Menu
Luca Tomassini

Luca Tomassini

URL del sito web:

La storia della Image Comics, parte 1: Nascita e ascesa

  • Pubblicato in Focus

In occasione dei 25 anni della Image Comics, Napoli Comicon dedicherà una mostra alla nota casa editrice indipendente. Comicus, fra i media partner della manifestazione partenopea, realizzerà una serie di articoli a tema. Partiamo oggi con un approfondimento sulla nascita della Image e sui suoi primi anni di vita.

Image Comics: la storia
Parte 1: Nascita e ascesa

Agli inizi degli anni ’90 il mercato del fumetto americano registra le vendite più alte della sua storia. A fare da traino a questo trend è il successo, presso la Marvel Comics, di alcune serie realizzate da giovani artisti dall’approccio grafico rivoluzionario, come Todd McFarlane, Jim Lee e Rob Liefeld. Accomunati dalla capacità di far letteralmente esplodere su pagina i propri disegni, grazie ad un tratto potente e adrenalinico, pur con le loro specifiche peculiarità, i tre illustratori sono i maggiori responsabili del rinnovamento grafico che investe il settore a partire dalla fine degli anni ’80, quando vengono messi sotto contratto dalla Marvel per lavorare su alcune delle serie più prestigiose dell’editore. Su Amazing Spider-Man McFarlane rivoluziona il look dell’Uomo Ragno, tornando alla versione di Steve Ditko ma aggiornandola per i tempi moderni, ritraendolo in pose impossibili che lo avvicinano ad un aracnide, allargando a dismisura le lenti della sua maschera e introducendo la ragnatela spaghetti, che da quel momento in poi sarà una caratteristica del personaggio. Liefeld e Lee operano invece nel settore “mutante” della casa editrice, quello di maggior successo: il primo trasforma New Mutants da una serie incentrata sulla crescita e sulla formazione di un gruppo di giovani mutanti a una saga su un gruppo d’assalto paramilitare, introducendo nuovi personaggi come Cable e Deadpool, che diventano presto beniamini del pubblico; il secondo forma su Uncanny X-Men un binomio perfetto con Chris Claremont, realizzando eroi ed eroine di una bellezza impossibile e illustrando meravigliosamente il saluto finale dello sceneggiatore alla serie che ha scritto per 16 anni.

SpiderMan1 cover

Per la prima volta dai tempi di Jack Kirby, un artista diventa popolare e oggetto di culto presso i fan quanto i personaggi che disegna, ma con una differenza sostanziale: le vendite delle serie realizzate dai tre autori sono stellari. La Marvel capisce di avere in casa la proverbiale gallina dalle uova d’oro e annuncia l’uscita, per l’estate del 1991, di tre nuove serie: Spider-Man, curata per i testi e disegni da Todd McFarlane; X-Men, che si fregerà dei disegni di Jim Lee; X-Force, nata dalla ceneri di New Mutants e realizzata da Rob Liefeld. Ciascuno dei tre numeri d’esordio segna un record di vendite, nell’ordine di milioni di copie: il podio viene conquistato da X-Men 1 con otto milioni di copie, a tutt’oggi l’albo più venduto della storia del fumetto americano. Lee, Liefeld e McFarlane hanno talento come artisti, ma se la cavano discretamente anche come uomini d’affari: sanno bene quanto il loro apporto sia determinante al successo delle serie da loro realizzate, e vorrebbero vedere il loro lavoro adeguatamente ricompensato. Il perno del loro malcontento ruota soprattutto intorno alla questione delle royalties, cioè il riconoscimento di un compenso in denaro per lo sfruttamento di personaggi di propria creazione. Inoltre c’è un problema creativo: McFarlane e Liefeld, in particolare, vogliono il controllo delle testate da loro curate, senza la mediazione di alcun editor. La Marvel non è d’accordo con la posizione dei tre autori ritenendoli semplici impiegati, per quanto talentuosi, e individuando il motivo del successo delle serie da loro curate nel fascino dei personaggi di proprietà della compagnia. Ci troviamo in un momento storico in cui la Marvel è in causa addirittura con Jack Kirby, co-creatore dei principali personaggi dell’azienda, a cui non vengono riconosciuti i diritti d’autore. Una riunione drammatica nella sede della casa editrice tra McFarlane, Lee, Liefeld e Terry Stewart, il presidente, sancisce l’insanabile rottura tra la Casa delle Idee e i tre artisti, che abbandonano l’azienda sbattendo la porta. Ma Liefeld e soci avevano un piano di riserva.

