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Black Hammer/Justice League - Il Martello della Giustizia, recensione: giocare con gli archetipi

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Quando Black Hammer fece la sua comparsa sugli scaffali dei comic shop nel 2016, fu evidente come il suo creatore Jeff Lemire stesse portando la fiaccola del decostruzionismo e della metatestualità nel fumetto di supereroi contemporaneo. Collocatosi sul solco di classici moderni come il Supreme di Alan Moore e Astro City di Kurt Busiek e Alex Ross, Black Hammer è un fumetto in cui il genere supereroistico riflette su se stesso e sui suoi meccanismi ben conosciuti dal suo autore che è un fan sfegatato del genere stesso. Ne abbiamo parlato più volte in passato, sottolineando come Black Hammer sia prima di tutto un omaggio commosso di Lemire alle sue letture d’infanzia, di cui si avvertono potenti gli echi in ogni vignetta.

Già la vicenda in sé, che racconta di un quintetto di eroi che, impegnati a sventare una crisi dimensionale causata dal malvagio Anti – Dio, scompaiono improvvisamente dalla metropoli Spiral City finendo per essere ritenuti morti, ricorda un evento chiave della storia del fumetto americano come Crisi sulle Terre Infinite. Se nella saga spartiacque della storia della DC Comics gli eroi della Golden Age sacrificatisi durante la battaglia finale contro l’Anti – Monitor sopravvivevano in una sorta di “dimensione tasca”, in Black Hammer gli eroi scomparsi riappaiono nella contea di Rockwood, in una provincia rurale dimenticata da Dio dove i supereroi non sono mai esistiti. L’ambiente campagnolo diventa così il limbo in cui gli eroi si ritrovano esiliati loro malgrado, costringendoli a svestire le calzamaglie per accettare una nuova esistenza agreste, lontana dalla gloria che fu, riservata solo a fulminanti flashback. Memorie di imprese epiche lontane nel tempo in cui il lettore può rintracciare echi delle proprie letture d’infanzia. In questo gioco di riferimenti sparsi, una caccia al tesoro metatestuale che costituisce la cifra stilistica che caratterizza l’opera, i lettori potranno facilmente riconoscere nei protagonisti l’omaggio di Lemire ad alcuni dei personaggi classici della DC Comics: se Abraham Slam si rifà tanto ad Atom e a Wildcat della Justice Society of America, Golden Gail richiama Shazam, Barbalien fa pensare al Martian Manhunter della Justice League, Il Colonnello Weird è un omaggio alle avventure sci-fi di Adam Strange mentre dietro Madame Dragonfly si cela la Madame Xanadu delle testate horror DC degli anni ’70.

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Dopo aver deliziato il lettore con quattro volumi (e numerosi spin-off) pieni di omaggi e strizzate d’occhio al genere supereroistico, il passo successivo compiuto dall’autore è stato quello di ospitare tra le pagine della sua serie, che è un’analisi del genere stesso, i simboli per antonomasia del comicdom, ovvero Superman, Batman e i colleghi della Justice League. Una scommessa azzardata, quella di rendere scoperto il gioco di rimandi per iniziati che ha caratterizzato Black Hammer finora, contaminandolo con le icone reali del fumetto di supereroi, che si rivela però vincente grazie alla verve narrativa di Lemire. Dando per scontato che il lettore conosca i personaggi della sua fortunata opera, l’autore mette in scena un team-up insolito fra i suoi esuli e la Lega più celebre della storia del fumetto, partendo non da un classico incontro ma da uno scambio di ruolo: grazie all’intervento di un misterioso personaggio magico, che sembra poter passare da un universo all’altro senza problemi, i due supergruppi si ritrovano improvvisamente uno nell’habitat dell’altro. Così Abe e i suoi si ritrovano catapultati a Metropolis sostituendo la League durante una dura battaglia contro Starro; intanto, Batman, Superman, Wonder Woman, Cyborg e Flash prendono il loro posto nella quieta contea di Rockwood. Mentre gli esuli di Black Hammer vengono affrontati da Aquaman, Hawkgirl, Martian Manhunter e il resto della Justice League, che li crede responsabili della scomparsa dei loro amici, a Rockwood Bruce, Clark, Diana e gli altri vivono un’esistenza rurale nella loro fattoria dove trascorrono dieci anni, a causa di una bizzarra anomalia temporale. Ma forse le cose non stanno proprio così, e la rivelazione dell’identità del misterioso (ma non troppo) villain porterà la vicenda verso una risoluzione da classico team-up.

