Pussey!, recensione: Daniel Clowes, gli eroi prima della caduta e i nerd prima della rivincita
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Nelle tavole introduttive, con semplicità disarmante, Daniel Clowes evidenzia come l'immaginario collettivo mainstream odierno ricalchi grossomodo quello dei geek dei mid-80's: elfi, maghi, mostri e supereroi monopolizzano i gusti delle masse a livello mondiale, quando fino a pochi decenni fa questa era una nicchia ad uso e consumo di quelli che i più ritenevano dei disadattati sociali. Una bella rivincita come fa notare l'autore stesso per lui e per il personaggio ri-presentato in questo volume di Oblomov: Dan Pussey, buffo epigone del “professionista” che del comicdom statunitense riassume soprattutto sfortune e meschinità.
Un paio di passi indietro. Siamo tra la fine degli anni'80 e il primo lustro dei 90' quando il mercato americano dei comics inizia a espandersi. La frenesia editoriale è data dal nascere e dall'affermarsi delle case indipendenti che sfidano direttamente i colossi dell'intrattenimento cartaceo come DCe Marvel. Il fumetto seriale supereroistico, condito con nuove grafiche accattivanti e supportato da aggressive strategie di marketing, sembra destinato a “conquistare il mondo”. Ma alcuni sentono già puzza di crisi. Fra questi ci sono alcuni folli (e follemente innamorati) del medium fumettistico come Daniel Clowes che, con spirito prettamente underground, decidono di farseli da soli i comics, e di offrire uno sguardo divergente e acuto su quel mondo adolescenziale che ne era il maggior consumatore e il potenziale destinatario. Eightball, creatura antologica clowesiana, è definita come “un' orgia di livore, vendette, desolazione, disperazione e perversioni sessuali”, e dalla sue pagine scaturiranno il fortunato Ghost World o capolavori come David Boring, solo per citarne due.
Anche Pussey! quindi viene da lì: due degli otto capitoli (L'angolo del collezionista di fumetti e La morte di Dan Pussey) trattano in modo ferocemente satirico quella “bolla” speculativa che ha rischiato di mandare a gambe all'aria il settore a metà degli anni '90. Le altre parti seguono questa linea satirica fornendo un ritratto spietato e cinico di tempi, modi e meccanismi del dietro le quinte del mondo del fumetto. Le nove vignette per pagina sono lo schema, più o meno variato, con il quale Clowes scandisce gli spietati ritmi di produzione della immaginaria Infinity Comics, fucina di giovani talenti in cui approda anche il protagonista, giovane disegnatore alle prime armi. Ne seguiamo passo passo le tappe della carriera fino alla mesta dipartita: le prime pubblicazioni, le recensioni della stampa specializzata, il successo. Clowes non trattiene la sua matita nemmeno quando si affronta il tema del fumetto d'autore o dell'artisticità della Nona Arte, quello del ricambio generazionale e del rapporto fra editori e stampa specializzata.
Quella di Dan Pussey è una parabola artistica e (dis)umana connaturata già nel nome del protagonista e dei comprimari (Szucker, Dick Small) così come nel loro visus grottesco e i tratti esasperati: le figure di Clowes con le loro teste sproporzionate incassate sul tronco e i denti enormi guardano spesso il lettore dritto in faccia e richiamano una presa in giro feroce, risultante di rabbia post-adolescenziale, acume critico e gusto puro di non prendersi mai troppo sul serio. Ma questi personaggi hanno sempre in sé anche qualcosa di tenero e disperato, come se l'amore per quel mondo di nerd al quale lo stesso Clowes apparteneva avesse forza uguale e contraria ai propositi di rivalsa che, nelle parole dell'autore, lo ha portato a creare questa serie.
In epoca, come quella attuale, di pieno sdoganamento dei nerd e della loro cultura, di parodie dello stesso sdoganamento e di, talvolta, capitalizzazione di un intero immaginario, le riflessioni di Clowes (le sue didascalie e i balloon sovrabbondanti di testo) appaiono un dato acquisito e forse poco originale, ma sono interessanti in primo luogo perché vengono da un grande autore e dalla rivista che è stata il suo principale laboratorio di idee, segnalando quindi alcune traiettorie della sua poetica; in secondo luogo sono una testimonianza dall'interno, deformata quindi, ed emotiva ma sincera, di un preciso e cruciale momento della storia del fumetto americano. In terzo luogo Pussey! è molto divertente.