L’artista, che già da tempo aspirava a pubblicare personaggi di sua creazione, aveva ricevuto un’offerta dalla Malibu Graphics, piccolo editore di fumetti in bianco e nero, per pubblicare fumetti originali di cui l’autore avrebbe mantenuto controllo creativo e diritti d’autore. Liefeld aveva avuto modo di confrontarsi su questa proposta con McFarlane, il cui malcontento era pari al suo, e aveva chiesto consiglio a Jim Valentino, in quel momento al lavoro in Marvel su Guardians of the Galaxy ma con un passato nell’editoria indipendente. L’insoddisfazione e il timore di non cavalcare quel grosso business che era diventata l’industria del fumetto nei primi anni ’90, frutto di una bolla speculativa che in pochi anni avrebbe mostrato le sue conseguenze disastrose per il settore, attanagliava anche altre star della Marvel, come Erik Larsen, successore di McFarlane su Amazing, Marc Silvestri, che aveva lasciato il posto di disegnatore degli X-Men a Lee per essere dirottato su Wolverine, e Whilce Portacio, amico e collaboratore di Lee su X-Men, nonché disegnatore di X-Factor. Liefeld e McFarlane, dopo aver persuaso definitivamente la superstar Jim Lee, seppero intercettare le inquietudini degli altri artisti, convincendoli a seguirli. Il dado era tratto, e in un giorno di metà febbraio del 1992, con un comunicato, la Malibù Graphics annunciò la nascita di un’etichetta indipendente, un marchio autonomo che sarebbe stato creato e gestito dai sette fuoriusciti della Marvel, i sette membri fondatori: la Image Comics era nata.
La casa editrice si costituisce come un consorzio di sei studios facenti capo ognuno ad un socio fondatore:

-   Todd McFarlane Productions di Todd McFarlane
-   Extreme Studios di Rob Liefeld
-   Wildstorm Productions di Jim Lee, al cui interno trova spazio anche Whilce Portacio
-   Top Cow Productions di Marc Silvestri
-   Highbrow Entertainment di Erik Larsen
-   ShadowLine di Jim Valentino.

