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Historica Biografie 2: Mao Zedong, recensione: “L'altra metà del cielo”, l'altra metà della Storia

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Scrivo questa recensione quando cade la giornata mondiale contro la violenza sulle donne. Coincidenza in realtà, ma occasione più che appropriata per parlare di questo volume Historica-Biografie di Mondadori Comics dedicato al Grande Timoniere della Rivoluzione cinese Mao Zedong, ma che sottopone al lettore, con forza e intelligenza, la questione del ruolo della donna nella Storia e nella società
È infatti, quella scritto da Jean-David Morvan e Frederique Voulyzè, una narrazione militante e divergente che propone, con passione e senza troppi artifici ideologici, il punto di vista di Deng Yingchao, comunista della prima ora e compagna di quel Zhou Enlai che fu uno più originali ideologi marxisti del comunismo cinese, oltre che abile e popolare diplomatico (come Ministro degli Esteri negli anni 70 riallacciò rapporti con Richard Nixon e gli USA). Ma è soprattutto un racconto dell'anima femminile della Rivoluzione, di quell'”altra metà del cielo”, nella definizione data dallo stesso Mao, che dalla fedeltà al partito e dalla militanza ebbe a guadagnare più oneri più che onori. E sofferenze. Il racconto di “Grande Sorella” Deng ci informa infatti continuamente di donne abbandonate, brutalmente giustiziate, tradite dall'uomo e dall'idea di società in cui credevano. Nomi che che recuperiamo dall'oblio: He Zizhen, Yang Kaihui. Sono le mogli e le compagne che Mao non si faceva scrupoli a sacrificare in nome delle proprie ambizioni politiche o di semplici desideri carnali.

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Storie molto tristi che scavano un solco immane fra le parole della propaganda attorno a Mao e la reale portata degli eventi che portarono a costruire la Cina come la conosciamo oggi. Ci sono tutti i principali eventi che ne hanno costellato la storia recente: l'apprendistato politico di Mao, la lunga marcia, il grande balzo in avanti, la rivoluzione culturale. Ma sotto lo sguardo pacato e le parole semplici e efficaci di Deng ne esce un ritratto impietoso, entro cui Mao si staglia indirettamente, come un fantasma, capace di sfruttare gli spiragli che la Storia gli offre e tuttavia incapace di aderire nella realtà a quel mito che aveva costruito intorno e che continuò a sopravvivergli.

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Partendo da un'attenta ricostruzione storico-iconografica, le tavole trovano la loro originalità ponendo le inquadrature quasi sempre “ad altezza uomo” e restituendo umanità alla vicende spesso inumane raccontate. I disegni Rafael Ortiz sono semplici e curati: volti “scolpiti nel legno e nella Storia”, mai impersonali. Nelle sue vignette la figura ingombrante di Mao, non occupa quasi mai un posto preponderante, molto spazio è lasciato a personaggi “secondari” e in senso più generale, attraverso scene collettive dettagliatissime, al popolo senza nome che la Rivoluzione l'ha fatta in concreto e che qui riconquista quindi visivamente i propri spazi di libertà. Belli anche i colori di Giulia Priori e Andrea Meloni che passano progressivamente dai grigi e dai toni generalmente tenui delle prima pagine ai colori caldi, mano a mano che il passo della guerra e della Rivoluzione si fa sempre più urgente.

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Complessivamente emerge quindi il ritratto di un idolo fragile, complesso e grande come la Cina stessa: veneratissimo all'esterno e oggetto in patria di culto della personalità e poi di prudenti revisioni e critiche mosse dall'interno. La narratrice Deng è in fondo una comunista fermamente consapevole e convinta del proprio percorso e della proprie scelte che decide di illuminare un altro percorso, quello di Mao, sbagliato, tragico e che ha tradito ideali originari di giustizia. Questa prospettiva consente un distanziamento doveroso con il lettore, permettendogli di fare raffronti, evitando le trappole di una rapida immedesimazione, e con gli autori stessi che, in modo molto intelligente, evitano le sterili polemiche, le condanne unilaterali e quindi il qualunquismo scegliendo una prospettiva che riesce a mantenere un equilibrio invidiabile fra rispetto delle ideologie di chi racconta e esigenze ineludibili di verità storica.

