Nell’autunno del 2017 il sito di informazione fumettistica BleedingCool riportò un rumor di una certa rilevanza: secondo il portale Ike Perlmutter, CEO della Marvel, era l’uomo dietro il ridimensionamento che la linea editoriale degli X-Men stava sperimentando da qualche anno. Come motivo della drastica decisione ci sarebbe stata l’avversione di Perlmutter nei confronti della 20th Century Fox, studio fino a quel momento detentore dei diritti di sfruttamento cinematografico dei mutanti di casa Marvel, pronto ad approfittare degli sforzi editoriali della Casa delle Idee sfruttandone i personaggi per il suo franchise cinematografico. Si verificò così la classica situazione del marito che si taglia gli attributi per far dispetto alla moglie: l’editore iniziò un sabotaggio consapevole del marchio più prestigioso e remunerativo della sua storia, affidando le testate con la “X” ad autori di secondo piano che le fecero scivolare agli ultimi posti tra le preferenze del pubblico. In poche parole, il periodo “Gold” e “Blue” che non ha lasciato certo una buon ricordo. Un vero e proprio scempio editoriale e un dolore per milioni di fan cresciuti con le saghe mutanti che, fin dai tempi di Chris Claremont, hanno incollato alla sedia generazioni di lettori. Finché l’acquisizione della Fox da parte di Disney, proprietaria della Marvel, ha nuovamente cambiato le carte in tavola.
Con gli X-Men finalmente a casa e nella disponibilità dei Marvel Studios di Kevin Feige, che provvederà a introdurli nel Marvel Cinematic Universe nei prossimi anni, era arrivato il momento di rilanciare i mutanti anche nei cari, vecchi fumetti. L’operazione non si presentava come delle più semplici, soprattutto a causa di scelte creative discutibili che negli ultimi anni avevano reso l’universo degli X-Men irriconoscibile, con lutti che avevano tolto dalla scena pilastri come Xavier, Ciclope e Wolverine e la presenza di una versione giovanile dei cinque X-Men originali trasportati nella nostra epoca per volere di un Brian Michael Bendis mai così fuori forma come nella sua gestione delle serie mutanti. La rinascita della linea degli X-Men doveva passare attraverso delle fasi preliminari, come il ritorno degli “original five” nella loro epoca, e l’opportuna resurrezione non solo dei tre personaggi fondamentali prima citati, ma addirittura di quella Jean Grey deceduta al termine del fondamentale ciclo di Grant Morrison di inizio anni duemila.
Le tappe di questo assestamento della linea mutante sono state coordinate da un gruppo di giovani autori a cui la Marvel ha voluto dare fiducia, come Ed Brisson, Kelly Thompson e soprattutto Matthew Rosenberg. Quest’ultimo è stato il responsabile del ritorno in scena di Jean Grey nella miniserie Phoenix Resurrection, una storia dall’esito scontato fin dal titolo che lo sceneggiatore è riuscito a gestire in maniera non banale, conferendogli un’inedita atmosfera da film di David Lynch. Nonostante già dall’estate 2018 si mormorasse di un coinvolgimento di Jonathan Hickman, reduce dai fasti di Avengers e Secret Wars, nel reboot di Uncanny X-Men, la testata uscì a sorpresa con i testi del triumvirato formato da Rosenberg, Brisson e Thompson. L’accoglienza riservata alla serie non fu all’altezza delle attese suscitate, un po’ perché la saga di debutto, X-Men Divisi, sapeva di già visto e si concludeva con l’esilio di alcuni tra i principali membri della squadra nell’ennesima realtà alternativa creata questa volta da Nate Grey, X-Man, un po’ perché il vero rilancio dell’universo mutante a firma Jonathan Hickman venne annunciato ufficialmente mentre questa nuova, controversa saga era in corso, sabotandone ogni attrattiva residua. Brisson, Rosenberg e la Thompson erano quindi dei semplici traghettatori, in attesa che il quotatissimo Hickman prendesse in mano le sorti degli X-Men. In attesa del nuovo demiurgo, nessuno sospettava che l’ammiraglia delle serie mutanti avesse in canna un ultimo acuto prima del passaggio di consegne.
Con Jean Grey, Tempesta, Colosso, Nightcrawler e la maggioranza degli X-Men esiliati nella realtà alternativa di Age of X-Man, venne affidato al solo Matthew Rosenberg il compito di raccontare il ritorno di uno spaesato Ciclope e di Wolverine in un mondo privo della maggior parte dei loro compagni di squadra. A fare compagnia allo scrittore, un artista che ha fatto la storia del franchise mutante a cavallo tra gli anni ’90 e 2000: Salvador Larroca. Nei pochi numeri a disposizione prima dell’arrivo di Hickman, i due hanno creato una sequenza di storie mozzafiato.