youngblood-1

La scommessa iniziale è quella di creare un universo supereroistico in grado di rivaleggiare con quelli di Marvel e DC, permettendo nello stesso tempo agli artisti di mantenere i diritti d’autore sui personaggi, il controllo creativo delle serie, oltre a percepire un maggior guadagno grazie al pieno sfruttamento delle royalties. E nella maggior parte dei casi, la scommessa viene vinta.
La prima testata a debuttare sotto la grande “I”, il logo della Image, è Youngblood di Rob Liefeld, gruppo di eroi che lavorano per il governo Usa, il cui numero 1 diventa l’albo indipendente più venduto della storia del fumetto americano fino al quel momento. Segue a ruota Spawn di Todd McFarlane, bizzarra ed efficace commistione tra fumetto si supereroi e horror, che batte il record di Liefeld. Si viaggia nell’ordine di milioni di copie, e il duopolio Marvel/DC comincia a vacillare. Altro grande successo è WildC.A.T.S. di Jim Lee, il cui numero 1 si piazza al secondo posto degli albi più venduti nel 1992, dietro solo al celebre numero contenente la Morte di Superman. Fatta eccezione per la creatura di McFarlane, frutto di un’ispirazione genuina, i supergruppi di Lee e Liefeld sono evidentemente modellati sugli X-Men e su gli altri gruppi mutanti della Marvel, il marchio più popolare e remunerativo della storia della casa editrice. La formula è ben nota: si mettono insieme un mentore, un carismatico leader sul campo, un solitario misterioso e affascinante, varie bellezze dal fisico perfetto e un forzuto inarrestabile. Se Liefeld condisce il tutto con improbabili e provocatorie distorsioni anatomiche, Lee può contare su uno stile che coniuga potenza steroidea ma anche grazia e delicatezza nel realizzare forme perfette che blandiscono la pupilla del lettore. Una formula collaudata a cui non si sottraggono Marc Silvestri, con la sua Cyberforce e, in una declinazione sci-fi e paramilitare, Whilce Portacio con i suoi Wetworks. Buon successo raccolgono anche Savage Dragon di Erik Larsen, unica serie tra quelle iniziali tutt’ora in corsa insieme a Spawn, e Shadowhawk di Jim Valentino, bizzarro caso di vigilante urbano afflitto dal morbo dell’AIDS.

spawn-1

Il messaggio della Image degli inizi è chiaro fin dalla scelta del nome: potere agli artisti e all’immagine, che deve essere preponderante sui testi. È il trionfo dell’estetica, per quanto ipertrofica: salvo poche eccezioni, i primi albi Image sono un tripudio di vigilanti muscolosi, ipertiroidei e dediti all’azione, perennemente arrabbiati, con denti digrignati e occhi a fessura, pronti ad aggredire qualche nemico. Se latitano sceneggiature degne di questo nome, maniacale è invece la cura della confezione: fa il suo ingresso la carta patinata e si investe nella colorazione al computer, grazie a pionieri come Steve Oliff e Brian Haberlin. I fumetti Image sono bellissimi da guardare, ma imbarazzanti nel momento in cui se ne affronta la lettura. È l’esito finale, in terra americana, di quel revisionismo del supereroe il cui processo è ormai giunto a compimento senza aver più nulla da dire, se non specchiarsi superficialmente in pose tanto aggressive quanto ridicole, per quanto ben accette da milioni di adolescenti che vi vedono riflesse le proprie inquietudini ed insicurezze.

Supreme-042-00fc

Consci di questi limiti e delle loro modeste capacità alla macchina da scrivere, McFarlane e soci correranno ben presto al riparo chiamando al proprio capezzale i migliori scrittori su piazza: ecco arrivare Alan Moore, Frank Miller, Neil Gaiman, Dave Sim e Grant Morrison sulle pagine di Spawn, ancora Moore su Supreme di Liefeld, dove trasformerà un misero emulo di Superman in un omaggio commosso alla Silver Age dei comics, e su WildC.A.T.S., dove realizza il ciclo definitivo della squadra di Lee in coppia col mirabile Travis Charest. Intanto sulle pagine di Stormwatch, serie di secondo piano della Wildstorm di Jim Lee, arriva l’innovatore inglese Warren Ellis, che la trasforma in una saga di supereroi governativi e cospirazioni che lascerà una traccia tale da influenzare anche le serie mainstream di Marvel e DC, tanto da poter essere annoverata tra i cicli di storie più influenti del decennio.
La Image chiude la prima metà degli anni ’90 consolidandosi in una quota di mercato di tutto rispetto, e diventando a tutti gli effetti il terzo polo del settore. Dì lì a poco, però, la crisi del settore, problemi interni e l'abbandono di alcuni fondatori creeranno una notevole crepa nelle fondamenta Image Comics, che la porteranno a una fase di declino. Ma la rinascita è vicina.  Di questo, però, ve ne parleremo la prossima settimana in un nuovo articolo.

