Non sono in molti a conoscere la singolare storia editoriale di Rocketeer, eppure stiamo parlando di un personaggio, che all’inizio degli anni Ottanta, quando il circuito delle fumetterie cominciò a consolidarsi su tutto il territorio statunitense, determinando la nascita di diverse piccole case editrici, slegate da Marvel e DC, divenne uno dei più grandi successi del fumetto indipendente americano. Fu, infatti, la Pacific Comics a pubblicare nel 1982, in appendice a due numeri dello Starslayer di Mike Grell, le brevi storie di Rocketeer. Il personaggio era stato ideato, quasi per hobby, da Dave Stevens, un talentuoso disegnatore che si era fatto le ossa come inchiostratore del grande Russ Manning sulle strisce di Tarzan e come realizzatore di storyboard per cinema e televisione, ed era un omaggio a vari eroi delle matinée domenicali americane degli anni Cinquanta.
Stevens, il cui tratto morbido e parzialmente caricaturale mostrava chiare influenze frazettiane (ma erano piuttosto evidenti anche somiglianze con i lavori di Will Eisner e Lou Fine), per rendere ancora più esplicita la sua passione per quelle trame semplici e avvincenti, decise di dare alle storie una marcata impostazione da serial pulp degli anni Trenta. Protagonista della vicenda era il pilota acrobatico Cliff Secord che, a pochi mesi dall’inizio della Seconda Guerra Mondiale, trova - nascosto nel suo hangar - un misterioso jet pack. Per diventare famoso e per impressionare la sua fidanzata Betty, decide di usare quel marchingegno per volare senza aeroplano, in un nuovo numero del suo spettacolo. Ben presto, però, Cliff scopre di essere finito in un intrigo che coinvolge spie naziste e magnati americani sotto mentite spoglie.
Sebbene del Rocketeer di Stevens non esistano che una manciata di storie, i suoi bellissimi disegni, uniti a una narrazione appassionante che fondeva, sapientemente, comicità e avventura (oltre a una buona dose di malizioso voyeurismo), resero il personaggio così popolare, da convincere la Disney a trarne addirittura un lungometraggio. Il film, non così facile da reperire in Italia, se non in un’edizione estera, arrivò nei cinema nel 1991 e fu un clamoroso flop commerciale, ma, uscito a soli due anni di distanza dal Batman di Tim Burton, è da considerare uno dei primi esempi di cinecomic dell’era contemporanea. Invece di dedicarsi a tempo pieno alla sua creatura, Stevens preferì impiegare le sue notevoli capacità nella più remunerativa attività di illustratore. Sfortunatamente, però, la vita aveva in serbo per lui un tragico epilogo: ammalatosi improvvisamente di una rara forma di leucemia, il disegnatore morirà nel 2008, a soli 52 anni. Appena un anno dopo, tuttavia, la IDW Publishing (una casa editrice nota soprattutto per i suoi fumetti su licenza, come Star Trek o Transformers, ma anche per le sue riedizioni di grandi classici delle strisce sindacate) decise di riportare in auge il personaggio che lo aveva reso famoso, cominciando con il ristampare le sue, ormai classiche, storie, per poi proseguire con la pubblicazione di nuove avventure, affidate a diversi talenti del fumetto americano contemporaneo. Il carico maledetto (Cargo of Doom in originale), opera di Mark Waid e Chris Samnee, è la prima miniserie con una trama a lungo respiro dedicata a Rocketeer, prodotta dalla IDW.
Uscita negli USA nel 2013, e valsa a Samnee un Eisner Award (un riconoscimento ottenuto anche grazie al suo lavoro - sempre in coppia con Waid - per un celebrato ciclo di Daredevil, pubblicato nello stesso periodo), arriva, ora, in Italia per Saldapress (in un’edizione, al solito, elegantissima), che da qualche anno ha iniziato a riproporre nel nostro paese le avventure del personaggio di Stevens (prima dell’editore emiliano, Rocketeer era stato pubblicato dalla Comic Art di Rinaldo Traini).