Tornato in vita grazie all’intervento combinato della Forza Fenice e del figlio proveniente dal futuro, Cable, Scott Summers alias Ciclope si aggira in un’America che non riconosce più, nonostante siano passati pochi mesi dalla sua dipartita narrata in Death of X. L’ex leader degli X-Men si mette in cerca dei suoi compagni di squadra, che sembrano essere svaniti nel nulla. La sua ricerca attira l’attenzione di vecchi avversari come Donald Pierce e i cyborg assassini noti come Reavers, che gli tendono un agguato. Ma quando la situazione sembra precipitare, Scott riceve l’aiuto inaspettato di Wolverine, tornato a sua volta in vita nella miniserie Return of Wolverine. Dopo aver sgominato i vecchi avversari, i due decidono di radunare quello che resta degli X-Men. Per quello che ne sanno, la maggior parte dei loro compagni di squadra è passata a miglior vita, ignorando che sono prigionieri della realtà di Age of X-Man. Scott e Logan riescono a rintracciare e a coinvolgere nel loro progetto di rimettere insieme la squadra alcune vecchie conoscenze come Havok, Madrox l’Uomo Multiplo e quel che resta dei Nuovi Mutanti: Magik, Moonstar, Karma e Wolfsbane. Ciclope stila una lista di vecchi avversari ancora in giro, mine vaganti a piede libero da troppo tempo, e convince il resto della squadra a passare all’azione. Le cose si riveleranno un po più complicate del previsto: bisognerà innanzitutto sopravvivere alla persecuzione del Generale Callahan e del suo O.N.E., unità militare dedita alla caccia e alla sterminio dei mutanti, e al ritorno di una vecchia fiamma di Ciclope che potrebbe aver fatto di nuovo il salto della barricata.
In soli 11 numeri, Rosenberg e Larroca recuperano il mood classico delle migliori storie degli X-Men, dopo anni in cui il franchise è stato allo sbando: puro fan-service che omaggia le atmosfere tradizionali delle serie mutanti, soprattutto la lunga gestione di Chris Claremont. Sapendo di avere a disposizione pochi numeri, Rosenberg mette nel frullatore tutti gli ingredienti che hanno reso la saga degli X-Men la più amata della storia del fumetto americano: come ai tempi di X-Chris, Uncanny X-Men torna a parlare di un gruppo di persone che lotta per trovare il proprio posto in una società che non li vuole. Per puro caso, poi, queste persone sono dotate di superpoteri, sparano raggi concussivi dagli occhi ed estraggono artigli di adamantio dal dorso delle mani lottando per salvare, come recita il celebre adagio, “un mondo che li teme e li odia”. Anche i costumi indossati dai personaggi sono allo stesso tempo un omaggio ai vecchi tempi e un regalo ai lettori, interpellati via social dall’editor Jordan White per sapere quali uniformi avrebbero gradito rivedere. Così Ciclope indossa quella gialla e blu, con immancabili tasche anni ’90, del periodo di Jim Lee, mentre Wolverine torna all’iconico costume marrone ideato da John Byrne negli anni ’80.
Ma Per Sempre e Ci siamo sempre stati, i due archi narrativi della breve gestione Rosenberg ospitata in Italia nei numeri compresi tra il 5 e il 9 della nuova serie de Incredibili X-Men targata Panini Comics, non sono solo un calco riuscito di alcune tra le migliori storie del passato, tra atmosfere persecutorie e riusciti momenti intimisti: il giovane emulo di Claremont sembra portare avanti anche un interessante discorso meta-fumettistico. I suoi X-Men, pagina dopo pagina, prendono botte da orbi dalle quali non riescono a rialzarsi, denunciando un’inadeguatezza straniante per i fan che da anni aspettavano di rivederli. È come se Rosenberg rassicurasse i lettori restituendo loro i personaggi che volevano nei loro costumi preferiti, ma li tradisse subito dopo dicendo che i tempi sono cambiati e sono diventati troppo cupi e difficili per le tutine sgargianti della loro adolescenza. La sfida raccolta da Ciclope e dalla sua squadra è troppo grande da affrontare con i mezzi del passato, e il finale aperto implica che ci vorrà qualcosa di diverso per parlare, oggi, della questione delle minoranze oppresse celata dietro alla grande metafora mutante. Quel “qualcosa” è il nuovo ciclo di Jonathan Hickman, atteso da enormi aspettative e appena giunto anche da noi.
Nonostante sia stata concepita come un breve intermezzo prima del vero rilancio, la sequenza di storie degli X-Men firmate da Matthew Rosenberg ha colto l’essenza dei personaggi e si avvia a diventare un piccolo cult, anche grazie ai disegni del grande Salvador Larroca, nume tutelare della Marvel degli anni ’90 e della storia degli X-Men. L’artista spagnolo non è nuovo alle testate mutanti: ricordiamo infatti il suo debutto americano in un bel ciclo di Excalibur e, soprattutto, gli X-Treme X-Men realizzati in coppia con Chris Claremont, un nome che, quando si parla di X-Men, salta sempre fuori. La scelta editoriale di far disegnare un ciclo del genere a Larroca è fortemente simbolica: solo un artista così profondamente coinvolto nella storia dei mutanti poteva disegnarlo. E lo spagnolo non tradisce le attese: dopo un primo numero dalla resa cromatica incerta, dovuta soprattutto alla prova discutibile della colorista Rachelle Rosenberg (nessuna parentela con lo scrittore), il disegnatore si sbizzarrisce in tavole piene d’azione e di esplosive splash-page, conferendo al tutto un look anni ’90 che calza a pennello. E quando gli X-Men immortalati da Larroca scendono in campo sotto la guida di Ciclope e Wolverine, la certezza che i ragazzi siano tornati in città è automatica.