Lo sbarco in America di Morrison, la recensione di Animal Man 1

Nel 1982 un giovane sceneggiatore inglese di nome Alan Moore aveva concepito, sulle pagine della rivista Warrior, un revival di Marvelman, vecchio personaggio della Silver Age inglese modellato sull’americano Captain Marvel della Fawcett Comics, poi passato nel catalogo della DC col nome di Shazam. Inconsapevolmente o meno, lo scrittore di Northampton aveva dato il via al cosiddetto periodo revisionista del fumetto supereroistico, che culminerà anni dopo ne Il Ritorno del Cavaliere Oscuro di Frank Miller e in Watchmen dello stesso Moore. La storia del fumetto americano prende una piega decisiva, che ne segna i futuri sviluppi, quando Len Wein, autore classico della Marvel e DC degli anni ’70 e allora editor-in chief di quest’ultima, chiama Moore al capezzale di un personaggio di sua creazione, Swamp Thing, la cui serie era sull’orlo della cancellazione. Fin dalla sua prima storia, Lezione di anatomia, che è tanto un titolo quanto una dichiarazione di intenti, Moore infonde alla serie della Cosa della Palude una qualità letteraria e un lirismo fino ad allora sconosciuti al fumetto americano mainstream, fatta eccezione per alcuni precursori come Don McGregor. Ma soprattutto, colpisce la visione critica nei confronti dell’american way of life fornita da un autore europeo. È esattamente quello che chiede una nuova generazione di lettori, cresciuta abbastanza da contestare, oltre ai genitori, anche le figure istituzionali ed ingessate del comicdom americano.
Il successo di critica e pubblico dei lavori di Moore è tale che i vertici della DC organizzano un tour in terra d’Albione alla ricerca di nuovi talenti, in grado di tirare a lustro qualche altro vecchio personaggio del proprio catalogo. La spedizione, capitanata dal presidente Jehnette Kahn, l’editor Karen Berger, futura responsabile della creazione della linea Vertigo, e il veterano Dick Giordano raccoglierà frutti prelibati nelle persone di giovani autori che di li a pochi anni diventeranno nomi di riferimento del settore come Neil Gaiman, Peter Milligan, Jamie Delano e, ovviamente, Grant Morrison.

animalman-1

È il 1987 e Morrison è l’autore di fumetti iconoclasti e provocatori come Zenith, il giovane supereroe creato per la rivista 2000 A.D., che preferisce le pagine dei rotocalchi o un’apparizione a Top of the Pops piuttosto che combattere per il bene comune. L’approccio del giovane Morrison al fumetto, contraddistinto da venature punk e anti-tatcheriane, è paragonabile al grido di Sid Vicious che fa consapevolmente scempio della classica My Way di Frank Sinatra. Esattamente il tipo di sensibilità che porterà con se nella sua prima avventura americana, Animal Man. La narrazione che Morrison stesso fa di quel viaggio in treno che lo porta dalla natia e per molti aspetti provinciale Glasgow fino a Londra per incontrare la dirigenza DC è entrato nella mitologia dei “dietro le quinte” della storia del fumetto, e lo immaginiamo simile al tragitto che Jimmy Somerville dei Bronski Beat compie nel videoclip della coeva Smalltown Boy mentre si allontana, per sempre, da una ristretta dimensione di provincia. Durante il viaggio Morrison pensa su quale personaggio del catalogo DC incentrare una proposta, e dai suoi ricordi di bambino avido lettore di fumetti americani emerge il personaggio di Animal Man, apparso per la prima volta sull’antologica Adventure Comics, character dalle caratteristiche al limite del ridicolo di cui Morrison può essere moderatamente certo di essere uno dei pochi a serbarne memoria. Il funzionamento dei poteri del buon Buddy Baker, infatti, è molto semplice: assorbire le capacità di qualsiasi animale si trovi nelle vicinanze. Il lancio della nuova serie di Animal Man è quindi a rischio zero, salvo che per la reputazione di Morrison e la possibilità futura di ritagliarsi un posto al sole nell’industria del fumetto americano: in caso di insuccesso, l’alter-ego di Buddy Baker sarebbe semplicemente tornato nel dimenticatoio da cui l’autore scozzese l’aveva prelevato. Per fortuna di Morrison, della DC e dei lettori, nulla di tutto questo accadde.