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Black Hammer/Justice League: Il Martello della Giustizia è una deviazione godibile e fracassona dalla narrazione principale dell’epopea citazionista di Lemire, nata dall’ evidente desiderio dell’autore di far incontrare le sue creazioni con molti degli archetipi che li hanno ispirati, vedi i siparietti tra Barbalien e Martian Manhunter, l’incontro tra Madame Xanadu e Zatanna, o quello tra il Colonnello Weird e gli eroi spaziali per eccellenza dell’universo DC, il Corpo delle Lanterne Verdi. Il risultato è quello di un’opera meno centrata della serie principale dal punto di vista del rigore formale e del citazionismo, ma che rimane comunque all’insegna dell’intrattenimento di qualità e della forte cifra autoriale tipica dell’autore.

In assenza del disegnatore titolare di Black Hammer Dean Ormston, l’onere delle matite è affidato a Michael Walsh, autore di provenienza indie che, seppur dotato di un tratto più realistico di quello del collega, riesce a mantenere una continuità stilistica con l’opera principale all’insegna di uno storytelling semplice ma non privo di efficacia, all’insegna dell’anti – spettacolarità. Una scelta insolita per un crossover tra supereroi, che ne denuncia ulteriormente la vocazione autoriale.

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Black Hammer/Justice League: Il Martello della Giustizia viene presentato da Panini Comics in un pregevole cartonato da libreria, corredato da preziosi extra tra cui le numerose copertine variant dell’edizione statunitense e i bozzetti di Walsh, che si segnala soprattutto per gli ottimi redazionali di Andrea Gagliardi, indispensabili per inquadrare l’opera nel contesto decostruzionista a cui appartiene e per il prezioso approfondimento critico.

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Visione: Visioni dal futuro, recensione: il capolavoro di King e Walta

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Fra i grandi meriti del MCU c'è indubbiamente quello di aver portato alla ribalta personaggi cosiddetti minori dei fumetti Marvel ma non per questo meno interessanti. Se gli studi cinematografici, infatti, avevano puntato sui nomi più noti del catalogo dell'editore (Spider-Man, X-Men, Hulk, Fantastici 4...), quando vennero fondati i Marvel Studios si dovette ripiegare obbligatoriamente su character importanti ma meno noti presso il grande pubblico. Un esempio su tutti Iron-Man: se ora Tony Stark è una celebrità, grazie anche all'interpretazione di Robert Downey Jr., di certo prima del suo esordio cinematografico nel 2008 non si poteva dire altrettanto. Dovendo spingere sempre su più personaggi, e sull'onda del successo, i Marvel Studios hanno iniziato a proporre al grande pubblico - con grande successo - eroi sempre più di nicchia. La volontà di diversificare la propria proposta, adottando anche il format televisivo per la piattaforma Disney+, ha spinto lo studio a dar vita a sempre più progetti. Il recente WandaVision celebra tutto il loro lavoro: una serie da record di visualizzazioni incentrata su due figure tanto importanti quanto misconosciute ai più fino a qualche anno fa.

Il delizioso show creato da Jac Schaeffer e interpretato da Elizabeth Olsen e Paul Bettany ha posto l'accento sui due protagonisti, spingendo l'editore Panini Comics a rifornire le librerie con volumi dedicati ai due eroi. Fra questi troviamo una delle fonti d'ispirazione del serial, ovvero il celebrato The Vision di Tom King e Gabriel Hernandez Walta pubblicato originariamente fra il 2015 e il 2016.