La storia narrata da Waid e Samnee parte nel 1940, cioè due anni dopo il periodo in cui erano ambientate quelle originali, e Cliff Secord gestisce ancora, assieme al vecchio Peevy, una piccola azienda di aviazione civile a Los Angeles. Mentre i due devono vedersela con gli ispettori del governo, una nave attracca al porto della città, portando con sé un pericoloso carico proveniente dalla misteriosa Skull Island (sì, proprio quella Skull Island!). Ma, indossato, di nuovo, l’elmo di Rocketeer, Cliff dovrà vedersela pure con nuovi avversari, desiderosi di impossessarsi del suo prezioso jet pack.
Così come il suo predecessore, e per continuità di stile, anche Waid decide di ricorrere a tutti i trucchi tipici della letteratura pulp, senza rinunciare, però, agli elementi caratteristici della sua scrittura: la trama è veloce e leggera, i buoni, con quel misto di ingenuità, incoscienza e buoni sentimenti, e i cattivi, contraddistinti da una malvagità fredda e calcolatrice, sembrano proprio usciti da uno di quei popolari romanzi o da uno di quei seguitissimi show radiofonici, che appassionavano i giovani americani durante gli anni del New Deal. Ecco quindi che, come da copione, a riempire la vicenda arrivano scorribande tra i cieli (inevitabili, viste le abilità del protagonista), mostri tra le strade della città, cliffhanger continui, nemici nell’ombra e, naturalmente, qualche scaramuccia amorosa tra i protagonisti. Waid, inoltre, non si lascia scappare l’occasione per piazzare anche qualche omaggio ad alcune icone dell’immaginario popolare del periodo (su tutte, come già accennato, quella evidentissima a King Kong) o di ripescare alcuni personaggi minori delle storie di Stevens (per esempio, la spia nazista Werner Guptmann), due scelte narrative utili ad accrescere ancora di più l’effetto nostalgia per l’eroe volante o per l’epoca delle sue avventure. Peccato solo che lo scrittore americano cerchi di mantenere alta l’attenzione del lettore, mettendo troppa carne al fuoco, con la conseguenza di rendere alcuni passaggi troppo rapidi e confusi, e di rappresentare qualche protagonista della storia in maniera un po’ superficiale.
Per quanto riguarda Samnee, invece, i suoi bellissimi disegni, caratterizzati da un tratto pulito e lineare, ma capaci di infondere nei personaggi un’ampia gamma espressiva, si sposano alla perfezione ai testi di Waid (come già era capitato con le storie di Daredevil e di Capitan America), contribuendo anche a ricreare quell’atmosfera retro di inizio anni Quaranta, che era sicuramente nelle intenzioni dello sceneggiatore. Bisogna dire, però, che lo stile di Samnee differisce molto da quello di Stevens, il che potrebbe far storcere il naso a qualche ammiratore dell’autore californiano. I dinosauri che appaiono nella trama, per esempio, sono troppo pupazzeschi e mal si conciliano con l’estremo realismo con cui il creatore di Rocketeer era solito rappresentare persone o animali. Questa differenza si nota ancora di più con Betty, la fidanzata di Cliff: modellata da Stevens sulle generose forme della nota pin-up degli anni Cinquanta Bettie Page (di cui il disegnatore era ammiratore e amico), nelle prime storie di Rocketeer, la dolce metà del protagonista appare come un’avvenente giovane donna in cerca di fortuna a Hollywood, spesso ritratta senza veli, in pose ammiccanti e sensuali. La Betty di Samnee, invece, è esattamente l’opposto e non ci sorprenderebbe scoprire che Waid abbia deciso di introdurre nella trama la giovane Sally (un personaggio sicuramente più nelle corde del disegnatore originario di St. Louis) proprio perché consapevole del limite del suo partner. D’altra parte, però, le qualità di Samnee vanno ricercate altrove, e non sarebbe giusto aspettarsi da lui un completo snaturamento del suo stile, solo per onorare il suo predecessore.
Pur con i piccoli difetti che abbiamo descritto, la lettura di questo nuovo inizio editoriale di Rocketeer è più che piacevole: non possiamo, certo, metterlo allo stesso livello di altri lavori della coppia Waid/Samnee, ma è sicuramente un buon rilancio per il personaggio, in attesa di vedere se i prossimi volumi, che Saldapress ha già messo in cantiere per il 2020, confermeranno il nostro giudizio.