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Luca Tomassini

Luca Tomassini

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America’s Got Powers 1-2

Gli anni 2000 saranno probabilmente ricordati, oltre che per l’avvento di una crisi economica che non accenna ancora oggi ad esaurirsi, anche come l’epoca dei reality show, fenomeno televisivo esploso alla fine degli anni '90 con la prima edizione del Grande Fratello olandese, dal cui format sono stati poi declinati i successivi cugini europei tra cui quello italiano. Parente prossimo del reality è il talent show, nato nel Regno Unito con la serie Got Talent e basato sulla rivalità tra aspiranti artisti, che spesso sfocia in contrasti violenti tra i concorrenti per assicurarsi il maggior numero di ascolti possibile. Il concetto di una società in cui la competizione tra individui scade in uno spettacolo becero e spesso violento, una sorta di darwinismo aggiornato all’epoca dei media, è stato spesso preso a prestito da cinema e letteratura (si pensi alla serie Hunger Games) e addirittura anticipato nel celebre romanzo di Stephen King The Running Man, da cui venne tratto negli anni '80 un bel film con Arnold Schwarzenegger.

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America’s Got Powers di Jonathan Ross e Bryan Hitch si inserisce nel solco tracciato da questi illustri predecessori, immaginando un talent show dove ragazzi dotati di super poteri devono sfidarsi affinché emerga il migliore tra loro. Ross e Hitch, inglesi, ambientano la vicenda negli Stati Uniti, in una immaginaria San Francisco teatro, 17 anni prima, di un singolare evento: un bagliore accecante dal cielo, preludio all’arrivo sulla Terra di una pietra capace di far partorire prematuramente ogni donna incinta nell’area interessata dall’evento e di dotare i nascituri di poteri straordinari. Anni dopo sarà proprio questa generazione di dotati a sfidarsi nell’arena di America’s Got Powers, show creato per sfruttare a fini di intrattenimento le capacità di questi ragazzi: ma dietro le quinte altri interessi, come quelli dell’industria bellica, sono in agguato.

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America’s Got Powers, come il talent da cui prende il nome, è un buon prodotto di intrattenimento, ma non così tanto da lasciare il segno. La sceneggiatura di Jonathan Ross, anchorman della tv britannica che non ha mai fatto mistero della sua passione per i comic book, imbastisce una trama che sarebbe ottima per un blockbuster hollywoodiano, ma che non si segnala per particolare originalità (l’evento che conferisce i poteri fa pensare sia a Rising Stars di J. Micheal Straczynski che al “white event” alla base del New Universe marvelliano degli anni '80). Il topos dell’outsider che scopre di essere il prescelto, poi, è un classico della letteratura e del cinema di genere, da Star Wars a Matrix. L’intento di confezionare una critica della degenerazione dell’intrattenimento televisivo dei nostri tempi, sarebbe anche lodevole, ma non è supportata dalla mancanza di spessore della sceneggiatura: ci sarebbero voluti, tanto per intenderci, i testi caustici e iconoclasti di Mark Millar, che aveva fatto faville con Bryan Hitch sull’ormai classico The Ultimates della Marvel. Nella seconda uscita, che contiene i numeri 2 e 3 della miniserie originali, il mistero della pietra aliena si infittisce cosi come le trame dei militari, determinati a sfruttare i poteri dei ragazzi per fini bellici: ciò nonostante, i testi poco ispirati di Ross non riescono a far decollare America’s Got Powers oltre la dimensione di un pop corn movie estivo piacevole, ma già visto.

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La scarsa brillantezza della sceneggiatura è fortunatamente compensata dal reparto artistico, grazie alle matite di un Bryan Hitch tornato finalmente a buoni livelli, dopo la non felice prova del crossover Age of Ultron: libero da scadenze pressanti e assistito dai suoi due inchiostratori abituali, Andrew Currie (Ultimates) e Paul Neary (The Authority), Hitch torna a realizzare tavole spettacolari e dettagliate (l’arrivo di Tommy all’interno dello stadio, le battaglie nell’arena). Non siamo ai livelli delle matite di Authority e Ultimates, realizzate con spettacolare uso di tavole orizzontali a mimare lo schermo cinematografico (e per le quali è stato coniato il termine widescreen comics), ma il risultato è comunque più che apprezzabile. Panini Comics sceglie di serializzare l’opera in 4 albi prestige da 48 pagine, con una carta patinata che valorizza al meglio i colori del veterano Paul Mounts.
Prime due uscite tra luci ed ombre per la serie di Ross & Hitch, dalla quale era lecito aspettarsi qualcosa di più.

Moon Knight 1: Dalla morte

Anticipate dalla recensioni entusiaste della critica americana e dalla calda accoglienza riservatagli dal pubblico d’oltreoceano, sono finalmente arrivate anche in Italia le storie di Moon Knight prodotte dal duo Warren Ellis (testi) e Declan Shalvey (disegni). Attesa ripagata per un ciclo di storie che si avvia a diventare un classico moderno. Dopo la trasferta losangelina narrata nel ciclo di Brian Micheal Bendis e Alex Maleev, Ellis riporta il Cavaliere Lunare nella Grande Mela, ambiente più consono per il personaggio e per le storie dal tono noir che lo scrittore inglese è interessato a raccontare.