 

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Vita e morte di Luigi XIV. Il Re Sole, la recensione del volume Mondadori Comics

Quando si affronta il compito di raccontare la biografia di Luigi XIV di Francia, meglio conosciuto come il Re Sole, emblema stesso dell'assolutismo e dell'aristocrazia pre-rivoluzionaria, non può non venire in mente lo splendido film di Roberto Rossellini, che nel 1966 ne descrisse con minuzia documentaristica le fasi di presa del potere. Di fronte a tale pietra di paragone il rischio maggiore era di diventare ripetitivi, didascalici e noiosi era dietro l'angolo. Questo pericolo è stato evitato in modo abile e intelligente da Jean-David Morvan, Federique Voulyzè nel volume Mondadori Comics.

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Nella prima parte dell'opera, quella più ampiamente in debito verso la pellicola del regista italiano e intitolata Luminoso come il sole, gli autori mostrano come il delfino Luigi Deodato di Borbone diventi il Re Sole attraverso una serie di “quadri” o scene con poca azione ma molta tensione, grazie ad una narrazione che gioca coi flashback, dialoghi misurati ed essenziali e un montaggio serrato di episodi e momenti cruciali: il rapporto con il potentissimo cardinale Mazzarino, vero e proprio deus ex machina della Francia fino alla sua morte e protettore dell'erede al trono; la presa di coscienza del giovane monarca; l'eliminazione degli avversari politici; l'edificazione della regga di Versailles; la scelta della sfarzo come simbolo di potere e strumento di accentramento; la guerra contro gli Olandesi. Ne risulta un racconto d'insieme estremamente compatto, unito dal fil rouge della presa del potere, ma scorrevole e fluido nella lettura.
La seconda parte dell'opera (Versailles) si concentra primariamente sulla vita di palazzo e, forse perché copre un arco di tempo più lungo – si conclude con la morte del monarca – risulta meno consistente e più sfilacciata: ci sono molte, molte cose da raccontare e mostrare e troppe poche pagine per farlo.

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Il risultato complessivo comunque restituisce bene tutte le contraddizioni incarnate dal Re Sole, anche grazie al comparto grafico curato da Renato Guedes: simbolo vivente del privilegio aristocratico, Luigi XIV viene mostrato durante gli eventi mondani di corte, nello splendore di arredi, vestiti e acconciature dell'epoca, con il rosso e l'oro come colori prevalenti, ad alto contenuto simbolico anch'essi; il manierismo con cui sono rappresentate dame di corte, favorite e gentiluomini benché poco dinamico visivamente trasmette bene l'idea dell'immobilismo della corte a favore del Re. A questa magniloquenza, ricostruita in modo accurato dal disegnatore brasiliano pescando a piene mani dalla ritrattistica del '600 (Luigi fu anche patrocinatore di artisti, architetti e letterati), fanno da contraltare i momenti privati, che spesso coincidono con le decisioni politiche preganti e decisive del monarca: primi e primissimi piani del re o dei pochi che lo circondano, che sfumano o emergono dai neri, i chiaroscuri come cifra stilistica di un potere che è questione assoluta e personale (“lo Stato sono io”), ma anche privata e solitaria, quasi claustrofobica. Versailles, così suggestiva e lussureggiante, assume allora gradualmente i contorni di una prigione dorata, da cui si può comandare, osservare e controllare, ma all'interno della quale la vita di Luigi, dei suoi consiglieri e dei nobili è alla merce dello stesso caos che sembra contraddistinguere la fine del 17° secolo: le malattie, la decadenza e la morte, le tensioni sociali e religiose, lo stato di guerra.

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Unico neo negativo forse il finale che, se da un lato richiama intelligentemente l'incipit e il tema quasi religioso della successione, dall'altra scade in dialoghi eccessivamente scontati e sentimentali, poco in linea con il carattere del re raccontato mostrato fino a quel momento. Difficile, molto difficile, dicevamo, raccontare in poco meno di cento pagine tale complessità umana e sociale, e Morvan, Voulyze e Guedes ci sono riusciti in modo soddisfacente.

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