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Ideato da Roy Thomas e John Buscema nel lontano 1968 sulle pagine di Avengers 57, il sintezoide più amato della storia del fumetto ha dovuto aspettare quasi cinquant’anni per avere il suo posto al sole. Creato dal malvagio Ultron, Visione - un umanoide con una struttura artificiale, sintetica - spesso risulta più umano degli altri eroi dell’universo narrativo della Casa delle Idee, e questo prevalentemente perché la sua natura ibrida lo spaventa, non gli conferisce certezze soprattutto a livello psicologico.

Fin dall’inizio, l'eroe incarna la contraddizione dell’essere artificiale che prova emozioni umane, tanto da portarlo alle lacrime come nell’iconica splash-page finale di Anche un androide può piangere, arrivando addirittura ad innamorarsi, ricambiato, di una donna in carne ed ossa, la collega Scarlet Witch. I due formeranno per anni una delle coppie più famose dei comics, suggestionando più di una generazione di giovani lettori tra cui il futuro scrittore Jonathan Lethem, che ai due amanti di carta dedicherà il racconto La Visione, contenuto nella raccolta Men and cartoons (pubblicata in Italia da Minimum Fax).

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Personaggio travagliato, il povero androide, è diviso tra la paura di non provare sentimenti e il peso che il viverli comporta. Dissezionato metaforicamente da autori classici come Steve Englehart, Bill Mantlo e Roger Stern, una volta è stato realmente smembrato pezzo per pezzo e rimontato, in un celebre ciclo di Avengers West Coast firmato da John Byrne che segnò la fine del suo rapporto con Scarlet. Ma niente poteva preparare il sintezoide di casa Marvel al “trattamento” riservatogli dal brillante Tom King.

Visione, dunque, ama, odia, soffre, prova pienamente l’intera gamma di sensazioni e sentimenti umani, ha avuto una moglie, ha dato vita ad una famiglia e a dei figli, ha perso tutto, e ora sta cercando di ricostruire la sua esistenza. Ma per farlo ha dovuto sacrificare le proprie emozioni, resettare il proprio cuore per non essere vittima delle terribili allucinazioni che lo tormentavano, eliminando parte di ciò che lo rendeva un umano tra gli umani. Ora, si è creato (letteralmente) un nuovo nucleo familiare, una moglie Virginia, e due gemelli di sesso opposto, Vin e Viv, e ha deciso di trasferirsi al 616 di Hickory Branch Lane, Virginia, Stati Uniti. Un nuovo lavoro, nuove amicizie, nuove parentele e una nuova casa: i Visione sono pronti per fare il loro ingresso nel mondo. Ma come verranno accolti dai vicini, dagli altri abitanti del quartiere? Come si relazioneranno con il resto dell’umanità? Questo non ve lo sveliamo, anche perché è proprio il punto cruciale dell’intera serie creata in modo eccellente da Tom King sugli splendidi disegni di Gabriel Hernandez Walta.

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Forte di una qualità letteraria che ha spinto il sito specializzato Bleeding Cool a definirla “il Watchmen” della Marvel, Visione è una gemma nella produzione "recente" della Casa delle Idee. King e Walta confezionano uno straordinario ibrido tra fumetto d’autore e mainstream supereroistico, assolutamente originale, uno slice of life pungente e sofisticato che non può passare inosservato: un meraviglioso ed inquietante affresco di una famiglia (tutt’altro che) modello in un pacifico (ma non troppo) quartiere di villette a schiera tipico dell’immaginario americano a cui siamo abituati.