animalman-2

Alan Moore aveva dimostrato, nel suo ciclo di Swamp Thing, che il fumetto mainstream poteva essere un contenitore di tematiche adulte e attuali, come quelle a sfondo ecologiche e ambientaliste. Morrison segue la scia del Bardo di Northampton, scegliendo un personaggio così naif da prestarsi ad essere l’avatar dell’impegno civile del Morrison di quel momento. Emergono nettamente, nella prima sequenza di storie ospitate dal volume con cui RW Lion ripropone al pubblico questo fondamentale ciclo, le posizioni dell’autore contro la vivisezione, in un momento in cui Morrison sta per diventare vegetariano, scelta che viene fatta propria anche dall’eroe protagonista, identificazione tra scrittore e il suo personaggio di cui si contano pochi precedenti. Meat is Murder, cantano in quegli anni gli Smiths e il loro leader Morrissey, ispirazione fondamentale nella carriera di Morrison che sarà evidente anche in prove successive. Ritroviamo molte delle esperienze della vita di Morrison nell’esistenza quotidiana di Buddy Baker, outsider che vive in una villetta di periferia con moglie e figli, lontano dalle metropoli in cui agiscono gli altri eroi del DC Universe, tra vicini annoiati perennemente collocati su una sdraio a bordo piscina o alle prese con qualche barbecue. Come Moore prima, l’autore scozzese comincia presto la decostruzione non solo del fumetto supereroistico mainstream, ma dello stesso stile di vita americano, basato su una violenza innata che si annida anche un luoghi apparentemente insospettabili e tranquilli. È il caso del rischiato stupro della moglie di Buddy, colpevole solo di essersi avventurata nel parco vicino alla sua abitazione, da parte di un gruppo di violenti cacciatori, situazione salvata solamente dall’intervento del vicino.

animalman-3

Se le prime quattro storie costituiscono un corpus a parte, in cui Morrison, attraverso didascalie poetiche ed ispirate, tenta di imitare il lirismo tipico di Moore e si prodiga a favore della difesa dei diritti degli animali, nel quinto episodio, Il Vangelo del Coyote, l’autore opera una svolta verso un surrealismo meta-narrativo che sarà il tratto caratteristico di tutta la sua produzione successiva. Trovate come quella del coyote dei cartoni animati giunto per caso nella nostra dimensione che si immola cristologicamente per la salvezza del mondo possono esistere solamente nel mondo morrisoniano: d’altronde parliamo dell’autore che, nella successiva Doom Patrol, farà scontrare il gruppo protagonista contro una “confraternita” di cultori del dadaismo. Già in questo volume troviamo tracce del Morrison che sarà, lisergico e citazionista, colto e surrealista. Dove trovare, peraltro, un alieno di Thanagar (il pianeta da cui proviene Hawkman) che minaccia la terra con una bomba modellata sulla teoria dei frattali, citando inoltre l'esoterista Alesteir Crowley, altro "nume tutelare" dell'autore? Il tutto inserito nel contesto del DC Universe del 1987. Siamo in era pre-Vertigo e le testate DC rivolte ad un pubblico maturo vivono ancora nello stesso universo di Batman, Superman e soci. Ecco quindi apparire Martian Manhunter, che recluta Animal Man per la Justice League, il villain Mirror Master e lo stesso Uomo d’Acciaio in un rapido cameo. Uno scenario composito nel quale Buddy Baker sembra aggirarsi spaesato e attraversato da un persistente senso di inadeguatezza.