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Come nei cicli più ispirati della sua carriera, Ellis si avvicina al character di cui si appresta a raccontare le vicende rispettando la tradizione del personaggio, ma allo stesso tempo sconvolgendone lo status quo e proiettandolo nel futuro. Lo scrittore inglese opta per lo stile asciutto e infarcito di azione, simile ad un episodio del serial 24, da lui inaugurato con Global Frequency durante il suo periodo alla Wildstorm e utilizzato ancora durante il suo breve ciclo di Secret Avengers. Proprio in queste storie Ellis cominciava la sua marcia di avvicinamento al personaggio di Moon Knight, ridefinendone il look grazie alle matite di Micheal Lark nella storia Aniana e trasformandolo da problematico vigliante notturno in preda a una perenne crisi di identità a risoluto agente segreto. Ellis porta a compimento l’opera di trasformazione del personaggio in questo volume: viene sancito definitavamente che la teoria che stava alla base di tutte le precedenti versioni del personaggio, cioè che il Cavaliere Lunare fosse afflitto da DDI (Disturbo Dissociativo dell’Identità), era sempre stata errata. Moon Knight è stato davvero scelto da una entità ultraterrena per essere il suo agente nel nostro mondo, e il suo cervello ha creato identità diverse per accettare quello che alla ragione umana risulta inspiegabile.

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Ellis non rompe con la tradizione del personaggio: c’è sempre il crociato notturno di bianco vestito, l’aliante a forma di mezzaluna, il dio egizio Khonshu… ma tutto è completamente diverso.  Se con Stormwatch aveva trasformato una serie di scarso successo incentrata su un supergruppo non troppo originale nella serie più influente e imitata degli anni '90 e primi anni 2000, con Moon Knight lo sceneggiatore inglese compie l’ennesimo strabiliante rinnovamento di un franchise che sembrava aver ormai giocato tutte le sue carte. I dialoghi taglienti come rasoiate, lo script che catapulta immediatamente il lettore nel vivo dell’azione senza inutili fronzoli, sono il marchio di fabbrica di un Ellis che segna un distacco profondo dallo stile prolisso e, come è stato definito dalla critica, decompresso, di Brian Micheal Bendis, deus ex machina dell’ultimo decennio del Marvel Universe e ultimo sceneggiatore ad essersi cimentato con le avventure di Moon Knight prima dell’avvento dell’autore inglese. In ultima analisi, quello operato di Ellis è l’aggiornamento brillante di un topos, quello del Cavaliere Solitario che arriva in città per portare la giustizia e raddrizzare i torti, l’escluso rancoroso verso il sistema che opera ai confini della legge, togliendo le castagne dal fuoco ad istituzioni ormai inadeguate.

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Il risultato finale, però, non sarebbe potuto essere ugualmente entusiasmante senza le tavole di Declan Shalvey, giovane disegnatore irlandese fattosi notare precedentemente con Thunderbolts e Deadpool. Le pagine di questo volume di Moon Knight ci parlano di un talento puro, uno dei più cristallini tra quelli emersi sulla scena fumettistica degli ultimi anni. Le illustrazioni di Shalvey accompagnano la sceneggiatura di Ellis con uno storytelling fluido ed essenziale, che riesce nel compito, non facile, di tradurre in immagini lo stile narrativo dello scrittore. La composizione tradizionale della tavola lascia spesso il campo ad ardite soluzioni sperimentali che lasciano di stucco il lettore: il climax dell’arte di Shalvey viene toccata nella quarta storia del volume, Sonno, dove la rappresentazione onirica della dimensione del Sogno raggiunge vette di eccellenza artistica inusuali per un comic book seriale, quasi da avanguardia. Menzione d’onore per i colori densi di Jordie Bellaire, completamento ideale ai disegni di Shalvey.

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Moon Knight: Dalla Morte rappresenta una felice eccezione nella produzione Marvel più recente, dominata da logiche commerciali e da una certa sudditanza nei confronti della propria divisione cinematografica. Ellis & Shalvey confezionano un manuale in sei capitoli su come si possono (e, aggiungerei, si devono) realizzare i fumetti di supereroi nel 2015, rendendo degli stereotipi ormai ampiamente abusati nuovamente freschi ed originali. Particolarmente felice poi la veste editoriale scelta della Panini, un elegante volume cartonato dal costo contenuto che ci sembra il modo ideale di presentare questo primo, vero must have del 2015.

Zenith 1 Fase Uno

Ci sono opere che, a volte involontariamente, a volte per precisa volontà del proprio autore, incarnano lo zeitgeist, lo spirito del momento storico in cui sono uscite. Opere che, quando finalmente le leggi, ti sembra di averle già lette, ma solo perché quel materiale era ispirato proprio da queste opere. Se entambe le affermazioni possono essere accolte quando si parla di un classico ritrovato come il Miracleman di Alan Moore, di cui Panini Comics da circa un anno propone la splendida ristampa rimasterizzata, lo stesso possiamo senza dubbio dire di Zenith, opera seminale di un giovane Grant Morrison raccolta dalla stessa casa editrice modenese in eleganti volumi cartonati, il primo dei quali è arrivato sugli scaffali delle fumetterie da pochi giorni.