Lo scrittore pesca a piene mani dalla tradizione del melodramma americano, il cui principale esponente fu il regista Douglas Sirk, e dalle sue declinazioni più moderne come American Beauty e Revolutionary Road di Sam Mendes e Lontano dal Paradiso di Todd Haynes: opere che ci raccontano famiglie che conducono esistenze apparentemente perfette, chiusi nelle loro belle villette, tra sorrisi di circostanza e l’amara consapevolezza della realtà. In una variante certamente fantascientifica, Visione ci parla proprio di questo, di verità taciute, negate ma insopprimibili, di scheletri nascosti nell’armadio o seppelliti – letteralmente – in giardino, ma che non tarderanno a riaffiorare mettendo a rischio un fragile equilibrio. Nel fare questo, lo splendido lavoro di King e Walta riporta un genere usurato come il fumetto di supereroi alla sua dimensione più nobile, la trasfigurazione in racconto mitologico dello struggimento del vivere quotidiano.

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King realizza una sceneggiatura di carattere, che si prende il suo tempo per districarsi, procedendo solo apparentemente in modo lento e pacato, alternando tavole descrittive, statiche e panoramiche, narrativamente parlando, a rampe di tensione e sconvolgimenti atroci nella loro brutalità, nella loro schiettezza, senza mai fuoriuscire da un contesto familiare, di vita quotidiana, che viene sempre mantenuto costante, sempre presente e pressante, dilatandolo e deformandolo all’inverosimile, incrinandolo pesantemente, ma mantenendosi sempre all’interno dei suoi confini, anche in modo stonato. Ma è questo l’effetto che King vuole ottenere: mostrare come dietro alla facciata di un modello, di una perfezione lucidata per l’esposizione, per essere martoriata, commentata e invidiata dal resto del vicinato, vi sia invece un mondo pieno di paure, angosce, incapacità relazionali, incomprensioni, errori, antipatie, violenza e si, anche omicidi.

I dialoghi propongono, poi, interessanti spunti di riflessione, pesando saggiamente i termini e le parole adottate, creando dibattiti filosofico-esistenziali che vi terranno occupati. Inoltre, vengono gettati  con nonchalance particolari sconcertanti di vicende future della trama, solo per spiazzare ulteriormente il lettore. Spesso, in alcune scene, due o più narrazioni viaggiano su piani diversi, aumentando la confusione mentale e cercando di evocare nel lettore le medesime sensazioni e i medesimi pensieri che possono fluire nella mente dei personaggi in tensione per via delle circostanze in cui agiscono. Perché in questa serie nulla è prevedibile, nulla è come sembra, e i primi a pagarne le conseguenze sarete proprio voi lettori.

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Il lirismo dei testi di King è efficacemente supportato dal tratto minimalista di Walta, bravo nel ritrarre scene di vita quotidiana borghese semplici ma intense, attraversate da improvvise ed inaspettate esplosioni di violenza. La follia e l’imprevedibilità narrative fanno da perfetto contrasto all’impaginazione spesso statica, tradizionale e rigida del layout, che si alterna a tavole illustrative di una potenza artistica allibente e scioccante. Nelle vignette troviamo spesso scene crude, violente, che minano strutturalmente quanto fatto nel fumetto mainstream negli ultimi anni.
Parlando a Comicus nel 2016, Walta dichiarerà: "Nella prima sceneggiatura, Tom mi ha detto che stava pensando ad un layout di pagina molto regolare nel primo numero, che poi sarebbe stato rotto nelle ultime tre o quattro pagine, quando c'è un violento attacco ad uno dei personaggi. Così ho fatto una griglia di circa 15 vignette, ho usato quella griglia per tutto il libro. Perché ho pensato che questo schema regolare fosse adatto per la serie, e poi mi sono limitato a romperlo in alcuni momenti chiave".

Il lavoro svolto da Walta sulle micro-espressioni, sull’incertezza che si cela nei volti dei personaggi, sull’incapacità di comprendere a priori le idee e le intenzioni dei protagonisti, sono perfette per rendere il comportamento di androidi che cercano di emulare la natura umana, di confarsi all’attuazione di una facciata che mima l’idea di perfezione da rivista patinata, da catalogo espositivo, quando invece la vera umanità sta nelle tribolazioni interne, psicologiche, comportamentali ed emotive che vengono celate agli occhi degli altri, tranne a quelli del lettore. Splendida anche la colorazione autunnale, globalmente fredda ma con mirate punte di colore di un calore espressivo sensazionale, attuata da Jordie Bellaire, che deborda dai contorni definiti dalle matite di Walta, uscendo anche dalle cornici delle vignette, aumentando ancora di più il senso di sgretolamento dell’immagine, di incertezza.