animalman-4

Se leggendario è il peso avuto da queste storie nella storia del fumetto americano,  lo è altrettanto l’imperizia grafica del suo disegnatore, Chas Truog. Narra la leggenda che Truog sia stato scelto proprio per le sue scarse capacità, in modo che i suoi non eccelsi disegni non distogliessero il lettore dai testi di Morrison. E il caso divenne paradigmatico di come a volte pessimi disegni non solo non pregiudicano un ottimo script, anzi lo esaltano. In alcune episodi, per fortuna, Truog viene sostituito dal buon Tom Grummett, veterano della DC conosciuto per il suo lavoro su Teen Titans e Superman.
Riletto a 30 anni dalla sua uscita, Animal Man non ha perso nulla di quella carica iconoclasta e detonante che investì il fumetto americano, sconvolgendolo per sempre.

Supereroi in salsa italiana, la recensione di Zeroi

Comincia in medias res Zeroi, fumetto partorito dalla fucina di idee e creativi chiamato Progetto Radium. Neanche il tempo di aprire il volume e troviamo una squadra di personaggi colorati e sconosciuti, eppure familiari, alle prese con un gigante arancione di nome Magnitudo, comparso dal nulla, che sta seminando panico e distruzione nella solitamente tranquilla Shake City. Sfogliando queste prime pagine si prova quella stessa sensazione che provarono migliaia di lettori dell’Editoriale Corno, entrati a “spettacolo iniziato” perché troppo giovani per essere testimoni del debutto in Italia dell’allora inedito universo Marvel. Tutto, in Zeroi, richiama la fascinazione per quei mitici e pioneristici albi che, c’è da scommetterci, sono ben impressi nel cuore e nella memoria di Matteo Casali e degli altri autori coinvolti. Gridando il suo nome, nella classica tradizione marveliana dell’ Hulk Spacca!, Magnitudo attacca la città provocando la reazione di un gruppo di eroi eterogeneo: accorrono sul posto Ferrotipo, eroe in armatura, la velocista Zumba, Vero Eroe #17 e l’agile Gecko, mentre resta in disparte ad osservare il solitario vigilante Gattopardo. Gli eroi dovranno unire le forze per scoprire il mistero della vera identità di Magnitudo, a cui sono interessati anche il malvagio Braccio Armato e un misterioso villain che trama nell’ombra.

zeroi-1

Zeroi è il primo tassello di un universo supereroistico made in Italy, a vent’anni di distanza dal poco riuscito Europa dell’allora neonata Marvel Italia. I testi di Matteo Casali e di Tuono Pettinato sono un riuscito amalgama di omaggio alla tradizione del fumetto americano, condito da un’ironia e dalla capacità di non prendersi troppo sul serio tipica del nostro Paese. È impossibile non riconoscere, dietro i personaggi di Zeroi, modelli di riferimento iconici come l’Uomo Ragno, Iron Man, Hulk e Batman, di cui gli autori riescono però a cogliere e sottolineare nevrosi e tic, compiendo uno straordinario lavoro di caratterizzazione, su Gecko e Magnitudo in particolare. Entrambi hanno un background difficile: il primo appartiene ad una minoranza etnica, mentre il secondo nasconde un triste vissuto familiare che è all’origine della sua mutazione. Tematiche complesse, inserite in un’opera estremamente godibile e alla portata di tutti: non tragga quindi in inganno il tono scanzonato, che non scade mai nella parodia, così come non deve trarre in inganno il tratto cartoonesco di Cinci, al secolo Cristian Canfailla, perfetto compendio alla vicenda orchestrata dai due sceneggiatori. Da segnalare l’apporto ai disegni nel capitolo finale di Andrea Scoppetta, in una efficace sequenza in bianco e nero.

