto pur essendo un libro particolare e con dei costi di produzione più alti rispetto ad altri libri e questo mi rende molto contento.

Le ragazze nello studio di Munari, recensione: la nuova vita del libro di Alessandro Baronciani

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Per leggere l'intervista ad Alessandro Baronciani, clicca qui.

Bao Publishing riporta in fumetteria e libreria Le Ragazze nello Studio di Munari del fumettista Alessandro Baronciani. L’opera uscita sette anni fa per l’editore Black Velvet, vede nuova luce in questa riedizione ritoccata in alcuni punti con tavole diverse e con una strutturazione meno frammentaria.
Volendo partire proprio da questo punto, la narrazione non perde la sua profondità anzi acquista forza e dinamicità in quei punti dove precedentemente c’era qualche piccola falla grazie a una consecutio più lineare.

La storia è quella di Fabio, giovane ragazzo che possiede una libreria a Milano. Amante dei libri e dell’arte, ha una passione per il genio di Bruno Munari. Fabio è un amante delle cose, degli oggetti, dei libri e delle donne. Quelle donne che ama sinceramente ma che non riesce a mantenere. In questo, infatti, richiama molto François Truffaut in L’uomo che amava le donne, opera che cita nello stesso volume. Baronciani è un esperto conoscitore di cinema, letteratura e musica e non è difficile pensare alla facilità con cui ha inserito questi rimandi.

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Tornando alla trama, il protagonista ha tre relazioni con tre ragazze diverse e una dopo l’altra lo lasciano, facendo nascere in lui una sensazione di sconforto e di profonda riflessione. Fabio cerca l’amore nella quantità cercando di sfuggire alle sofferenze che inevitabilmente portano le relazioni. Inizia così il suo percorso interiore attraverso i ricordi e i frammenti dei volti delle ragazze in questione. A Baronciani piacciono i dettagli e si vede. Il rimando alla nuca delle ragazze con cui è stato, richiama sempre il sopracitato film di Truffaut, oppure la gita fuori porta a Ravenna che evoca Deserto Rosso di Michelangelo Antonioni, spiegandone retroscena tecnici (del film) in una narrazione degna di nota con espedienti cartotecnici. Ultimo ma non per importanza, la gita alla Pinacoteca di Brera riporta alla mente del protagonista lo schema analitico delle opere pittoriche, studiato da Bruno Munari, applicato a Lo sposalizio della vergine di Raffaello. Nell’opera Munari non è solo un espediente narrativo ma penetra ogni singola tavola ed “è” in ogni singola vignetta. Munari ha come concezione l’evoluzione delle cose, degli oggetti e dell’essenza. Tutto si evolve e nulla resta lo stesso, tranne Fabio che non riesce a mutare.

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Arrivando alla parte visiva, inscindibile è la resa delle tavole da quella della confezione e della cura del volume, in questo caso un gioiello nel suo genere. Non ci troviamo di fronte, infatti, a un libro con foliazione normale ma che presenta, al suo interno, pagine strutturate in modo del tutto particolare o con materiale differente. Fogli in trasparenza di un parco che man mano che li si sfoglia aumentano di profondità fino ad arrivare alla casa/meta. Altro esempio è una tavola/pagina con un foro che simula l’oblo della porta d’ingresso della libreria del protagonista e dove si intravede il viso di chi ha suonato (nella pagina seguente a figura intera). La famosa pecora in materiale morbido e la scritta “Toccami”. L’approccio interattivo utilizzato da Baronciani è simile a quello che realizzò Munari con i “libri illeggibili”, dove c’erano fogli colorati senza alcuna scritta, fori o fili che attraversavano le pagine, per lasciare al lettore la fantasia e la possibilità di inventare. Anche questo libro deve essere toccato, vissuto e sfogliato. Un po’ come ci racconta il protagonista. Il tratto essenziale di Baronciani poi è sofisticato e diretto donando alla storia quella poesia visiva che lo rende unico.

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La Bao Publishing ha fatto uno splendido lavoro con questa nuova edizione o, restando romantici e a tema col fumetto, con questa nuova vita. L'editore ha curato il volume nei mini dettagli, realizzando un prodotto che, in quest’epoca digital, diviene un oggetto unico dando prova che il cartaceo resta immortale e, in alcuni casi non è trasportabile, o per meglio dire fruibile, su di un altro mezzo. Le ragazze nello studio di Munari ne è, in tal senso, la prova lampante.

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