Fondazione Futuro, recensione: l'entertainment "minore" della Marvel
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Se siete dei veri Marvel fan, ecco una piccola chicca che non dovreste assolutamente lasciarvi sfuggire. Stiamo parlando di Fondazione Futuro, recente miniserie dedicata al gruppo di giovani eroi assemblato da Reed Richards diversi anni fa, rimasto per qualche tempo in una sorta di limbo editoriale, dopo il ritorno dei Fantastici Quattro sulla Terra, visto nei primi numeri della nuova collana dedicata a Mr. Fantastic e soci scritta da Dan Slott. Il team è una delle tante novità che Jonathan Hickman introdusse durante la sua lunga gestione del Quartetto e che, per breve tempo, prese addirittura il posto dei Fab Four, dopo l’apparente morte della Torcia Umana.
Simbolo di speranza per le nuove generazioni, il gruppo ha raccolto, fin dall’inizio, alcune delle giovani menti più brillanti del pianeta, pronti a unirsi senza esitazione al loro mentore anche nella ricostruzione del multiverso, seguita agli eventi raccontati - sempre a opera di Hickman - in Secret Wars. È lì che li ritroviamo all’inizio di questa nuova avventura, impegnati a recuperare i frammenti di Molecola sparsi nelle varie dimensioni, dopo la sua distruzione a opera dell’entità cosmica Funerea, avvenuta sempre nei primi numeri dei Fantastici Quattro di Slott. L’impresa, però, si rivela tutt’altro che facile, soprattutto quando a mettere i bastoni tra le ruote alla Fondazione arriva un nemico temibile come il Creatore, il Reed Richards malvagio proveniente dall’universo Ultimate.
Fondazione Futuro è una miniserie di puro entertainment, senza nessuna ambizione autoriale, ma in essa si respira un po’ la stessa freschezza narrativa che sta caratterizzando un'altra collana dedicata a un team di giovani eroi, quella dei Runaways, di cui lo sceneggiatore Jeremy Whitley (fin qui noto solo per la miniserie Marvel The Unstoppable Wasp e per qualche titolo della IDW destinato a bambini e teenager) riprende i testi frizzanti e leggeri, aggiungendo anche una buona dose di umorismo. Direttamente dalle pagine dei Runaways, poi, arriva uno dei nuovi protagonisti, la scoppiettante Julie Power, che depressa per aver interrotto la sua relazione amorosa con l’aliena Karolina Dean (membro del suddetto gruppo), riesce a trovare di nuovo la serenità quando viene improvvisamente trasportata nello spazio da suo fratello Alex, attuale leader della Fondazione.
Il trentaseienne scrittore californiano, oltre ai testi pieni di brio a cui abbiamo appena accennato (che perdono smalto solo nella parte centrale della miniserie, quando la vicenda si appiattisce sull’inevitabile scontro tra i giovani eroi e il Creatore), mostra di saper utilizzare con assoluta naturalezza molti trucchi narrativi, grazie ai quali riesce a mantenere sempre viva l’attenzione del lettore. Pertanto, aldilà dell’avventura fantascientifica vera e propria, ecco anche divertenti battibecchi tra i protagonisti, flirt di vario tipo e maldestri approcci romantici, che vedono quasi sempre coinvolto il povero Bentley-23 (il clone adolescente del villain Wizard). Insomma, un po’ tutto l’armamentario tipico del fumetto per adolescenti (evidente target della serie).
Whitley, inoltre, non nasconde di essere lui stesso un Marvel fan all’ultimo stadio, non solo valorizzando un cast di personaggi in gran parte ripescati dall’affollato sottobosco della Casa delle Idee, ma riuscendo anche a ridare lustro a due eroine affascinanti, che, dopo un breve periodo di gloria vissuto più di vent’anni fa, non hanno mai più svolto un ruolo importante all’interno dell’Universo Marvel: ci riferiamo a Rikki Barnes, la versione femminile di Bucky Barnes, creata da Jeph Loeb e Rob Liefeld durante l’evento Heroes Reborn e poi sporadicamente ripresa in saghe di poco conto, e a Lyja, l’ex moglie skrull di Johnny Storm, praticamente - e inspiegabilmente – ignorata (se si escludono una fugace apparizione durante il crossover Secret Invasion e la sua versione alternativa nell’universo MC2) da tutti gli autori che hanno seguito Tom De Falco nella gestione dei Fantastici Quattro. Assieme a Julie Power, i due personaggi sono serviti al cartoonist americano per dare un po’ più di spessore al corpo principale della Fondazione, che altrimenti, persi Franklin e Valeria Richards (tornati sulla Terra assieme al resto della famiglia), avrebbe potuto contare solo sulla wakandiana Onome e sui già citati Alex Power e Bentley-23. Nonostante la sua abilità, infatti, sarebbe stato difficile anche per Whitley riuscire a mantenere l’interesse dei lettori con quattro talpoidi evoluti, due discendenti di un’antica razza atlantidea, l’androide Dragon Man e i due bambini mutanti Artie e Pulce (che sono tutto tranne che due campioni di loquacità ed espressività).
Per quanto riguarda i disegni, sui cinque numeri della miniserie si alternano ben tre autori: Will Robson, che, a dispetto degli annunci che lo indicavano come l’artista titolare della collana, firma solo il primo episodio (più il breve prologo all’inizio del volume, apparso in appendice a Fantastic Four 12), per poi essere affiancato da Paco Diaz nei due successivi, entrambi infine sostituiti da Alti Firmansyah negli ultimi due. Lo stile di tutti e tre richiama apertamente quello dei manga che, se da un lato rappresenta un modo ulteriore per attrarre i giovani lettori (un trend che, ormai, riguarda un po’ tutte le testate per teenager di Marvel e DC e da cui non è del tutto esente neppure la serie dei Runaways), dall’altro aiuta ad accrescere l’umorismo dei testi di Whitley. Dei tre disegnatori, tuttavia, noi abbiamo preferito l’indonesiana Firmansiah, che nonostante l’estetica “filo-nipponica” del suo tratto, non eccede con strampalati omaggi ai fumetti giapponesi. Cosa che, invece, capita più spesso a Robson (il quale, non a caso, in alcune interviste ha ammesso di essersi ispirato per questo lavoro ad Akira Toriyama, il papà di Dragon Ball e Arale), con il risultato di rendere troppo cartooneschi, e praticamente irriconoscibili, personaggi di ben altre caratteristiche come il Creatore. Diaz, al contrario, ci è sembrato quello meno in sintonia con il clima generale della serie: le sue tavole poco dinamiche, infatti, tradiscono l’evidente difficoltà ad adattare il suo stile più realistico a quello dei suoi due colleghi.
Fondazione Futuro non è sicuramente un volume da tramandare ai posteri, né un tassello imprescindibile della pluridecennale storia della Marvel, ma rappresenta l’ennesima dimostrazione che, quando le idee sono valide, è possibile realizzare una buona storia anche senza ricorrere ai big della casa editrice.