zeroi-2

Nato grazie al crowfunding, denominatore comune dei progetti proposti dall’etichetta Radium, Zeroi viene raccolto da Saldapress in un agile volume brossurato dall’ottimo rapporto qualità/prezzo, contraddistinto dalla cura editoriale tipica dell’editore. Dedicato a tutti i lettori che hanno atteso per anni un fumetto di supereroi italiano di qualità: stavolta ci siamo.

zeroi-3

Una parodia dissacrante e rispettosa, la recensione de L'anello dei signori

A più di 15 anni dall’uscita del primo capitolo della saga al cinema, la trilogia de Il Signore degli Anelli continua ancora ad essere oggetto di interesse e di ammirazione da parte di legioni di fan, nonché di omaggi e di parodie. È ascrivibile a quest’ultimo genere L’Anello dei Signori, ultimo lavoro della coppia formata da Roberto Megna e Carlo Lauro, già creatori delle strisce di Dick & Cok, pubblicate sul web. Gli autori riprendono i loro personaggi, e li gettano in un’avventura demenziale che ruba alla trilogia di Peter Jackson solamente l’avvio, salvo battere poi un’irriverente strada tutta propria.

I due gnorrit, lontanissimi parenti degli hobbit immaginati da Tolkien, hanno contratto un debito con una banda di orghetti, spacciatori di erba pipa. Decidono quindi di intraprendere un lungo viaggio per vendere un anello, trovato per caso sulle pendici del Monte Farto, e usare così il ricavato per pagare gli orghetti. Non sanno però che l’anello, lasciato a loro insaputa sul Monte da Frego e Slim, ha dei poteri magici e ha suscitato l’interesse di essere malvagi come Accollum e Nasauron, Signore della terra di Mortorior. Ad accompagnare i due gnorrit nella loro poco nobile impresa accorreranno lo stregone Mago, il cavaliere Jon Sgomento, l’elfo Bob Cappuccio e il nano Tyrchion Ballister. Lungo la strada la Compagnia dovrà sfuggire ai Nazigul, i cavalieri nazisti al soldo di Nasauron, e incrocerà il proprio cammino con altri personaggi strampalati, dando il via a vicende dagli esiti imprevedibili e allucinanti.

L’Anello dei Signori è una parodia irriverente che cammina però sul solco di un profondo rispetto per il materiale a cui è ispirata. Megna e Lauro ci forniscono versioni comiche di personaggi iconici senza tradirli mai, ma mettendone in luce gli aspetti più ridicoli. È il caso di Jon Sgomento, farsesca sintesi tra Aragorn e Jon Snow de Il Trono di Spade, la cui solennità appare del tutto fuori contesto rispetto allo scenario delirante in cui si muove, suscitando non poche risate. I due autori ci propongono un sunto delle saghe fantasy più amate degli ultimi anni, mostrandoci una folle carrellata che da Il Signore degli Anelli passa attraverso Il Trono di Spade e arriva fino a Harry Potter: la Compagnia visiterà anche la Sbarriera, rifugio dei Guardiani della Botte (per i quali il concetto di prendere il nero assumerà un significato nuovo e demenziale), per finire a Pigwarts, la scuola di Enrico Posteri. Megna riesce a cogliere gli elementi potenzialmente ridicoli di queste amatissime saghe e a metterle alla berlina senza pietà, costruendoci intorno battute e situazioni comiche irresistibili.

Il tratto cartoonesco di Lauro, degno compare dello sceneggiatore, aumenta esponenzialmente la carica comica e insolente di questo Anello dei Signori, mettendo in scena personaggi grotteschi che strappano risate a prima vista. L’unico difetto imputabile al divertente tour de force congegnato dal duo calabrese è l’eccessiva lunghezza della storia che, partita come un treno carico di caratterizzazioni azzeccate e di trovate divertentissime, arriva al capolinea a corto di ispirazione e con le polveri un po’ bagnate: elemento che non ne pregiudica però l’irriverente e iconoclastica riuscita.

Sottoscrivi questo feed RSS