Il fronte orientale visto da Olivier Speltens, la recensione dei volumi Historica Mondadori
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Riflessione onesta e esemplare, seppur con qualche ingenuità, quella che propone Olivier Speltens con il suo L'Armee de l'Ombre, quadrilogia sulla campagna tedesca di Russia nella II Guerra Mondiale, che la collana Historica di Mondadori Comics raccoglie in due bei volumi intitolati – forse in modo un un po' asettico rispetto all'originale – Fronte Orientale.
La campagna militare descritta nei due volumi fu un'impresa titanica e tragica: frutto dell'ambizione sfrenata e irrazionale di Hitler e, come già tentato in precedenza, destinata a fallire, portò migliaia di “uomini comuni” in un teatro di guerra indescrivibile per grandezza, condizioni di vita e livello di pericolo: è il giovane soldato tedesco Kessler a osservare tutto questo, partecipando attivamente alle battaglie e riflettendo al contempo sulla situazione sua e dei commilitoni. Non c'è giudizio morale nelle vicende raccontate e disegnate da Speltens, poiché il questo è già dato a priori dalla Storia: solo un'umanità varia, che sappiamo già in partenza immolata a una sconfitta con molti orrori e pochi onori, eppure cinicamente consapevole di questo destino. È una storia di guerra che si fa quasi subito storia di sopravvivenza e, sui volti dei soldati a cui l'autore riesce a infondere nonostante tutto segni di umanità sofferente e poi progressivo rischiaramento di coscienza.
Nella prima parte (L'inverno russo) siamo nel novembre del 1942, Kessler è fresco di addestramento e viene assegnato ad una divisione di fanteria e spedito a rafforzare la 6° armata di Von Paulus che si accinge a difendere Stalingrado. I volti del protagonista e dei suoi commilitoni sono giovani, puliti e sorridenti, atteggiamento che dura però poche pagine, per lasciare spazio a sorpresa, sbigottimento e orrore. Le ampie vignette panoramiche, ottime per rappresentare le azioni di guerra si alternano a tavole dal taglio più classico che danno peso ai dettagli e ai dialoghi fitti (in alcuni casi forse troppo): quello che colpisce è soprattutto il blu spettrale delle scene in notturna che fa da sfondo agli attacchi di un nemico, l'esercito russo e le bande partigiane, per l'appunto fantasmatico, quasi invisibile, e come tale ancora più pauroso.
La seconda parte intitolata Il Risveglio del Gigante racconta la battaglia di Kursk propriamente detta: evento poco conosciuto (come un po' tutta la guerra sul fronte orientale con l'eccezione di Stalingrado), questa offensiva ha rappresentato il più grande scontro di mezzi corazzati della storia e un momento cruciale per le sorti dell'intero secondo conflitto mondiale. Dalla regione del Don infatti l'Armata Rossa inizierà il suo cammino inarrestabile fino alla presa di Berlino. Speltens ovviamente ci racconta il tutto dall'altro lato del campo di battaglia: Ernst Kessler è cresciuto, il volto è più magro, solcato da rughe e dalla barba incolta. E il nemico si vede, all'orizzonte, minaccioso nelle belle tavole incastonate dal contorno nero: pochi dialoghi, molte vignette mute, la guerra si svolge su primi piani e dettagli, è guerra di sguardi che incroci, in momenti toccanti, con quello di chi combatte che per lo schieramento nemico. E in questi piani riavvicinati i soldati tornano a essere uomini e la guerra, da eroico atto diventa ancora una volta una fuga.
La terza parte, Terra Bruciata, dà il nome anche al secondo volume. Siamo nell'autunno del '43. Stalingrado e Kursk sono storia e, per Kessler e compagni, sconfitte che segnano il destino. Ora ci si deve organizzare per la ritirata rendendo le cose difficili all'Armata Rossa. È in questo frangente, di fronte a questo compito, che la guerra mostra il suo lato peggiore: le violenze, gli stupri, i commilitoni esausti che cedono alla pazzia e alla nevrosi da guerra. Rimane ancora spazio per imprese ardite, che, in un contesto così privo di speranza, accentuano l'aspetto straniante della guerra e allo stesso tempo, con equilibrio, ri-confermano l'umanità dei protagonisti.
Eravamo uomini è la quarta parte e approfondisce ulteriormente la disillusione che faceva capolino nel capitolo precedente. La Russia è ormai ricordo bruciante nell'agosto del '44 e l'obiettivo per i protagonisti è solo quello di rientrare a casa sani e salvi. I colori cupi lasciano il posto a tavole più chiare e cristalline con il particolare e particolareggiato tratto di Speltens si fonde alla perfezione. È il momento di un primo, sommario e forse un po' manicheo, esame di coscienza in cui il soldato Kessler e compagni si rendono conto delle bugie e degli inganni del nazionalsocialismo e, quasi sulla propria pelle, del riverbero tragico della Shoah. Parte, quest'ultima, estremamente sbrigativa e risolta con un coup de theatre abbastanza scontato: una delle pecca di quest'opera. L'altra è non aver toccato il tema dell'antisemitismo, molto diffuso anche fra i soldati “comuni” dell'esercito tedesco: argomento complesso certamente, ma che avrebbe reso ancora maggiore onore a una narrazione altrimenti sempre onesta dal punto di vista della ricostruzione storica.
Quello che sorprende maggiormente in Fronte Orientale è infatti la capacità di Speltens di raffigurare i soldati tedeschi per quello che sono, senza sconti né cinismo: uomini profondamente radicati nel loro tempo, ma che rappresentano, tutti assieme, un'anti-retorica dell'eroismo che paradossalmente fa emergere il loro lato eroico “nascosto”: il restare umani anche in condizioni disumane contro la vulgata nazista della “morte onorevole” e del sacrificio estremo. L'approccio è quasi documentaristico a partire dall'aspetto visivo: realistico, preciso, accuratissimo, con un focus sui volti dei personaggi che è quasi un album fotografico della sofferenza umana in guerra e che delinea un approccio sentito, partecipato, mai ideologico alla materia descritta. Un'epica tragica quindi, sfrondata dal pathos e in cui il senso imminente della morte e l'amore (il vero antidoto alle guerre?) si intrecciano in un quadro di disillusione dove trovo posto, flebile ma comunque sempre presente, la speranza.