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Uscita per la prima volta a puntate nel 1987 sulla prestigiosa rivista 2000AD, vera e propria palestra per un nutrito gruppo di giovani autori inglesi che tra la metà degli 80 e i primi anni '90 tenteranno il grande salto nel fumetto americano, come gli stessi Moore e Morrison ma anche Alan Grant e Pat Mills, Zenith raccontava cosa volesse dire essere un giovane supereroe negli anni '80 dominati dall’edonismo, dall’estetica da videoclip, e dai tormentoni da classifica pop realizzati da scaltri produttori come Stock-Aitken-Waterman per idoli dei teenager come Rick Astley e Kylie Minogue. Modellato sulle sembianza del divo per una stagione Nick Kamen, one hit wonder dell’epoca, ma dotato del sarcasmo graffiante e del ciuffo ribelle di Morrissey, idolatrato leader degli Smiths, Zenith è un supereroe pigro e svogliato, lontano anni luce dal binomio power & responsability di marvelliana memoria, che si preoccupa solo di apparire sulle copertine e scalare le classifiche con i suoi album e singoli di musica pop. Non è un campione del popolo, a parte quello di MTV; non combatte per le ingiustizie, occupazione a suo modo di vedere dannosa che ha condotto ad una morte misteriosa i suoi genitori, eroi degli anni '60 appartenenti al supergruppo Cloud 9. Non potrà però sottrarsi a lungo alle sue responsabilità, quando il ritorno di una minaccia del passato lo costringerà a scendere in campo.

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Morrison parte dal classico materiale della DC e Marvel delle sue letture d’infanzia e adolescenziali, omaggiandolo (il protagonista sembra essere uscito fuori da una versione anarcoide dei Teen Titans, la celebre serie DC sui sidekick, gli aiutanti dei supereroi adulti; l’antagonista, il superuomo nazista Masterman, è un omaggio diretto ai fumetti bellici di Roy Thomas, in particolare il marvelliano The Invaders), ma contaminandolo con una visione post punk fortemente anti-sistema. Sferzante la critica diretta alla politica del governo Thatcher, origine di tensioni sociali, che sembra creare le condizioni per l’invasione della nostra realtà da parte di creature demoniache di lovecraftiana memoria, ma bassa anche la considerazione per i politicanti, casta abietta dedita alla spartizione del potere, a cui partecipano anche vecchi e celebrati campioni del popolo, come il vecchio eroe Peter St. John, che una volta eletto volta le spalle ai bisogni della gente.

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Deciso a non ricalcare le atmosfere plumbee del Watchmen di Alan Moore, Morrison da una parte opta per uno stile in grado di riprodurre, come da lui stesso affermato, “l’ariosa superficialità della cultura pop degli anni '80”, dall’altra non sfugge al ruolo di attento critico della politica e della società di quegli anni. Lo sceneggiatore raffigura con spietata sincerità un mondo post ideologico, in cui la speranza di un mondo migliore è fallita con la sconfitta del flower power e la contemporanea scomparsa dei supereroi degli anni '60, mentre i nuovi eroi, come Zenith, possono solo combattere per un posto nel talk show del conduttore Jonathan Ross (oggi anche autore di comics, di cui è uscito in questi giorni in Italia il primo lavoro, America’s Got Power, a chiusura di un cerchio ideale) o per conquistarsi un servizio fotografico sulla rivista The Face. Un Morrison in grande spolvero insomma, pronto a lanciarsi alla conquista degli States col suo successivo incarico, e primo per una major americana, Animal Man. Al reparto grafico ottimo lo storytelling di Steve Yeowell, che diventerà un collaboratore abituale di Morrison in avventure americane come The Invisibles e Skrull Kill Crew.

Un’opera nata negli anni degli yuppies e del liberismo sfrenato, ma mai tanto attuale.

Doctor Who: il ritorno a fumetti del nono Dottore

  • Pubblicato in News

Con una uscita prevista prevista per il 1° aprile negli States, ha debuttato online l’anteprima della nuova miniserie in 5 parti della Titan Comics dedicata al Dottore per antonomasia della tv britannica, Doctor Who: The Ninth Doctor.

Scritta da Cavan Scott, già autore della guida Doctor Who: Who-ology e di alcuni episodi degli spin-off televisivi dedicati al mondo del Dottore, la serie vedrà il ritorno della nona incarnazione del Dottore, quella interpretata da Christopher Ecclestone nel 2005. Aiutato dai suoi compagni di avventure, Rose e Captain Jack, il Dottore cercherà di recuperare la tecnologia del Signore del Tempo, venduta al mercato nero intergalattico alla fine della Time War. Riusciranno i tre viaggiatori temporali ad evitare una nuova Guerra del Tempo?

Completano il team creativo Blair Shedd ai disegni e Alice X. Zhang alle copertine. Nella gallery in basso, un'anteprima dell'labo diffusa da CBR.

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