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Merita una citazione anche Micheal Walsh, autore delle illustrazioni dell’episodio in cui King ripercorre la storia della relazione tra Visione e Scarlet, facendo “sbirciare” il lettore dietro le quinte della storia ufficiale della coppia: sarà una delizia per i fan di vecchia data riconoscere i periodi della storia degli Avengers citati dagli autori, dallo scontro col Conte Nefaria a firma Jim Shooter/John Byrne fino al “triangolo” Visione/Scarlet/Wonder Man della gestione Kurt Busiek/George Pérez. Scene già viste che assumono però una valenza e un significato del tutto nuovo, grazie ad un team creativo in stato di grazia.

Visione è una delle più belle produzioni targate Marvel dell’ultimo decennio, una storia forte, densa e veramente coinvolgente, che vi terrà in uno stato di tensione emotiva anche quando avrete finito di leggerla. Un classico istantaneo che verrà ricordato da qui a molti anni, Visione porta con sé un unico difetto: è e resterà, per il momento, l’unico lavoro made in Marvel di Tom King, che subito dopo la conclusione della serie è stato blindato dalla DC con un contratto di esclusiva. Mossa sulla cui bontà non nutriamo alcun dubbio.

Dopo aver pubblicato la serie in due volumi fra il 2016 e il 2017, Panini Comics ha riproposto la saga in un volume cartonato unico di 280 pagine e di grande dimensioni (18.3X27.7). Senza dubbio un'opera imperdibile per ogni appassionato di buon fumetto e per si è avvicinato al personaggio grazie all'interpretazione dal vivo del talentuoso Paul Bettany.

Gennaro Costanzo, Giorgio Parma, Luca Tomassini

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In arrivo il crossover fra Black Hammer e Justice League

  • Pubblicato in News

La Justice League della DC Comics e l'universo Black Hammer della Dark Horse si incontreranno in una nuova serie limitata in uscita a luglio intitolata Black Hammer/Justice League: Hammer of Justice. Il co-creatore/scrittore di Black Hammer Jeff Lemire sarà lo sceneggiatore della mini, Michael Walsh si occuperà dei disegni, mentre Dave Stewart dei colori.

Lemire ha dichiarato a IGN che "questa è stata un'eccellente opportunità per raccontare una storia davvero divertente e, si spera, per portare Black Hammer a un sacco di nuovi lettori. Ho troppe storie che voglio ancora raccontare".

Secondo IGN, Hammer of Justice prenderà l’avvio quando un "uomo strano" arriva simultaneamente nella Metropolis di DC e nella fattoria di Black Hammer.
L'evento di cinque numeri vedrà all’opera tanto la “trinità” DC, Batman, Wonder Woman e Superman, quanto il duo di Black Hammer, Golden Gail e il Colonnello Weird.

La volontà di Lemire è comunque di permettere a Black Hammer di “crescere ed evolvere autonomamente, ma questo non significa che sia solo una storia immaginaria usa e getta". Secondo lo sceneggiatore, infatti, "avrà un impatto emotivo su entrambi i gruppi di personaggi, e c'è un altro aspetto che avrà un effetto più duraturo, ma non posso rovinarlo qui".

Il crossover lavorerà per accentuare le differenze dei personaggi di entrambi gli universi narrativi. "Certo, ci sono alcune somiglianze di superficie, come il fatto che sia Martian Manhunter che Barbalien siano eroi marziani, ma quando li metti insieme, consente l'autentica unicità di entrambi i mondi", ha detto Lemire.

