Seven to Eternity 2, recensione: Le scelte definiscono l'uomo
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All’inizio degli anni 2010, Rick Remender è uno degli sceneggiatori più quotati in casa Marvel. Con un passato alle spalle come inchiostratore e autore indie, Remender conquista pubblico e critica con un ciclo al fulmicotone di Uncanny X-Force, ultima grande serie mutante insieme al Wolverine & the X-Men di Jason Aaron, prima del ridimensionamento del “brand X” autoindotto da una Marvel che aspettava di rientrare in possesso dei diritti di sfruttamento cinematografico dei personaggi, circostanza verificatasi, come è noto, solo di recente. Subito dopo aggiunge al suo ricco curriculum anche una fortunata sequenza di Secret Avengers in cui, tra l’altro, crea i presupposti per la trasformazione di Carol Danvers, Ms. Marvel, nel nuovo Capitan Marvel che vedremo presto al cinema, e lancia Uncanny Avengers, testata campione di vendite che vede riuniti in un solo gruppo alcuni tra i membri più amati di Avengers e X-Men.
A questo punto la consacrazione di Remender come “architetto” Marvel al fianco di scrittori come Aaron, Bendis e Hickman è cosa ormai fatta. Nel 2014 esce Axis, evento che coinvolge i principali eroi Marvel ma il successo non è quello sperato. Inoltre, la sua proposta di rilancio per Uncanny X-Men non viene accettata dall’editore. Qualcosa nel rapporto tra scrittore e casa editrice si incrina. Remender lascia la Casa delle Idee e trova un porto sicuro presso la Image Comics, dove in pochi mesi lancia numerosi titoli di sua ideazione, tutti baciati da un grande successo di pubblico e critica. Siamo davanti ad un autore eclettico, capace di misurarsi su diversi terreni: si va dalla fantascienza di Black Science alla variante post-apocalittica di Low, fino all’azione pulp di Deadly Class, già tradotta in serie tv e al fantasy di Seven to Eternity. Di quest’ultima serie è appena uscito per Panini Comics il secondo volume, che fa immergere nuovamente il lettore nel fantastico mondo di Zhal: un pianeta prospero e incontaminato, protetto dall’ordine dei Cavalieri di Mosak, potenti guerrieri capaci di connettersi al piano spirituale. Un dono di cui il più potente tra loro, Garlis Sulm, abuserà per ottenere il potere assoluto.
Dopo essersi autonominato “Dio dei Sussurri”, Garlis approfitterà della sua abilità di Mosak per lusingare la popolazione di Zhal, promettendogli ricompense e benefici. Il tiranno riesce così a corrompere l’anima della maggior parte degli abitanti e il nome di chi non vuole sottomettersi viene marchiato a fuoco con menzogne ed infamia. Nome come quello di Zebediah Osidis, cavaliere Mosak che non aveva mai voluto piegarsi a nessun compromesso, condannando così la sua famiglia alla disgrazia e ad una vita di stenti che era costata la vita al figlio Peter. Alla morte di Zeb la responsabilità della casata degli Osidis era ricaduta sul primogenito Adam, che vive dilaniato dal dubbio: cedere alle lusinghe del Dio dei Sussurri, assicurandosi la salvezza della sua famiglia, o proseguire sulla strada improntata allo stoicismo inaugurata dal padre? Nel primo volume avevamo visto Adam unirsi ai restanti Cavalieri Mosak, con i quali era riuscito a sconfiggere Garlis Sulm in battaglia. L’eterogeneo gruppo decide quindi di intraprendere un lungo viaggio per portare il prigioniero al cospetto del mago Torgga, l’unico che possa scollegare la mente di Garlis dal resto degli abitanti di Zhal, liberando così il pianeta dall’influenza del malvagio. Ma con grande sorpresa dei Mosak e dei lettori, Sulm rivela che il suo piano era proprio quello di farsi catturare. Cosa nasconde il Dio dei Sussurri?
Nel secondo volume il viaggio della Compagnia viene interrotto da un evento imprevisto, che dividerà il gruppo in due tronconi: da una parte Adam e Garlis, che procederanno da soli verso la loro meta, dall’altra i cavalieri Mosak che cercheranno di raggiungere il villaggio di Jevalia, una loro amica ferita, per farla curare.
Come in ogni fantasy che si rispetti, anche in Seven to Eternity riecheggiano tematiche ancestrali come la lotta tra bene e male e la perdita dell’innocenza che si annida in ogni compromesso, facendone un moderno racconto morale. In questo secondo tomo, però, la tensione narrativa risulta compromessa dalla lunga digressione nella terra dei Gliff che occupa circa la metà del volume, spezzando di fatto il racconto che non offre molte sorprese, almeno fino all’inaspettata scelta fatta da Adam nell’ultimo capitolo che costituirà, molto probabilmente, uno dei motivi d’interesse principali della prossima uscita.
Tornano anche le straordinarie illustrazioni di Jerome Opeña, il penciler filippino fidato collaboratore di Remender, che propone una sofisticata sintesi tra la spettacolarità del fumetto statunitense e l’autorialità di quello europeo (Moebius e Sergio Toppi le influenze più evidenti). Compendio indispensabile alle splendide tavole di Opeña sono i colori sgargianti della tavolozza di Matt Hollingsworth, che traducono con brillanti scelte cromatiche le magie dei Mosak. L’unità stilistica del volume viene però interrotta dalla presenza come disegnatore ospite in due capitoli di James Harren, artista più a suo agio con le atmosfere grottesche della sua serie personale Rumble, ma che qui non può fare a meno di perdere il confronto con l’inarrivabile Opeña.
Benché costituisca una piacevole lettura questo secondo volume di Seven to Eternity, pubblicato da Panini con la formula ormai vincente del cartonato soft-touch, si propone come un capitolo interlocutorio della saga concepita da Rick Remender & Jerome Opeña, rinviando gli sviluppi narrativi più interessanti alle prossime uscite.