Oltre alle cover regular di Walsh, ne sono previste altre ad opera di Andrea Sorrentino, Yanick Paquette, Yuko Shimizu. L'altro co-creatore di Black Hammer, Dean Ormston, non è stato incluso nel progetto.

Black Hammer/Justice League: Hammer of Justice #1 (di 5) uscirà il 10 luglio come coproduzione di DC Comics e Dark Horse Comics.

(Via Newsarama)

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Star Wars: Gli Ultimi Jedi: la recensione del fumetto

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Il 2015 ha segnato l’attesissimo ritorno della saga di Star Wars con il titolo Il Risveglio della Forza, diretto da J. J. Abrams. Il film, che proseguiva la storia della celebre trilogia classica, alternava personaggi nuovi a vecchie conosce. Il pubblico si divise, al di là dei puristi, in quanto la pellicola appariva fin troppo prevedibile e cauta, quasi un remake de Una nuova speranza. Quando però nel 2017 uscì il suo sequel, Gli Ultimi Jedi, diretto da Rian Johnson, ci fu l’accusa opposta: il film smantellava fin troppo quelli che erano le basi della saga.

È indubbio che, quando si va a toccare un franchise così amato e venerato come Star Wars, qualsiasi scelta si intraprende per far proseguire la trama verrà contestata. E non è un caso che la Disney/Lucasfilm sembra intenzionata a chiudere la vicenda della famiglia Skywalker con il prossimo film in uscita a dicembre e intraprendere vie del tutto inedite.

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Gli Ultimi Jedi, ad ogni modo, resta un film solido che prosegue in maniera dignitosa la trama che dal 1977 George Lucas e i suoi collaboratori raccontano.
La pellicola riprende senza interruzioni la storia del precedente capitolo, con Rey che si reca da Luke Skywalker per ricevere aiuto ed essere addestrata e con il Primo Ordine guidato dal Leader Supremo Snoke e dal suo pupillo Kylo Ren, in procinto di spezzare del tutto la Resistenza guidata da una determinata - ma consapevole della criticità della situazione - Leia Organa. Se tutto questo non bastasse, all’interno della stessa Resistenza ci sono voci contrastanti, come quelle di Poe Dameron e Finn che contestano le decisioni dall’alto e guidano una rovinosa spedizione alternativa.

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Addentrarci maggiormente nello sviluppo della trama è inutile, in quanto chi ha visto il film già la conosce, chi non l’ha visto, difficilmente leggerà questo adattamento ad opera di Gary Whitta e Michael Walsh. La storia, ad ogni modo, propone tutta una serie di momenti epici per la saga, sia per i vecchi fan (la distruzione dei sacri testi Jedi ad opera di Luke e Yoda, quasi un voler lasciarsi alle spalle il passato ingombrante), sia per i nuovi  (gli incontri/scontri fra Rey e Kylo Ren e la battaglia finale fra quest’ultimo e il suo maestro Skywalker).
Whitta adatta bene il materiale del film, condensando in sei capitoli tutte le vicende narrate, accelerando quando necessario e approfondendo parti eccessivamente veloci nella pellicola. Il compromesso fra pedissequicità e sviluppo narrativo su altro media è di fatto ben riuscita. Naturalmente, avendo il lettore già nota la storia dalla visione del film, il compito è facilitato.

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Michael Walsh, dal canto suo, a fronte di un’ottima regia delle tavole, propone uno stile meno dettagliato e meno fotorealistico di quello ad esempio utilizzato dal collega Luke Ross nell’adattamento del precedente Il Risveglio della Forza. Se il non cercare una rappresentazione fotorealistica eccessiva nella rappresentazione dei volti rende gli stessi più naturali ed espressivi, in alcune occasioni il tratto fin troppo grezzo e tirato ottiene l’effetto opposto. Ad ogni modo, il suo lavoro è sicuramente in grado di render giustizia a un adattamento molto riuscito nel suo complesso e sicuramente consigliato ai fan della saga.

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